Il seguente testo è molto personale, e il tema è quello dei disturbi alimentari. Spero che non provochi malumori, malesseri, e che possa arrivare alle persone nel modo semplice e naturale come è scaturito da me, quando l’ho scritto.
Oggi ho preso un gelato.
Una banalità. Un fatto non degno di nota.
Non è che ho fatto qualcosa di assurdo. Avessi detto “Oggi ho prenotato un aereo di sola andata per l’Australia”, sarebbe stato qualcosa di scioccante, più d’impatto. Invece per me è notevole anche questo, perché per lungo tempo mi sono preclusa un sacco di piaceri legati al cibo. Tranne quando non li ritenevo strettamente necessari. Come il gelato. Lo prendevo solo quando ero con altri, e quando anche gli altri lo prendevano; quando ero in giro, quando avevo fatto un qualche tipo di movimento per cui ritenevo di “meritarmi” la gioia del gelato. Oppure ad una festa, dove giustificavo il mio “trasgredire” al regime alimentare che mi ero creata col fatto che tutti lo prendevano, e che non potevo essere l’unica stupida che non lo mangiava. Quante cose ti fa perdere un disturbo alimentare? Quante cazzate ti ficca nella testa? Di quante cose ti priva? Quanti pensieri assurdi, assurdi, assurdi. Quanta privazione di gioia vera, la gioia del gelato per esempio: il sentire il fresco e il cremoso sulla lingua, dopo una giornata calda, dopo ore di lezione, sostituita invece da una “gioia bugiarda”. Una gioia che deriva dall’aver rispettato i rigidi limiti di quantità, di tipo di cibo, che la tua mente ti ha impostato. Come è possibile che si arrivi a preferire questa ultima alla prima, non ne ho idea. Però è una cosa terribile, terribile e assurda. E riconoscere quanto fosse assurda, una volta che ci si è liberati da questi pensieri assurdi, è la felicità più grande.
Ecco perché mi sentivo di celebrare questo piccolo fatto, apparentemente del tutto degno di ignoranza. Un piccolo successo, che si somma a quei tanto piccoli quanto grandi passi verso la felicità.
Che per me è prendere un gelato senza pensare. Prendere un gelato a Torino, in una nuova gelateria che ha aperto da poco vicino a Palazzo Nuovo, mentre mi avvio alla stazione per prendere il treno e tornare a Cuneo. Sono in anticipo, quindi ce la faccio. Entro, ci sono due bambini che stanno ordinando due coni belli grandi. Il bimbo ha già fatto la su richiesta, la bimba sta aspettando la gelataia, che infila un biscotto tra le due palline nel cono appena riempito. Inizio a guardare i gusti, per scegliere quale ordinare, e noto con piacere che il prezzo è contenuto, rispetto alla media delle gelaterie torinesi. La bimba ordina due gusti, poi, d’un tratto, esclama di punto in bianco: “No! Non nocciola, volevo il torroncino!”. Siccome ha praticamente urlato, io e la gelataia, una ragazza giovane e allegra, ci siamo spaventate, e ci mettiamo a ridere. Per fortuna il la ragazza aveva appena afferrato il cono, che era ancora da riempire. La bimba prende il gelato con un sorriso sulle labbra, e esce con quello che credo sia il fratellino più piccolo. Tocca a me! Gelato allo yogurt, piccolo, grazie. Cono croccante o wafer? Quello più croccante, per forza! Pago ed esco, felicissima come la bimba uscita pochi istanti fa.
Tutto questo è così semplice e così naturale, che mi viene da pensare a quanto sono cresciuta e cambiata rispetto ad una volta. Una volta non sarebbe stato così. Una volta, prima di effettivamente scegliere o meno di prendere il gelato, nella mia testa si sarebbero affollate varie domande e varie pensieri e paure: Che ora è? Ha senso mangiare ora? Cosa ho mangiato a pranzo? Ho già mangiato un dolce oggi? Ma ho fatto dell’attività fisica? Cosa mangerò poi a cena? E se poi mamma ha fatto una torta, come faccio? Ma è il caso di prendere un gelato? Che senso ha? Non c’è nemmeno nessuno che lo prende con me, perché dovrei prenderlo da sola? Magari ne prendo uno al gusto di un frutto, almeno è più sano. Poi domani al massimo non mangio dolci. Ma da sola, non ha senso prendere un gelato. Non posso nemmeno poi farlo vedere a mia mamma, per dimostrarle che sono capace di prendere un gelato. Che non ho paura. Ma io paura ce l’avevo. Paura di essere me stessa, paura di permettermi di godere delle gioie che la vita mi offriva. Paura dei miei pensieri e di metterli a tacere.
È per questo che ora celebro tutta questa naturalezza nella mia testa, la spensieratezza che ho raggiunto dopo tempo. Ed è per questo anche, che mi sento di parlare di questo, che è un problema che è così orrendamente attuale ed in crescita. Nei giovani, nelle ragazze, in noi giovani donne in particolare, è diffusissimo il disturbo alimentare, DCA. E ne parlo perché non ha senso tenere nascoste le proprie paure e le proprie debolezze. Ne consegue solo che esse si rafforzano e sopraffanno la persona. Invece è giusto parlarne, non nascondere, ma esternare, gridare al mondo quanto si sta male, consapevoli che nessuno è mai solo, ma soprattutto che è possibile una via d’uscita.
È possibile guarire.
È possibile tornare a magiare un gelato senza chiedersi il perché.
Seguendo semplicemente la propria voglia, il proprio essere, sé stessi.