Da quando tutti gli abitanti se ne sono andati sono passati quasi sessant’anni. La carta dei libri dimenticati sui tavoli ha assorbito la luce e l’umidità di centinaia di stagioni, le fibre di cellulosa si sono allontanate e gonfiate fino a renderla fragile.
L’unica altra cosa rimasta all’interno delle case abbandonate sono le bottiglie di vino, stappate e vuote, ma ancora integre, ancora in piedi, fiere nella loro lotta contro il tempo e le intemperie.
Ladri improvvisati e saccheggiatori professionisti hanno portato via tutto il resto, letti, gioielli, soprammobili, specchi, chissà in che modo, attraverso i sentieri stretti di montagna, gli stessi che una volta gli abitanti percorrevano carichi di sacchi di grano e avena.
Perché a Narbona si arrivava, e si arriva ancora oggi, solo a piedi. La strada asfaltata finisce a Campomolino, un paese della Valle Grana poco sotto Castelmagno, e da lì iniziano i sentieri, gli attraversamenti del fiume, le salite.
Si cammina per un’oretta prima di vedere sul versante destro della montagna le case diroccate. Sono addossate le une alle altre, si sorreggono a vicenda, si stringono in una silenziosa resistenza alle valanghe che spesso colpiscono la valle.
È un paese di pietra e di legno che si sviluppa in verticale aggrappandosi alla terra, alle radici, alle rocce. All’inizio del Novecento in quelle case abitavano ventisei famiglie e un centinaio di mucche, pecore e capre.
Coperti dalla polvere rimangono ancora i segni della vita di un tempo, rimane la flebile testimonianza di un modo diverso di vivere in cui il silenzio e il vento facevano da padroni, in cui le uniche occupazioni erano il lavoro della terra e la cura degli animali.
A Narbona il vuoto è sempre vicino alle abitazioni, il degrado e l’oblio sono dietro ogni rovina.
Per conservare la memoria del paese nel 2013 è stato creato il polo museale “una casa per Narbona”. Una vera e propria casa, nella frazione di Campomolino, che ospita tutto ciò che è stato recuperato dalla borgata, vestiti, candele, giocattoli, quaderni, mobili, pentole, e che ricostruisce alcuni ambienti della vita quotidiana della comunità.
Fotografie di Alessia Actis e testi di Eleonora Numico