In una recente intervista radiofonica, Filippo Magnini, l’affermato nuotatore due volte campione mondiale nei 100 metri stile libero, dichiara che per nuotatore veloci bisogna fendere l’acqua senza opporre resistenza, facendo movimenti fluidi e leggeri e dibattendosi il meno possibile. In effetti gli istruttori di nuoto spiegano a volte la differenza tra l’avanzata in acqua di una zattera e quella di una canoa. Quest’ultima riesce a navigare più velocemente e con meno forza propulsiva nella remata perché diminuisce le resistenze nell’avanzamento sfruttando una maggiore capacità di scivolamento, uno degli elementi di base per una tecnica di nuoto ottimale. Mi pongo una domanda. Può uno sport essere metafora della vita?
Ha dato una risposta l’australiano Richard Bennet, psicologo e surfista, promotore di una sua idea: il Soul Surfing, fare surf con l’anima, andare con l’onda, armonizzarsi con essa in connessione con la natura accedendo alla dimensione più intima di sé per conoscersi meglio e accettare i propri limiti, l’esatto contrario di surfare con l’ego, cioè «in modo furioso, competitivo e disarmonico, in contrasto con gli altri e con l’ambiente». Bennet propone questa disciplina sportiva come un enorme potenziale al benessere fisico e spirituale di ciascuno ritenendola approcciabile da chiunque a prescindere da ogni condizione atletica, di partenza, anche in presenza di condizioni sfavorevoli come una disabilità.
“Soul Surfer” è anche il titolo di un film del 2011 che narra la vita di Bethany Hamilton, surfista statunitense, che all’età di 13 anni perde il braccio sinistro a causa di un attacco da parte di uno squalo tigre. Bethany dopo nemmeno un anno dall’incidente torna sulla tavola per riprendere in seguito a gareggiare. La sua è una storia di speranza, la costanza di risalire sulla tavola nonostante tutto, la capacità di raggiungere comunque un equilibrio e una stabilità su qualsiasi onda.
Jon Kabat Zinn, biologo e scrittore statunitense, padre della mindfulness e fondatore della Stress Reduction Clinic presso l’Università del Massachusetts, consiglia di immaginare la nostra mente come la superficie di un lago o di un oceano. Vi sono sempre delle onde, a volte grosse, a volte piccole e a volte impercettibili. Allo stesso modo in cui non è possibile stendere una lastra di vetro sull’acqua per calmare le onde, non si possono evitare tutte quelle emozioni e pensieri che ci fanno soffrire. E Jon Kabat Zinn afferma: «Se non potete arginare le onde, imparate il surf».