La luce della stanza è spenta, al soldato oramai non serve più.
L’unica fonte di luce è la finestrella alla mia sinistra che fa trafilare un fioco bluastro serale il quale mi rende giusto possibile vedere la fotografia che ho in mano. Cade una goccia sul pavimento. Sposto la foto giusto per vedere dove è caduta. Un pallino rosso sul pavimento. Sangue. Ma è una delle tante gocce che scivolano lente e calde dalla mia mano sinistra. Il vetro della fotografia si è rotto sotto la forza della mia pressione. Una goccia cade sulla fotografia. L’ironia la fa cadere proprio sulla faccia sorridente della mia ex. Ma è una delle tante lacrime che mi tagliano le guance. Fanculo la vita. Alla fine che senso ha vivere, siamo solo pesci rossi che nuotano a cerchio dentro bolle di vetro. Beh ora dico così, ma in realtà le vite mi interessano. Una volta mi hanno dato una medaglia d’onore. Napolitano mi ha stretto la mano. Ma nel frattempo io uccidevo. Da quando uccidere è onorevole? Da quando essere un omicida è positivo? Anzi posso ancora capire chi uccide qualcuno… ma io sono peggio. Almeno quando si uccide qualcuno normalmente lo si vede in faccia. Io vedo pallini rossi.
Era una giornata di sole, fresco di diploma mi arruolo nell’esercito e tutto comincia. Prima l’addestramento, poi il primo viaggio in Iraq ed infine il mio compito: guidare droni killer. Mi mandano le coordinate via email, io le digito sul motore di ricerca, faccio decollare il drone, schiaccio un pulsante e il conteggio di vite umane che popolano la Terra cala.
Ti dicono “Sono solo pallini rossi, non ci pensare” ma non funziona. Io affogo. Un serial killer americano si dice abbia ucciso una cinquantina di persone e sapete che fine ha fatto? E’ stato condannato all’iniezione letale. Sì, boh, l’avevo letto da qualche parte su internet forse. Io uccido cinquanta persone a settimana e mi prendo una medaglia.
Chiudo gli occhi e mi lascio piacevolmente avvolgere dal gelido nero che mi merito. E mi sento come scivolare sempre più giù. L’aria mi entra nei polmoni, ma mi sembra acqua. Guardo il comodino e vedo la mia inebriante amica, quella benedetta bottiglia. Ma è vuota anche essa. Ed ogni sorso di essa che ho fatto ha bruciato sempre di meno senza che il dolore si placasse. Che merda. Mi sembra di vivere in un film degli anni cinquanta. Tutto è grigio, non ci sono più colori. Se vedessi il rosso lo riconoscerei? Distinguerei ancora il blu dal verde? Mi alzo. Sto in piedi. Cammino. Prendo la pistola, la metto in tasca e esco dal mio palazzo. Devono essere passate delle ore perchè sono le cinque. Giro l’angolo e cammino. Mi fermo davanti alle strisce solo per abitudine perchè ormai chissenefrega di tutto. La luce di sopra del semaforo è accesa quindi devo aspettare. Penso sia l’ultimo semaforo della mia vita.
Una vecchietta stava andando a mettere i fiori sulla tomba del suo defunto marito al cimitero. Bastava attraversare la strada e si sarebbe trovata proprio davanti all’entrata. Poi avrebbe attraversato il cancello, avrebbe girato a destra, poi avanti fino al cimitero dei veterani di guerra, avrebbe girato a sinistra, avrebbe posato i fiori vicino alla lapide e gli avrebbe detto le cose più importanti accadute del 2014, proprio come ogni anno. Al semaforo vide un ragazzo e capì subito che era un soldato dal modo in cui stava in piedi ad aspettare che scattasse il verde. Lo guardò e disse “Buongiorno giovanotto! Vedo che sei un soldato, grazie per quello che fai per la nostra Nazione e soprattutto per Noi.”. Lui sorrise.
Io sorrisi, mi girai e vidi l’alba.
Stefano Lomartire