Uso la penna perché non posso fare altrimenti.

Uso la penna perché è l’arma del debole, dello sfruttato e del vilipeso.

Uso la penna perché è con lei che sono cresciuto, è per mezzo di lei che ho formato la mia mente.

Ci fu, in un tempo remoto, una scuola dove si insegnavano le lettere classiche, dove i sofisti si trovano a simposio e condividevano il proprio amore per la cultura, ci fu una scuola dove professori illuminati traevano fuori da una caverna buia giovani per condurli alla visione delle cose reali e così liberare la loro vista da ombre oscure e fallaci.

Ci fu questa scuola, in un tempo remoto,  c’è adesso una scuola sempre uguale a se stessa, ammuffita, malsana e decadente sotto il peso degli anni.

Ho imparato a crescerci in questa scuola borghese, dove il nepotismo e il pregiudizio dilagano. Ho cercato un angolo riparato, uno scoglio sicuro, un appiglio per sfuggire dal degrado che dilagava. Dopotutto un banco è pur sempre un buon posto per rifugiarsi e osservare il mondo; quella dello studente mediocre è la maschera più scontata e facile da indossare. Era un anfratto così adatto per guardare spegnersi come lumini i sogni di tutti coloro che giorno per giorno si erano stancamente  trascinati per le anguste aule e i corridoi colmi di tempo.

Ragazzi pieni, come me, svuotati lentamente da un sistema totalitario e retrogrado che sottomette e terrorizza. Dove il pregiudizio è imperante e le persone sono numeri, perché fu scritto e stabilito che un otto oppure un quattro sono sentenze definitive, ergastoli che si scontano per cinque anni. Non invidio ne l’uno ne l’altro, sono le due facce di una stessa medaglia, prodotti della stessa catena di montaggio fallata.

In quanto è evidente che chi porta a casa una pagella splendente avrà un futuro prospero aperto dinanzi a sé mentre chi stenta è e rimarrà un fallito.

Ho visto pianti, crisi isteriche e rabbia; ho visto ansia, panico e terrore.

Ho visto tutto questo e mi sono arreso.

Credevo forse in qualcosa di diverso. Noi che nella grotta siamo stati incatenati con nuove catene e sbeffeggiati.

E se la mia unica ed ultima arma resta la penna essa si ergerà ancora una volta , e anche dal mio corpo esangue pronuncerà infine la sentenza definiva.

Ma il mio nome rimarrà a voi oscuro, né mai conoscerete la mia identità; essa appassirà con me nell’oblio, senza speranza di salvezza. Ma da queste ceneri verrà creato qualcosa di migliore: un ideale, un ideale per il quale lottare, al quale aggrapparsi e che ci permetterà di credere ancora in qualcosa.

E chissà se forse un  giorno altri, come me, solleveranno la loro penna in segno di ribellione.

Sarà l’inizio, e sarà la fine.

“Perché, mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere; perché esse sono il mezzo per giungere al significato, e per coloro che vorranno ascoltare, all’affermazione della verità.”

E la verità, pura e semplice, è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questa scuola.

 

-Jacopo Garino