Non so quanti cuneesi capitino, più o meno abitualmente, nella stazione di Torino Porta Nuova. Immagino che, tra studenti e lavoratori pendolari, universitari fuori sede, liceali che cercano i fatidici “saloni dell’orientamento” per capire cosa fare della propria vita post-diploma, viaggiatori vari ed eventuali, molti di voi si siano accorti della presenza di un pianoforte. Nell’atrio, di fronte all’ingresso della metropolitana, in quello spazio che, per chi arriva a Torino in treno, rappresenta un po’ la porta d’accesso alla città.

E chiunque può sedersi e suonare.

Un pianoforte è di per sé poetico. Crea quell’atmosfera piacevole e armonica, dà l’idea che tutto sia nel posto giusto. E forse, semplicemente, questo basta per mitigare il caos frenetico della stazione, fatto di corse, annunci di ritardi e imprecazioni, persone da salutare e biglietti da comprare ad una macchinetta che porca miseria non dà resto.
Ma non è solo l’incontro tra armonia e caos, a rendere speciale un pianoforte in una stazione. Perché se ti fermi ad ascoltare chi suona, o anche solo dai un’occhiata mentre passi di fretta, ti rendi conto che sono moltissime le cose che quel pianoforte ha da dirti.

Innanzitutto, la musica che senti passando ti ricorda che, solo perché hai preso il treno delle 6.54, e stai andando a lezione, e hai decisamente troppo sonno per farlo, non significa che al mondo esistiate solo tu, il treno delle 6.54 e l’aula in cui ti rinchiuderai. C’è un mondo fuori da tutto questo, e la prova che quel mondo c’è sta nel fatto che qualcuno, a quell’ora del mattino, si è seduto a suonare. 
Ma se per qualche mattina, oltre ad ascoltare la colonna sonora che qualcuno ti sta offrendo, lanci uno sguardo a quel qualcuno, ti accorgi che spesso a suonare è una persona che, se l’avessi incontrata per strada, mai ti saresti immaginata seduta ad un pianoforte. E allora ti scrolli di dosso quello stereotipo (e forse, anche qualcuno degli altri) del pianista elegante e raffinato, con il frac e i guanti bianchi, e rimani incantato da quel clochard, o da quel ragazzo con la cresta e la giacca di pelle, e dalle loro mani che corrono sui tasti.

Che corrono, o che inciampano. Ecco un’altra cosa che ha da dire il pianoforte  di Porta Nuova. Oltre ai tanti che stupiscono perché suonano, con totale disinvoltura e senza spartiti, qualunque cosa, da Beethoven ai Coldplay, ci sono anche persone che si avvicinano timide, e sfiorano qualche tasto a caso, o provano Fra Martino. Li senti, e sorridi, se come me non ti intendi di musica, perché sai che tu non avresti mai il coraggio di farlo, chissà perché. Ma forse sorridi anche se ti intendi di musica. Perché una persona che si lancia senza paracadute in qualcosa, eroica o banale che sia, conquista la nostra simpatia. 

Ma il dono più grande che il pianoforte fa alla stazione di Porta Nuova, è accorciare il tempo. O meglio, dare alle persone uno strumento per farlo. Sciopero delle ferrovie. Arrivi in stazione, cerchi sul tabellone il tuo treno pregando che non sia stato cancellato. Il treno dovrebbe partire tra due minuti, ma il binario non è ancora indicato. Compare “5′” nella colonna “ritardo”. Poi 10′, poi 20’…poi scompare tutto, sostituito dalla scritta “CANCELLATO”. Ma tu ormai te lo aspettavi. Ti siedi e aspetti.

L’ultima volta che mi è capitato, un ragazzo suonava “Can you feel the love tonight” al pianoforte. Mi sono fermata, rassegnata ad aspettare un’ora sperando nel treno successivo, e intanto intorno al pianoforte si era creato un piccolo gruppo di persone. Il pianista continua con tutte le canzoni Disney che ricordo, e quando attacca “Let it go”, una ragazza aspetta che le prime note le diano coraggio, poi si alza e inizia a cantare. Più tardi, chiacchierando, ho scoperto che il pianista è un medico indonesiano e sta seguendo un master a Torino, e la cantante viene della California, ha un tatuaggio del Re Leone e sta lavorando in Italia come baby sitter. Un’altra ragazza si alza, chiede al pianista se conosce una canzone, e la musica ricomincia. Il piccolo pubblico canticchia con lei, chi a bassa voce, chi “facendo il coro”. Il treno dell’ora dopo è cancellato, e anche quello dopo ancora. Ma intanto si alternano pianisti e cantanti, e un po’ del mio nervosismo se ne va. Chiacchiero con chi si trova nella mia stessa situazione, mi chiedono di dove sono, cosa faccio nella vita, la ragazza californiana e la sua amica mi dicono che il prossimo weekend andranno alle Cinque Terre e mi offrono di andare con loro.

Arrivo a casa alle nove di sera. «Sì mamma, c’era sciopero. Avevo finito lezione alle quattro, e sono stata tre ore a Porte Nuova. Ma è stato meno peggio del previsto.». Il pianoforte ha fatto, ancora una volta, una piccola magia.