«Sogno un giornalismo moderno, indipendente da tutti, onestissimo nel più rigido e assoluto senso della parola». Parole, queste, che restano nella storia della cultura e dell’informazione e che, mai come oggi, costringono a una dolorosa riflessione. Parole pronunciate agli albori del secolo scorso da Alfredo Frassati, fondatore de La Stampa.
Ad oggi, il giornalismo e l’informazione in Italia si presentano come un unicum nella cultura europea, con caratteristiche a tutti gli effetti sui generis. Lungi dall’essere questo un vanto, purtroppo: la specificità dell’ informazione in Italia si presenta piuttosto come la tendenza al distacco da quella che è la finalità prima dell’informare, ovvero far conoscere dati veri relativi ad un fatto di cui il lettore non è testimone diretto. L’Estero ci guarda con sospetto, i meno sospettosi sono probabilmente gli Italiani.
Michele Loporcaro (Cattive Notizie, Feltrinelli), linguista italiano emigrato in Svizzera, ha cercato di analizzare il modo di fare notizia imperante in Italia; la teoria che ne scaturisce è estremamente interessante ed ha il grande valore di fomentare la coscienza critica del lettore, anche qualora questo non ne condividesse i termini.
Ciò che, secondo Loporcaro, caratterizza il giornalismo italiano è la miscelanza divagante di informazione e intrattentimento. Alla divulgazione di informazioni neutrali e oggettive, il cui fine ultimo é la testimonianza (modo di fare giornalismo che Loporcaro connota come progressista), il giornalismo nostrano avrebbe preferito una sorta di “racconto mitico”, il cui fine ultimo sarebbe scatenare la partecipazione emotiva del lettore, anziché la sua vena razionale e critica (e questo è, agli occhi del linguista, un modo altamente reazionario di informare). Creare un “racconto mitico” partendo da una serie di dati oggettivi, implica un lavoro di narrativizzazione che spesso fa appello alle componenti ancestrali-emozionali del pensiero umano: morte, sangue, amore, sesso. La notizia dunque al lettore si presenta come un coacervo di provocazioni emozionali, che poco spazio lasciano alla sua capacità razionale.
Ovviamente, il confine tra un’infomazione “colorata” di stereotipi emotivi e una reale manipolazione del dato reale è labile. Emozionare il fruitore del giornale/telegiornale/blog/libro può avere il grande vantaggio di distrarlo dal dato informativo reale. Alla base di questo meccanismo vi sono regole linguistiche e retoriche piuttosto banali, quali l’uso di ossimoro e antifrasi – si veda la tendenza a dire una cosa e il suo opposto in sequenza immediata, per annientarne il reale valore informativo – o della metafora, ad esempio calcistica, alla base del discorso politico e non solo (“siamo giunti ai calci di rigore”, in riferimento all’approvazione di una legge), o ancora allusioni a film o libri alla portata di tutti (“quattro cadaveri in cerca d’autore”, in riferimento a un caso di cronaca nera).
Il giornalismo italiano tende poi a una progressiva semplificazione. Che sia questo un valido esempio di democratizzazione della cultura e dell’informazione? Non proprio, poiché semplicità non equivale a chiarezza e, spesso, dietro forme all’apparenza semplici, si celano messaggi complessi e profondi, da cui il lettore deve essere tenuto, per così dire, alla larga. “L’importante è una sola cosa, che non trapeli nulla mai di men che rassicurante”, diceva Pasolini nella sua celeberrima accusa alla televisione.
Distrazione, vivacizzazione, alleggerimento della portata informativa, metodi attrattivi e di captazione dell’attenzione. Basti pensare alla tendenza dei telegiornali ad affiancare notizie importanti a informazioni molto meno rilevanti, quali quelle di gossip, senza soluzione di continuità.
L’addomesticazione dei fatti complessi, infine, presenta dei caratteri piuttosto inquietanti. Essa infatti si realizza non solo attraverso la semplificazione dell’informazione di cui detto sopra, ma, molto spesso, il metodo migliore per allontanare un lettore/osservatore dalla reale partecipazione al fatto consiste nell’assuefarlo a brutte notizie o immagini violente, così da provocae il lui un senso di indifferenza.
Sarà per questo che in un’intervista rilasciata a Mario Llorca, e fruibile su youtube, Erri de Luca ha dato questo consiglio: “Quello che posso consigliare è di diffidare di qualunque versione ufficiale, di contestare e di mettere sotto analisi le parole di qualsiasi versione ufficiale. Quando dicono che fanno delle spedizioni di pace con dei soldati, beh quelle non sono spedizioni di pace: le spedizioni di pace si fanno con gli infermieri, non con i soldati. Se uno si fa imbeccare queste bugie, queste informazioni deformate dal Potere ufficiale (…) è più debole.”
Ma attenzione: eccezioni non mancano al modo, tutt’altro che oggettivo, di fare giornalismo di cui detto finora. I difensori di quel giornalismo onestissimo in cui credeva Frassati sono certamente più numerosi di quanto il sistema negli ultimi anni ci abbia consentito di vedere. Ma, soprattutto, il numero di reali “informatori” è forse destinato a crescere, anche grazie al web e ai nuovi mezzi di comunicazione.
In ogni caso sono i fruitori a fare la differenza: se consapevoli dei meccanismi che la regolano, sapranno certamente fare un uso cosciente e positivo di ciò che l’informazione italiana può ancora dare.
Simona Bianco