L’Italia negli anni Settanta ha vissuto una delle fasi più nere della sua storia: gli anni di piombo costituirono un periodo di aspri scontri politici e di attentati improvvisi tra la gente comune, che generarono un terrore generale e di lunga durata: “non si era mai del tutto felici, anche innamorati, mai veramente lontani, anche nuotando al mare, mai interamente concentrati, anche studiando”. Così ricorda quegli anni Gianni Riotta, che scrive la prefazione di Treno di panna, romanzo d’esordio di Andrea De Carlo. E Treno di panna, uscito nel 1981 (ma già pubblicato in inglese con il titolo di Creamy train), all’epoca sorprese totalmente il pubblico italiano: una storia così diversa, così piena di speranza, così luminosa rispetto al buio di quella che Franco Fortini chiamò “la falsa guerra civile”.
Il romanzo racconta di Giovanni, un giovane italiano venticinquenne che decide di partire per Los Angeles apparentemente per andare a trovare i suoi due amici, Ron e Tracy. In realtà, il ragazzo resta in America e dopo diverse vicissitudini trova lavoro prima come cameriere di un ristorante italiano, fidanzandosi con la cassiera Jill, e poi come insegnante madrelingua in due scuole private della città. Presto la famosa e giovane attrice Marsha Mellows diventa una sua allieva, e Giovanni se ne innamora follemente. È proprio la passione per la sua studentessa che scuote finalmente il protagonista da quel torpore che il lettore percepisce fin dall’inizio della vicenda: Giovanni infatti si limita a fare il minimo indispensabile per sopravvivere in città, vivendo come ospite prima a casa dei due amici e poi a casa di Jill e cercando lavori di fortuna tramite curricula inventati.
Per di più, il ragazzo sembra osservare la realtà di Los Angeles dall’esterno, senza viverci veramente dentro: tramite i suoi occhi, il lettore vede una città brulicante e piena di aspettative verso il futuro, affamata di successo e notorietà. Lo stesso De Carlo ha trascorso un certo periodo della sua vita a Los Angeles insegnando italiano, proprio come Giovanni, e ciò gli ha permesso senza dubbio di tracciare un quadro dettagliato della metropoli. Accanto allo sguardo disincantato del ragazzo emerge paradossalmente e allo stesso tempo uno sguardo minuzioso: infatti il protagonista ha la passione per la fotografia, e girovaga per Los Angeles fotografando dettagli apparentemente insignificanti: “il dettaglio di un’automobile, il particolare di un abito, il frammento di un gesto frettoloso”. Si tratta dello stesso occhio del primo De Carlo, che Calvino aveva precocemente notato, parlando della sua “acutezza dello sguardo”.
Come l’incipit della storia, il finale descrive un panorama notturno di Los Angeles, un turbinio di luci nel “lago nero” della notte. È un finale aperto, denso di possibilità future: si legge tra le righe il brivido positivo e tutto giovanile dell’incertezza del futuro.
Ci si potrebbe giustamente domandare: perché Treno di panna? Che relazione ha il titolo del romanzo con tutta la vicenda? Si tratta del titolo inventato del film che Marsha Mellows aveva girato a Venezia nel 1971, durante il quale aveva conosciuto il suo attuale marito, l’attore Arnold Bocks. Il film lega allora Giovanni con Marsha per diversi motivi: l’attrice utilizza un quadernetto per le lezioni di italiano che aveva comprato proprio durante quel viaggio in Italia, ma non solo. Dice ad un certo punto il protagonista: “la vera cosa strana era che Treno di panna era il primo film di Marsha Mellows che avevo visto in vita mia. A pensarci mi riusciva abbastanza difficile respirare”. Nel libro non si esplicita mai veramente la vicenda che veniva raccontata nel film, ma metaforicamente si potrebbe pensare che “treno di panna” stia ad indicare proprio l’atteggiamento generale della città di Los Angeles: la determinazione e la speranza paragonate ad un solido treno che corre veloce, in una dimensione tuttavia sempre sognante, dolce come la panna. E proprio questo approccio alla vita, che alla fine viene adoperato anche dal protagonista, influenzò enormemente i letterati italiani di quegli anni, tanto che Gianni Riotta scrive: “era il mondo della nostra maturità, il futuro. Salimmo sul treno di panna, guardammo il tramonto della guerra fredda e lo sbriciolarsi dei suoi muri assassini e diventammo adulti”.