Si sedette alla scrivania, con la voglia di scrivere. Gli piaceva lasciarsi guidare dalla penna, le prime righe erano sempre una scoperta. Poi, improvvisamente, un’idea, un’illuminazione. No, una vera e propria ispirazione. Tra le labbra un sorriso, e via, iniziava a creare. Cosa? Non lo sapeva ancora con esattezza, ma ormai la sua mente aveva un’idea, una meta. Il bello era scegliere, tra un’infinità di modi diversi, come giungere a destinazione.
Teneva sempre a mente la sua prima volta, mentre componeva: quel giorno aveva davanti a sé un blocco di fogli bianchi, alto e largo quasi quanto la sua testa, una penna blu e tanta voglia di lasciare una parte di sé su quella carta. Non sapeva però come iniziare, non aveva qualcosa da scrivere, ma solamente un forte desiderio di farlo. Non sapeva ancora che tutto ciò sarebbe diventato parte della sua vita. Quella volta i fogli furono un po’ maltrattati, d’altronde il tempo gli avrebbe insegnato che per scrivere ci vogliono solo tre ingredienti fondamentali: la fantasia, la pazienza e la conoscenza di se stessi. La fantasia non mancava, ma aveva ancora molto di sè da conoscere. Di pazienza poi ne aveva ben poca quel giorno, aveva solo dieci anni.
Ricordava sempre quel momento prima di iniziare, in modo da poterlo fare con un sorriso. Ecco, un sorriso, o una lacrima, o qualsiasi altra emozione. Quando qualcuno leggeva i suoi scritti le cercava quasi ossessivamente nei volti, negli occhi, tra le pieghe delle labbra. Si nutriva di ciò, la sua giornata diventava autentica quando riusciva a capire cosa aveva trasmesso, come si sentiva il lettore subito dopo aver terminato di leggere. Voleva incontrare i suoi lettori, parlarci, conoscerli.
Un giorno però non riuscì ad ascoltare nulla, semplicemente perché la persona che le si presentò davanti non parlò, disse solamente: “Indovina ciò che provo”. Davanti a lui sedeva una ragazza, non l’aveva mai vista, ma quando la guardò negli occhi si perse. Ci vollero cinque minuti per ricordarsi di ciò che stava facendo e cosa gli era stato detto. Non rispose nulla. Lei si alzò e andò via, senza dire altro.
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva provato qualcosa del genere. Lasciò l’incontro e corse a casa. Era di nuovo quel bambino di dieci anni, era impaziente, aveva la testa piena d’idee, ma non sapeva più chi era. Un semplice sguardo gli aveva tolto ogni certezza. Piangeva, o forse fuori pioveva. Non sapeva se l’avrebbe rincontrata. Cosa le avrebbe detto? Proprio lui, che non credeva nei colpi di fulmine, che li giudicava così stupidi.
Trasformò ciò che aveva dentro in carta ed inchiostro:
Se solo il mio cuore fosse una penna
e tu la mia pagina,
ti bacerei lentamente d’inchiostro,
e con la mia punta mi svelerei su di te.
Sulla tua pelle rimarrei impresso per sempre,
così che tra una venatura e l’altra
chiunque potrebbe scorgere il mio amore.
Qualche giorno dopo lei tornò ad un incontro. Gli si sedette davanti, stava per dire qualcosa ma lui la interruppe.
“Sai quali sono i tre ingredienti principali che servono per scrivere?”
Lei, sorpresa, rispose: “No, quali?”
“Nessuno”. E le diede un pezzetto di carta.