Tutti vogliamo essere primi. Essere primi è un po’ come sentirsi perfetti. Invincibili, insuperabili. Primi. Racchiude in sé un certo compiacimento della nostra potenziale grandezza. Pensiamo che il successo possiamo procurarcelo solo arrivando primi e lo associamo alla completezza e alla felicità. Il successo è la soddisfazione, che ci fa sentire traboccanti. Perché siamo convinti di sentirci vivi solo se trabocchiamo. Siamo disposti a lottare per essere primi. Ci diciamo che vale la pena lottare con tutti noi stessi per arrivare all’obbiettivo. Siamo convinti che solo arrivando primi abbiamo la possibilità di essere felici e soddisfatti. La prima posizione sarebbe la nostra unica possibilità della nostra completa realizzazione.
La realtà è che nessuno è primo in tutto. Viviamo la nostra esistenza con uno strascico di imperfezione, che ci viene a colpire nel vivo della questione. Spendiamo tutte le nostre energie per arrivare primi, per poi scoprire che primi in tutto non saremo mai. Nutriamo per tutta la vita questo nostro ideale di limpidezza e semplicità, fino a quando scopriamo che non esiste, e che è destinato solo a rimanere astratto. È la nostra immutabile imperfezione, che poi ci delude. Scoprire che possiamo solo tendere a certi nostri obbiettivi, senza poterli mai raggiungere pienamente.
Prendendo consapevolezza del fatto che primi in tutto non possiamo esserlo, allora cerchiamo di esserlo almeno in una cosa. Cresciamo pensando che ognuno di noi sia predisposto a raggiungere un qualsiasi primo posto, lo chiamando talento. Ci convinciamo che ognuno è bravo in qualcosa, e giustifichiamo in questo modo le mille altre carenze, in tutti gli altri ambiti.
Scoprire l’arte per cui siamo nati non è cosa semplice, perché non emerge subito in tutti; ognuno ha tempi di maturazione diversi, e deve passare del tempo prima di godere del proprio primato, e non più preoccuparsi di tutte le altre mancanze, di tutti gli altri buchi, che costituiscono le nostre imperfezioni, le nostre condanne.
Il dramma si mostra quando non troviamo il nostro primo posto. Il dramma è quando arriviamo secondi in tutto, a un soffio dalla felicità. Rimane poi la delusione di essere in coda, il pensiero che sarebbe bastato poco di più per essere sereni. Il dramma dei secondi è quello di non essere mai così perfetti da essere primi e di non essere mai così imperfetti da essere ultimi. La loro battaglia è una guerra vinta e persa a metà. In bilico tra due diverse verità, messi di fronte a una condizione che non sentono propria. Sono combattuti tra il ritirarsi e il continuare a lottare, anche se mai nessuno un primo posto gli riserverà. Il loro dramma è la fuga dall’ultimo posto, continuamente diretti verso il principio, la vetta. È la paura di rimanere ultimi che gli fa correre e li spinge a lottare. Gli eterni secondi sono inclassificabili, posti all’ombra degli splendenti primi e degli irrecuperabili ultimi. Sono una via di mezzo, un ostacolo, qualcosa di non indispensabile.
Così come i secondi, anche i primi, passano una vita a lottare: difendono la loro posizione dalle grinfie degli agguerriti secondi, che sono sempre così vicini, ma per fortuna mai troppo da raggiungerli. La vita dei primi è costruita sulla paura di non esserlo più.
Gli ultimi sono quelli che hanno capito tutto. Sembra che stagnino nella loro posizione, consapevoli di aver fallito in ogni ambito. Sarebbero dei perdenti, quelli stanchi di correre, senza più paura di essere presi. Eppure dal fondo vedono le cose da una prospettiva diversa: hanno capito che le classifiche non sono importanti. Loro sono quelli che hanno smesso di correre e che si godono il paesaggio. Non è vero che gli ultimi saranno i primi. Dal loro punto di vista, i primi e gli ultimi sono concetti che non esistono. Gli ultimi sono quelli che conoscono il sapore di cambiare idea, per il solo scopo di essere più sereni. Agli ultimi non sfugge niente e hanno capito tutto della corsa, che cioè non è necessario correre. Hanno capito che in fondo i primi non sono sempre i più felici. Hanno capito che i primi non sono sempre i migliori.
Di Ylenia Arese