Nella riflessione precedente ci siamo lasciati con questa idea: puro amore ci sarà laddove ci sarà una scelta. L’educatore deve compiere delle scelte durante il processo di formazione del bambino: deve decidere se lasciarlo davanti alla televisione una o tre ore al giorno, se regalargli un cellulare a undici o a quattordici anni, se insistere perché dica “Grazie”o se non essere pedante. Impostare un metodo educativo comporta un rischio, perché scegliere è sempre rischiare, tanto più con una creatura umana, davanti alla quale è impossibile avere la totale certezza di che cosa sia meglio fare.
Hans Jonas, nelle pagine conclusive della sua meravigliosa opera Il principio responsabilità, rende tangibile e quotidiano il concetto apparentemente astruso di responsabilità, scrivendo: L’individuo consapevole dovrà ogni volta porsi nell’ottica di poter desiderare in seguito (col senno di poi) di non aver agito o di aver agito diversamente. […]Nonpermettere che la paura distolga dall’agire, ma piuttosto sentirsi responsabili in anticipo per l’ignoto costituisce, davanti all’incertezza finale della speranza, proprio una condizione della responsabilità dell’agire: appunto quel che si definisce il «coraggio della responsabilità». Secondo il filosofo tedesco, la responsabilità avrebbe due facce complementari, la speranza e la paura. La speranza viene definita “condizione di ogni agire”, perché, se non avessi qualcosa in cui sperare, getterei la spugna; la paura è invece non quella che “dissuade dall’azione”, ma quella che “esorta a compierla”. È la paura che sorge quando mi domando che cosa accadrebbe a quella persona se io non mi prendessi cura di lei: la spaventosa risposta a questa domanda fa nascere in me il sentimento della responsabilità. Un fattore dell’attuale crisi dell’educazione sta proprio nel segno che accompagna questa paura: oggi è frequente vedere molti genitori in preda a una paura “che dissuade”, e quindi negativa e paralizzante; l’incapacità di vedere il proprio figlio lamentarsi per un “No” e l’idolo della perfezione conducono a questo timore esagerato di sbagliare, preoccupazione che porta talvolta a un’anarchia genitoriale e a lasciare l’onere della decisione al bambino. Il diffuso terrore di un trauma,che uno sbaglio educativo (come una sanzione scolastica ingiustificata, una sgridata immotivata, uno scatto d’ira isolato) causerebbe sul bambino, s’inserisce in una più ampia concezione antropologica errata che rifugge il dolore perché lo vede come qualcosa di dannoso: la sofferenza però è superabile, e quindi il figlio saprà perdonare un errore dei genitori, se questi si scuseranno e non ripeteranno più il medesimo a oltranza.
La paura è la pietra d’angolo dell’assunzione della responsabilità e del processo educativo, ma dev’essere una paura costruttiva che incentivi a fare bene il proprio lavoro, con la chiara consapevolezza della propria fallibilità. Questo non significa essere indifferenti ai propri sbagli e abituare il figlio a dolori vani e pesanti: sia chiaro. Ciò significa piuttosto che occorre tutto l’impegno nell’educazione dei figli, dimostrandosi sufficientemente sicuri della propria linea educativa, sapendo però che qualcosa scapperà di mano. Grazie al Cielo nessuna educazione è perfetta: infatti l’umanità migliora perché le nuove generazioni evitano di commettere gli errori dei padri, che sono la benedizione che permette il progresso.
Educazione è amore, amore è responsabilità e responsabilità è scelta: se non rischiamo per amore, che cosa ci facciamo su questa Terra?