(Recensione film)
“…e se andrà avanti così, alla fine per lei sarò solo uno che legge le lettere.”
(da Lettere di uno sconosciuto, regia di Zhang Yimou)
Quando il marito Lu (Chen Daoming) viene allontanato per motivi politici dalla moglie Feng (Gong Li) quest’ultima, ribellandosi alla separazione, subisce un forte trauma cerebrale, perdendo per sempre la capacità di riconoscere il volto dell’amatissimo marito, anche quando questi, dopo 20 anni, riesce a ritornare a casa.
Il velo dell’oscurità cala sugli occhi di Feng: infrangibile e sottile, impenetrabile anche quando ritorna la luce che tanto gli era mancata.
Laddove dentro di sé è scomparsa ogni speranza, si perde la capacità di accettare la felicità, una seconda opportunità di vivere. La sofferenza diventa un’abitudine che, patologica, penetra nel corpo e nell’anima, e irrompe tra i tessuti con le sue robuste radici, che nonostante tutti gli sforzi, non si possono estirpare.
Ma non sarà vano quell’amore delle persone care, che cercherà instancabilmente di insinuarsi tra queste radici, di corroderle: mentre Feng continuerà ad aspettare quell’amore che non è in grado di vedere, Lu dovrà accettare di calare nelle tenebre per prendere la moglie per mano e percorrere assieme il cammino del dolore.
L’amore è gioire e soffrire insieme.