Cara *,
mi dispiace non poterti chiamare per intero, perché il tuo nome sembra esprimere la sensazione di forza che emani, ma ho l’obbligo di proteggere la tua identità. Come si fa con i supereroi.
Non sei la prima bimba senza capelli che vedo, ma sei la prima che mi sembra perfettamente normale così. E mi chiedo quanto sarai bella quando torneranno, anche se non riesco ad indovinare di che colore sono.
Con i “tle” anni che dichiari tutta orgogliosa, mostrando anche il numero con la mano e con l’aria da grande, sei andata e tornata dall’inferno. Quello vero, non quello in cui un po’ tutti i grandi si sentono ogni tanto. Un inferno con un nome difficile, da cui sei tornata senza capelli e con un paio di gambe diverse da prima. Sei dovuta stare ferma, immobile, e appena hai potuto hai liberato tutta l’energia che hai accumulato e l’hai lasciata esplodere nel nostro ambulatorio.
Hai riso, giocato, giurato di non essere stanca quando noi grandi pensavamo di sì. Ti sei guardata nello specchio sorridendo, come a fare una promessa a te stessa. Hai camminato, tanto, su quelle gambe che ancora non ti reggono come vorresti, ma che non ti fermano, perché tutta la forza che hanno perso si è spostata da qualche altra parte.
Hai imparato a sfruttare tutte le possibilità che i tuoi muscoli e i tuoi nervi ti danno. Sei riuscita ad essere una bimba di tre anni, indipendentemente da tutto il resto. E sei riuscita a farti guardare ammirata, mentre cammini sorridendo in corridoio, da tutti i grandi che forse, forti come te non si sono sentiti mai.
Dici di voler camminare da sola, senza appoggiarti da qualche parte. Dici “ho sognato che corro”, e spezzeresti il cuore di chiunque ti senta.
Ma oggi, mentre eri appoggiata a me, c’era tutta la vita del mondo negli occhi di una bimba senza capelli che non sapeva se tenersi alla mia mano o fidarsi delle sue forze. E ho capito che ci stavamo tenendo a vicenda, io ad aiutare il tuo equilibrio e tu a scuotere i miei occhi da grande, perché perdessero i filtri che mi nascondono tutta questa bellezza. Tutta questa incontenibile voglia di crescere.
Quando mamma ti ha detto di rallentare, hai risposto “tai tanquilla, non cado”, ed eri talmente determinata che abbiamo capito che avevi ragione. Ti sei lamentata quando ti hanno seduta nel passeggino, volevi camminare ancora, non eri stanca. Eppure avevi portato un uragano, in ambulatorio. Come si fa a non essere stanchi, dopo aver portato un uragano tutto da soli.
Forse quell’uragano è solo vita, nella sua forma più autentica e più luminosa, così forte da fare quasi male, così vera che non ci siamo abituati.
Non capita spesso di vedere un uragano che si mostra con tutta questa semplicità e con tutta questa fierezza, in una bimba senza capelli.
Grazie, piccolo Inno alla Vita.