Bisognerebbe scrivere un libro ogni volta che si esce di casa. Del resto le grandi rivelazioni della vita arrivano quando la concretezza del quotidiano appare così banale da aprire gli occhi e la mente a ciò che normalmente superiamo indifferenti. Come quella mamma che spinge il passeggino, che ogni tanto si allunga in avanti, inarca la schiena e controlla dall’alto il figlio addormentato; come il kebabbaro su Via Po che quando ti vede passare, ti allunga una patatina, senza chiederti nulla in cambio. Come il giovane smarrito in qualche viuzza sbagliata, che ti chiede indicazioni, proprio a te, che sei più persa di lui; e allora ci si avvia insieme, da qualche parte si arriverà.
Sono momenti in cui il mondo fa un rumore un po’ strano, tu a malapena te ne accorgi, ma se ci presti attenzione lo senti, il signore accanto a te che ha il singhiozzo. E magari ti viene da ridere, e magari lui ti guarda, e magari una bella risata insieme ve la fate.
A Torino i rumori sono un po’ troppi, per accorgersi sempre di quelli che il mondo si fa scappare accanto a noi. Ci va un orecchio attento, o forse è meglio la stanchezza di una mattina gelata e un pullman troppo affollato di gente con ombrelli troppo bagnati. A me è successo così.
Nel sobbalzare monotono dell’autobus ho scoperto una grande verità: la vita non è altro che un atto di fiducia, un continuo, inalterato, folle fidarsi. Per quanto la realtà ci possa deludere, per quante sofferenze la vita ci abbia riservato, non possiamo sfuggire a questa legge e, credo, non vogliamo.
La realtà è che se il pulminista sbandasse sulla strada bagnata, probabilmente avrei sbagliato a fidarmi di lui. Ma conoscete altri modi di vivere?
Lo sguardo di un passante che si sofferma sui miei capelli disordinati, l’autore che ha scritto il libro che sto leggendo, la persona svenuta alla fermata, la ragazza conosciuta a lezione, il vecchietto che rovista nel bidone mentre butto la pattumiera… Basta incrociare il loro sguardo una volta, o forse nemmeno, perchè la loro storia mi riguardi. E loro si fidano di me, perchè in quel brandello di loro vita che mi lasciano intravvedere, sento tutto il loro modo di essere uomini, e proprio in quell’istante, magari uno in tutta l’esistenza, tocca a me occuparmene.
E’ il meccanismo che manda avanti il mondo, è una storia che fatichiamo a capire, perchè ci siamo troppo dentro, perchè è l’unico vero modo di Esistere. Nell’altro uomo mettiamo radici.
In fondo se mi sentissi male per strada so per certo che ci sarebbe qualcuno pronto a lasciar perdere il giornale che sta leggendo per aiutarmi. So che se in una sera triste camminassi sola per strada, troverei qualcuno che un sorriso pronto dietro le labbra ce l’ha. So che se correndo mi scontrassi contro un vecchietto burbero, nel frattempo gli avrei lasciato qualcosa, fosse anche solo un livido sul braccio.
La nostra vita in fondo è grande quando la carta lucida di una caramella, se la infila nel taschino chiunque ci incroci. E se andrà male, pazienza: in fondo abbiamo anche noi un taschino pieno di carte; le nostre preferite, quelle di cui ci prendiamo più cura, quelle stropicciate, dimenticate, tenute per ricordo, appiccicose o profumate di fragole. L’importante è che in qualche momento, sparso qua e là nella nostra storia, le sentiamo fare sul petto quel rumore che solo le carte delle caramelle accartocciate sanno fare. Basta ricordarci ogni tanto degli sguardi che abbiamo incrociato, delle mani che abbiamo stretto, per continuare lo spettacolo.
E credo che il mondo potrebbe fermarsi, tutto l’universo prendersi un attimo di pausa, quando su quel pullman, schiacciati e annoiati, ci scappa insieme da ridere per qualcosa visto fuori dal finestrino. In quel momento, nella mia risata amplificata da quella degli altri, c’è tutta la forza per farlo ripartire.
Non basterebbe una vita per scrivere un libro su una sola volta che si è usciti di casa. Ma in fondo a che servirebbe? E’ una storia che conosciamo bene, che ci riguarda tutti. E’una storia bellissima.
Simona Bianco