Come sembra lontano il Ventesimo secolo. Un tempo in cui l’euro non era ancora realtà ed in cui il termine Unione Europea aveva ancora un valore prettamente positivo. A diciassette anni di distanza da quella vetta invalicabile che doveva essere il 2000, tanto è cambiato, con un’unità politica continentale che scricchiola da Nord (Regno Unito) a Sud (Grecia), sfregiata internamente da una serie di partiti-movimenti che ne inneggiano alla morte. Uno di questi, forse il più rilevante in questo preciso momento storico, è oggi al centro dell’attenzione, pronto com’è ad impossessarsi dello scettro del potere in Francia, lanciando la crociata dell’anti-europeismo. Stiamo parlando ovviamente del Front National, impresa della famiglia Le Pen, che ha lanciato negli ultimi anni la figura della figlia d’arte Marine. Il 7 maggio proprio lei, forte del suo 21.53% ottenuto al primo turno, proverà a scalzare il favoritissimo Emmanuel Macron (23.75%) nella corsa cruciale, non solo a livello francese, all’Eliseo. Un momento storico, che potrebbe segnare la storia dell’Europa intera, scatenato da due figure apparentemente rivoluzionarie, ma molto distanti tra loro.
Eppure, riavvolgendo il nastro della memoria con un immaginario rewind, è possibile ritrovare proprio a ridosso dell’epocale sorpasso del 2000 un caso che ha fatto scuola, ponendo ancora una volta lo sport al centro delle grandi dinamiche politiche. Già una volta, infatti, un Le Pen, il “buon vecchio” Jean-Marie, si ritrovò ad un passo dalla Presidenza della Repubblica francese e già in quel caso fu un appello al popolo all’unità repubblicana da parte di tutti i partiti a spegnere sul nascere le sue pretese. A sorridere fu Jacques Chirac, sospinto dall’82.21% degli elettori, chiamati a raccolta dai loro partiti di riferimento. L’anno era il 2002.
Dal 5 maggio 2002 al 7 maggio 2017, una distanza di quindici anni annullata in un baleno. Con una differenza. La Francia del tempo era ancora figlia di quella che aveva visto nell’Europa un futuro e che trovò alleata fondamentale nella nazionale di calcio transalpina, emblema di una generazione sportiva, quella degli anni ’90, frutto del percorso di integrazione degli immigrati di prima generazione, provenienti dalle ex colonie transalpine. Fu la cosiddetta “équipe black-blanc-beur” (come i colori dei volti dei suoi componenti, originari di Francia, Africa Centrale, Africa del Nord e Dom) a guidare la riscossa repubblicana, con un vero e proprio appello pubblico del capitano del tempo, Marcel Désailly (i più appassionati se lo ricorderanno al Milan a metà anni ’90) affinché si muovesse verso le urne sostenendo Chirac, per salvaguardare l’unità repubblicana francese ed il percorso di amalgama tra nazionalità diverse.
Qualche anno prima Le Pen aveva definito “intollerabile” definire francese una nazionale composta da individui provenienti da altri Paesi, che non sapevano o non volevano cantare la Marsigliese. La risposta di Désailly, originario della Guyana francese, e di tutta la nazionale bleu è riassunta da alcune sue dichiarazioni del tempo:
“I giocatori della nazionale francese, con diverse origini condannano unanimemente le nascenti idee di razzismo ed esclusione. Vedono i comportamenti che mettono in pericolo la democrazia e la libertà come intollerabili ed indifendibili, soprattutto in una Francia multietnica e multiculturale”.
“Voi giornalisti non siete abituati a un calciatore che prende posizione, ma nonostante non gradisca questo assalto mediatico non potevo tirarmi indietro: sono il capitano della Francia e non ho dubbi sul fatto che certe cose vadano dette. Credo sia incontestabile che Le Pen sia a capo di un partito fascista”.
Come lui fecero Zidane, Pires e molti altri simboli della generazione più vincente della storia transalpina, reduce al tempo dal doppio trionfo al Mondiale 1998 ed all’Europeo 2000, influenzando in modo significativo l’esito di quella tornata elettorale. La storia fatta da un loisir.