Dicono che la ricerca della felicità duri tutta la vita, che, per quanto ci si possa trovare vicini, questa ci sfuggirà ancora e ancora; più che una ricerca, da come lo descrivono, sembra un inseguimento. Bene, Paolo aveva corso veloce, perché era ad ormai pochi centimetri da essa.
Ma, prima di raccontare ciò che stava per accadergli, è necessaria un’introduzione appropriata.
Paolo era il classico ragazzo di paese con poche storie da raccontare. La sua famiglia si era disgregata con il passare della sua tenera età: i suoi litigavano sempre e, pensando che sarebbe stato meglio per il bambino, sua madre si allontanò da lui e dal padre. Questi però lavorava parecchio, dalle sei di mattina alle sette di sera. Ed ecco la combinazione perfetta perché Paolo, crescendo, si facesse attrarre dalla vita di strada. Paolo però aveva un pregio: non era condizionabile, era testardo come un mulo. Nessuno riusciva a modificare i suoi modi di fare o il suo pensiero. Fu così che si salvò la vita, schivando proiettili che gli si presentavano sotto forma di piacevoli passatempi o di lavoretti innocui per persone poco raccomandabili. Paolo era molto più forte di quanto si rendesse conto, era un adolescente con la consapevolezza di un adulto, ma con gli occhi innocenti di un cucciolo.
Il suo comportamento così al di fuori della norma per un ragazzo della sua età aveva incuriosito un sacco di persone, ma poche erano rimaste davvero. Solo due tra queste potevano considerarsi suoi amici intimi, anzi, amiche: Greta e Lucia. La sensibilità di Paolo si sposava più facilmente con quella dell’altro sesso: era malinconico ma simpatico, molto più socievole quando ci si trovava da soli con lui che quando si era in gruppo. Uno a cui affidare i propri segreti con la sicurezza che se li sarebbe portati fin nella tomba. Non che non avesse amici maschi, ma era pessimista rispetto alle qualità del genere maschile, era remissivo ad intrattenere conversazioni particolarmente serie con essi. Anche se non sempre era stato così, fino alla terza media aveva rivolto la parola a due persone appartenenti l’altro sesso, una delle quali era la sua insegnante di musica, che lo aveva preso in simpatia. Poi era arrivata la prima cotta, non ricambiata, che gli aveva permesso di scoprire quanto fosse importante per lui confrontarsi con le ragazze.
Immaginatevelo: bruttino, non particolarmente muscoloso, a combattere per non abbandonarsi alla strada. Era tentato, ma sapeva che suo padre si sarebbe sentito responsabile e lo rispettava troppo per causargli un simile dolore. E poi suo padre aveva sempre fatto il possibile perché Paolo fosse felice e perché non gli mancasse nulla, a costo di sacrificare del tempo che avrebbero potuto trascorrere insieme lavorando. Così facendo aveva però rischiato che il ragazzo si buttasse via, ma era troppo stressato per rendersene conto.
Quando iniziò la meravigliosa stagione delle prime volte, Paolo conservò, in qualche maniera, la propria innocenza. Era spesso preso in giro per questo suo trovarsi in una sorta di bolla, ma non gli importava. Era felice, lo era davvero. In Greta e Lucia aveva trovato qualcosa che lo stimolasse, senza che venisse giudicato. Poteva dare sfogo a ciò che aveva da dire, e ne aveva parecchio. Però, parlando, non era in grado di esprimerlo appieno. Così decise di provare a scriverlo, e fu una benedizione: le parole sgorgavano così spontaneamente da fargli sembrare di essere un’altra persona. La frase di Ernest Hemingway che aveva schernito tempo prima gli tornò in mente, e si rese conto che aveva ragione. “Scrivere non è difficile. Basta sedersi davanti ad un foglio e sanguinare per un paio d’ore”. E Paolo sanguinò parecchio. Sanguinò per mesi senza quasi fermarsi, e compose un libro.
Come tutte le belle storie, deve per forza esserci un intoppo da qualche parte. Il suo fu scoprire di essere gay. So cosa starete pensando e, no, non sono omofobo. Lasciate che vi spieghi. Per lui non era un problema, come avrebbe potuto. E nemmeno per Greta e Lucia. Per suo padre lo era eccome, invece: si era spaccato la schiena perché fosse “normale” (parole sue, Dio me ne scampi) e come ricompensa lui era diventato “Uno di loro”. Non la pronunciava nemmeno la parola gay, gli provocava ribrezzo solo il suono che questa assumeva. Non giudicatelo, non era un uomo cattivo. La sua famiglia lo aveva avvelenato con quest’ideologia, e ormai era troppo tardi per estirparla. Il rapporto tra i due di conseguenza andò gradualmente scemando: Paolo, giustamente, non sopportava il pensiero stereotipato del padre, e quest’ultimo era convinto di aver sbagliato qualcosa nell’educare il figlio, e se ne vergognava atrocemente.
In una situazione del genere non esiste una scelta corretta né, tantomeno, una errata. Quella di Paolo, però, fu parecchio avventata: scappò di casa. Aveva poco più di diciassette anni. Si trasferì momentaneamente nell’abitazione del suo ragazzo, ma poco dopo si lasciarono; si trovò improvvisamente senza un luogo in cui trovare rifugio e con una manciata di spiccioli nel portafoglio. Fu la settimana più lunga della sua vita: dopo un giorno e mezzo terminò i risparmi, ma il suo orgoglio gli vietò di tornare strisciando dal padre. Era solo contro il mondo, che allo stesso tempo si stava però mobilitando per cercarlo. Suo padre si era pentito dal momento esatto in cui aveva messo piede fuori da casa e, per provare a trovarlo, denunciò la sua scomparsa.
Ma, come si dice, non tutte i mali vengono per nuocere: mentre Paolo cercava di rubare un pezzo di pane dentro un supermercato, fu scoperto da un giovane commesso dall’accento ispanico; avete presente il tanto desiderato amore a prima vista? Tra loro andò più o meno in questo modo, con l’eccezione che il primo appuntamento fu un inseguimento attraverso il parcheggio del supermercato. Come terminò? Ovviamente in modo romantico: il commesso placcò Paolo, che lo pregò di lasciarlo andare. E così fu, e il fuggitivo, essendo in debito, offrì un caffè al benefattore, pur essendo cosciente di non potersene permettere nemmeno una goccia. Il commesso, che per informazione si chiamava Miguel, non sembrò particolarmente stupito della storia di Paolo, cosa che disturbò in qualche maniera il ragazzo. Venne il turno di Miguel di raccontare la propria vita: ed ecco che, con una semplicità inaudita, tutti i pezzi del puzzle che componevano l’esistenza di Paolo iniziarono a combaciare. Si innamorò subito, e in quel momento capì davvero che cosa avrebbe voluto e dovuto essere. Erano entrambi timidi, ma avevano un disperato bisogno di contatto fisico. Spero non sappiate di cosa parlo, ma è quella sensazione che si scatena quando ci si sente persi e si ha bisogno di aggrapparsi fisicamente a qualcosa, di stringerlo abbastanza forte da impossessarsene. Quella sera stessa finirono a letto insieme, e, per quanto sembrasse affrettato, la sintonia tra di loro era evidente.
Fu un nuovo inizio. Il giorno seguente Paolo tornò a casa, e il padre lo abbracciò come non lo aveva mai fatto prima. Si scusò, ma era così felice da non riuscire a scacciare via il sorrisetto da ebete che gli si era scolpito sul volto. Ricordava molto bene quel momento, in cui, nonostante non avesse dormito per due notti di fila, si sentì forte; ma non una forza descrivibile, piuttosto qualcosa di così intenso e fugace che, una volta scomparso, ti lascia senza forze e con il fiato corto.
Nonostante il suo talento, Paolo pensava che non sarebbe mai diventato uno scrittore. Era discontinuo in tutto, e, seppur la sua passione fosse considerevole, la costanza era quella spinta in più che gli era e gli sarebbe sempre mancata. Tranne che in un aspetto: aiutare gli altri. Aiutare gli veniva così bene che sarebbe stato uno spreco non sfruttare questo suo talento in modo che gli permettesse di vivere in modo dignitoso. Aiutare ed essere aiutati. Si era sentito solo abbastanza e non gli era piaciuto.
La sintonia tra i due amanti non si scalfì con il passare del tempo. Ogni secondo che passava si rendevano conto di quanto fossero indispensabile l’uno per l’altro, e per loro non esisteva nulla di meglio. Paolo convinse Miguel a riprendere gli studi, e questi si diplomò dopo un anno circa.
Volevano costruirsi un futuro stabile, concedersi la sicurezza che a loro, per motivi diversi, non era spettata. Ma trovarono qualche intoppo, anzi, trovarono un muro di cemento armato ad aspettarli. La discriminazione a cui gli omosessuali sono sottoposti non è una novità; certo, nel 2019 nessuno si osava criticare ancora apertamente gli omosessuali, si sarebbe ritrovato contro uno tsunami di falsa indignazione. La verità è che la battaglia contro l’omofobia non era stata nemmeno iniziata checché se ne dicesse. La tolleranza era quasi nulla, figuratevi il rispetto. Non potevano sposarsi senza che in tutto il paese si scatenassero un’indignazione ed un distacco totali.
Si trovavano davanti ad un bivio, ma entrambe le strade erano pericolanti: nascondere il loro orientamento sessuale e nascondersi, provando a vivere come le persone “Normali”, come le definiva il padre di Paolo; oppure esporsi, senza rinnegare la loro indole, correndo di fatto il rischio che le poche porte che la vita gli avrebbe aperto si sarebbero rivelate basse e strette. Avevano venticinque anni ormai, e dovevano compiere quest’ingiusta scelta. Paolo, testardo com’era, non dubitò mai del fatto che si sarebbe esposto; Miguel, meno coraggioso, aveva paura. Paura di amare, ecco a cosa si era dovuto ridurre. E la paura gioca brutti scherzi, è risaputo. Passarono mesi, e il rapporto dei due si raffreddò sempre più. Litigavano sempre senza un vero motivo. Un giorno Paolo trovò un biglietto sul proprio comodino: “Non ti ho mai meritato. Sii tutto quello che vuoi e puoi essere”. Fu un colpo duro. Ma Paolo lo era di più.
Scrisse, guidato dalla rabbia, pagine e pagine di critica contro un mondo razzista e oppresso dalla paura del “Diverso”, anche se di diverso non aveva un bel niente: aveva un naso, due occhi, due braccia e due gambe. E un cuore enorme. Ecco, quello era il suo difetto: avere un cuore troppo grande per una gabbia così piccola.
Avrebbe potuto rassegnarsi, ma non ne volle sentir ragione. Il suo essere così testardo lo salvò di nuovo. Scrisse per mesi senza praticamente fermarsi. Chiamò il suo libro “Tutti sbagliano”, in cui perdonò tutti coloro che avevano avuto pregiudizi nei suoi confronti, a condizione che si impegnassero nell’ampliare la loro elasticità mentale. Lo presentò ad un suo vecchio amico, che era diventato editore, e questi lo pubblicò senza indugiare. Fu la seconda più grande soddisfazione della sua vita, la prima ve la racconterò a momenti. Ebbe un discreto successo, e poté così formare un’associazione che rappresentava i diritti degli omosessuali, riuscendo, con il tempo, a sensibilizzare parzialmente la considerazione nei confronti dei gay. Ovviamente si fece dei nemici, ma era inevitabile. Li ignorò sempre, lasciando che gli insulti ricevuti si ritorcessero contro gli accusatori.
Aveva però tralasciato la sua vita sentimentale. Ma sentiva di non essere pronto ad impegnarsi prima di poter amare senza che ciò avesse ripercussioni negative sulla sua vita. Gli mancava, però, qualcuno in cui riporre il suo spropositato amore.
Ed è qui, amici, che possiamo ricongiungerci a ciò che vi ho narrato nelle prime righe. Vi ho detto che Paolo stava per provare una felicità che mai avrebbe pensato gli fosse stato concesso di provare. Ed è così: decise di adottare un bambino. Sebbene le normative sull’adozione non fossero molto definite, il suo gesto, essendo ormai una sorta di personaggio pubblico, sarebbe stato forte. Dovette lottare anche per quello, ma alla fine vinse. Il tragitto che dalla macchina lo portò ad incontrare il suo futuro figlio gli rimase scolpito nella mente: il vento, che trascinava pigramente le nuvole con sé, l’odore della pasticceria accanto al centro adozioni, e la macchia di caffè che si stagliava fiera sulla sua camicia a quadri.
Ed eccolo lì, giunto al momento che si sarebbe rivelato il più felice della sua vita. Nessuna sensazione raggiunse mai quel grado di intensità, mai quella forza spiazzante che rende un uomo invincibile e completo. Lo chiamò Miguel, per non scordarsi da dove tutto era iniziato.
Forse, se sono stato sufficientemente abile nel farvi apprezzare la sua storia, sarete curiosi di come questa possa essere terminata. Ma io non lo ritengo importante. Credo che, in qualsiasi modo questa vicenda possa essersi conclusa, Paolo sarebbe stato felice. Aveva combattuto per gran parte della sua vita e aveva vinto, tutto il resto si poneva in secondo piano. Ed è questo che deve aver insegnato a suo figlio, a non aver paura di mostrarsi per come si è, senza curarsi di essere accettati, perché è così che si trova la forza di apprezzarsi davvero.
Simone Arciuolo