Mercoledì sera: Coppa Italia. Sono comodamente seduto sul divano e tra un calcio d’angolo infruttuoso ed un bel tiro di testa, mi cade l’occhio sugli spalti. Che desolazione. Seggiolini vuoti che si cercano di camuffare con un arcobaleno di tonalità per rendere più allegra una scena triste. Piccoli gruppi di tifosi che riesci a malapena ad intravedere in alcune inquadrature. Cori che diventano coretti e coreografie ormai scomparse dal repertorio. Ma cos’è uno stadio senza tifosi?
Paolo Pulici, ex attaccante del Torino, disputò 14 campionati, 437 presenze e 172 gol con la maglia del Toro, nessuno ha segnato tanti gol quanto lui. Un simbolo nella storia del Torino, un beniamino del pubblico, idolo incontrastato della curva e di tutti i cuori granata. Egli stesso ama ricordare che spesso quando era in campo giocava ad occhi chiusi perché era il rumore della tifoseria dalla curva “Maratona” che gli diceva esattamente dove si trovava in campo. I tifosi erano la sua bussola, il suo radiofaro. Si racconta che un giorno, ad occhi bendati lo scarrozzarono per il campo e, una volta fermatosi, con il solo riferimento del tifo dei suoi supporter, seppe dire esattamente a che distanza si trovasse.
È questa la magia che si manifesta negli stadi, nei palazzetti, sugli spalti di ogni competizione sportiva. Il pubblico è parte integrante dello spettacolo. Batte le mani dando il ritmo per la partenza dell’atleta nel salto, spinge con un boato la palla nel canestro, crea un’onda visiva da una curva all’altra per manifestare il suo entusiasmo ed esprime la sua attenzione e partecipazione con il silenzio durante una partita di tennis.
Questo è il pubblico che manca: quello sano, quello veramente sportivo, quello che sa applaudire anche l’avversario, che sa riconoscere le sconfitte e che rispetta le regole. Quel pubblico che Pulici amava e di cui si fidava per intuire la distanza dalla curva e tirare in rete è fondamentale.