La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda è forse uno dei grandi capolavori letterari del nostro Novecento, che racchiude in sé una forza entropica e aspramente autobiografica; così l’autore ci catapulta all’interno di una Milano fittizia, situata nell’America Latina, e racconta la storia di un Matricidio tentato e quasi sicuramente riuscito. Gadda, attraverso il suo protagonista, Gonzalo Pirobutirro, analizza profondamente il rapporto con la propria madre, ormai defunta. La stessa donna che per decenni, di ritorno dalla prima guerra mondiale, passata in gran parte come prigioniero in Germania, gli ripeterà che sarebbe dovuto morire lui al posto del fratello, deceduto in un incidente aereo per mano tedesca. Gadda conseguirà, sempre sotto volontà della donna, una laurea in ingegneria e sarà costretto ad abbandonare gli studi filosofici prima della discussione della propria tesi Meditazione Milanese, divenuta in seguito una vera e propria opera.
Iniziò a scrivere il suo romanzo subito dopo la morte della madre, nel 1936, e uscì edito da Einaudi solo qualche decennio più tardi, nel 1963.
La cognizione del dolore è un intreccio linguistico assai complesso e ricercato: sono presenti termini dialettali, latineggianti, spagnoli -avendo vissuto in Argentina- e colloquiali; tuttavia non mancano dei cambiamenti di registro assolutamente inaspettati, tendenti al lirismo poetico per cui Gadda sembra portato e a suo agio. Non a caso, forse, il romanzo si chiude con una poesia dedicata alla madre, scritta un paio di anni prima che lei morisse.
Tra le righe gaddiane si può percepire sempre una congiunzione tra la dimensione psicologica e fisica dei personaggi, soprattutto nella figura di Don Gonzalo, il quale tende sempre al profondo, all’abisso di Nietzsche. Purtroppo, però, la sua situazione viene continuamente banalizzata, come si evince dal dialogo con il medico all’inizio dell’opera, creando uno sfondo simile a quello dei Promessi sposi di Manzoni, dove il vincitore reale del romanzo è Don Abbondio, personaggio dotato di un intelletto medio.
Il titolo originale dell’opera, Matricidio, non rende giustizia alle pagine scritte dall’autore milanese, relegando il testo a una dimensione più criminosa; invece il fulcro del racconto è la cognizione del dolore di un figlio per la morte della propria madre. Nell’appendice troviamo un’intervista immaginaria tra l’autore e l’editore, il quale chiede venia a Gadda forse proprio per avergli fatto ricordare il dolore causato dalla perdita della figura materna, a lui così cara nonostante tutto.