– Ciao Franco. Benvenuto a Cuneo! Perché proprio qui?
– Ciao ragazzi. Innanzitutto sono stato invitato a Cuneo dagli organizzatori di “Scrittori in città” e quando ho saputo che il mio intervento sulla vita di mio papà Giorgio sarebbe stato rivolto a giovani delle scuole superiori non ho potuto dire di no.
– Qual è stata la più grande virtù di tuo padre?
– Mio papà Giorgio è stato un uomo sempre volenteroso e determinato. Un uomo che ha deciso, consapevole dei pericoli a cui sarebbe andato incontro, di non tirarsi indietro, che con la sua forza ha salvato molte vite oppresse ingiustamente e che non ha pensato solamente a se stesso, ricorrendo ad ogni mezzo possibile per compiere il bene verso l’altro. Un uomo che dopo aver fatto tutto ciò, è tornato alla quotidianità, senza voler ottenere alcun riconoscimento, ma conservando intatto dentro di sé il ricordo di quegli anni. Quindi direi l’umiltà. Infatti, la scelta di rimanere in silenzio rende mio papà Giorgio un “Giusto tra le Nazioni”, titolo conferitogli dallo Stato di Israele nel 1989.
– Giorgio è italiano, ma anche un po’ spagnolo?
– Durante la Seconda Guerra Mondiale si trova lontano dall’Italia, in Ungheria, con il compito di importare carne per l’Esercito Italiano, con un permesso diplomatico. Nel 1943 inizia ad essere ricercato dai tedeschi ed è costretto a rifugiarsi nell’ambasciata spagnola di Budapest. Qui ottiene documenti spagnoli grazie alla sua partecipazione, in età giovanile, alla guerra civile in Spagna al fianco del generale Francisco Franco. Comincia a rilasciare salvacondotti che garantiscono copertura diplomatica agli ebrei ungheresi perseguitati, ospitati in “case protette”.
– Così tanto spagnolo da diventare “ambasciatore” in Ungheria?
– L’aver conosciuto la grave realtà della persecuzione influenza a tal punto Giorgio che decide di rimanere a Budapest anche dopo la partenza, alla fine del 1944, di Sanz Briz che non riconosce il nuovo governo filofascista istituito dagli invasori tedeschi. Mio padre si finge quindi sostituto di Briz, continuando e intensificando la sua missione: mette infatti in salvo gli ebrei ungheresi che stanno per essere deportati in treno nei campi di sterminio, a volte anche inventando sul momento le persone che avevano diritto ai salvacondotti. Impedisce inoltre l’incendio del ghetto di Budapest e lo sterminio degli oltre sessantamila ebrei presenti in esso, ricorrendo anche a minacce inventate.
– Come decide di muoversi alla fine della guerra?
– Egli avverte i Governi italiano e spagnolo del suo rientro e del suo operato. Torna alla normalità della sua Padova senza raccontare la sua storia né alla stampa né alla sua famiglia fino al giorno in cui due delle donne che aveva salvato lo trovano, nel 1987.
– Un messaggio da suo padre alla generazioni future?
– Giorgio ha permesso a molte persone di avere una famiglia, dei figli e dei nipoti, moltiplicando il numero dei salvati anno dopo anno, in modo silenzioso. Il suo motore era l’amore incondizionato. Ecco, auguro a tutti voi di lottare per i diritti e per la dignità di ognuno, affinché chiunque possa sentirsi amato e di conseguenza dare il proprio aiuto al proprio vicino.
L’intervista qui riportata è frutto dell’immaginazione di me giornalista dopo aver partecipato all’incontro con Franco Perlasca a Scrittori in Città nel novembre 2013 a Cuneo.
Gabriele Arciuolo