«Scelgo sempre una connessione tra il reale e la finzione»
Produrre un film necessita di creatività, ingegno e autenticità ed Emanuele Caruso rispecchia bene questi tre aspetti. Regista nato ad Alba, formatosi a Bologna e creatore di Obiettivo cinema, Emanuele sceglie di raccontare storie di vita nei suoi capolavori, così da rispecchiare l’animo umano e la ricerca spirituale di ognuno. Essendo un regista e produttore non convenzionale, realizza i suoi film a basso budget attraverso l’azionariato popolare o crowdfunding.
Tra i suoi maggiori successi ricordiamo: E fu sera e fu mattina, La terra buona e A riveder le stelle, tutti lungometraggi o documentari d’autore, in cui si può percepire l’ingrediente segreto di Emanuele: l’autenticità.
Entriamo nel mondo del cinema del regista cuneese, ne rimarrete affascinati.
- Come sei entrato nel mondo del cinema?
In realtà non c’è una porta di ingresso o un test per entrare nel mondo del cinema e sinceramente non mi sento parte integrante. Nel mio caso volevo fare regia, dirigere film, ma nessuno mi dava la possibilità poiché costa molto e allora sono anche diventato produttore dei miei film aprendo una casa di produzione. Questo mi ha dato modo di far sì che ci fossero sale cinematografiche italiane e non solo che proiettassero i miei film, dandomi la possibilità di relazionarmi con un pubblico e una sostenibilità economica. Se non c’è pubblico, non c’è film: bisogna sempre trovare un pubblico che possa apprezzare o criticare anni di lavoro e tutti gli sforzi connessi alla produzione di un film. Quindi, non mi sento integrato nel mondo del cinema ma sono una persona che ha fatto e sta facendo un percorso. Non mi interessa granché entrarci, quanto il poter raccontare storie che vengano proiettate sullo schermo per qualcuno.
- Regista di film e documentari a basso costo: una scelta o un caso?
Una scelta degli altri. Fosse stato per me, avrei voluto fare film più grossi ed importanti ma in Italia non ho trovato nessuno che credesse ed investisse su di me. Quindi, diventando produttore di me stesso, ho dovuto far fronte alla difficoltà di reperire dei budget. Produrre un film costa tanto, motivo per cui tenere un budget basso mi ha portato a realizzare dei film dal costo di duecento mila euro anziché un milione o più (è il caso del film La terra buona che sono riuscito a produrre lo stesso grazie a delle rinunce).
La capacità di girare film a basso costo mi ha permesso di fare questo mestiere che altrimenti non sarei riuscito a fare.
- Cosa significa produzione dal basso?
Con i primi due film, E fu sera e fu mattina e La terra buona, abbiamo adottato una sorta di azionariato popolare che in Italia non si faceva e non si fa tuttora. Significa comprare un pezzo di film: in cambio di quote da cinquanta euro su una piattaforma online, si può acquistare una percentuale sui futuri incassi dei film. Più quote vengono acquistate, più ci si assicurano introiti. Con il primo film abbiamo raggiunto i quarantamila euro e con il secondo ottantamila. In Italia ci sono solo i miei film in azionariato popolare o crowdfunding.
- Parlaci di Obiettivo cinema e dei film realizzati.
Obiettivo cinema è la mia casa di produzione, una piccola realtà nata nel 2012 con cui porto avanti l’idea di produrre film a piccolo budget con la speranza di incassare al cinema. Obiettivo cinema si distingue sia per fare film a basso costo, sia perché non si occupa solo della produzione, ma anche della distribuzione (mentre le altre case di produzione si affidano ad altri distributori). Noi fondiamo insieme entrambe le capacità, grazie ad una rete di sale in tutta Italia che prendono e proiettano i nostri film. Oggi, Obiettivo cinema si sta ingrandendo: potremmo arrivare ad un budget di un milione.
- Quale tra i suoi film senti maggiormente tuo e perché?
Non c’è un film che sento più mio, li sento tutti miei e sono film che rappresentano momenti della mia vita. Tuttavia, non li rifarei se tornassi indietro o li farei in maniera differente.
Entriamo nel personale:
- Chi è Emanuele Caruso nella vita di tutti i giorni?
Domanda difficile. Sono un gran amante della terra, un po’ contadino, legato alla dimensione della montagna. Penso di essere una persona semplice, tranquilla che prova a raccontare le sue storie e cerca sempre qualcosa in più che credo sia nascosto fra le pieghe della terra.
- Quali passioni hai oltre alla regia e al cinema?
Sicuramente la terra, la montagna, l’orto. Sono tutte passioni legate alla natura e alla terra.
- Cosa ami di più della tua vita?
Il posto dove vivo e le persone che ho incontrato dove sono nato: le Langhe e il Roero, la mia famiglia e gli amici. Penso di essere stato molto fortunato.
- Sei sposato? Hai figli?
Non sono sposato e non ho figli.
Parliamo del film E fu sera e fu mattina, la cui trama racconta di un apocalittico spegnimento del sole:
- Com’è nata l’idea? Quale messaggio hai voluto trasmettere?
L’idea è nata dal mio aiuto regia di allora: Beppe Masengo. Stavo cercando l’idea per un film, avevo bisogno di un’idea forte, così lui mi scrisse una mail proponendomi di raccontare la fine del mondo dal punto di vista di un piccolo paesino di Langa formato da gente comune e non più in stile americano o apocalittico. L’idea mi piacque molto perché andava ad indagare nell’animo e nel cuore delle persone. Inoltre, fu sempre Beppe a propormi il titolo. Da qui è nata la domanda principale del film: “Se sapessi di avere solo più sessanta giorni di vita, quindi un tempo limitato, continueresti a vivere come stai vivendo oppure cambieresti tutto?”. Dunque, l’idea era quella di non aspettare una fine certa per cambiare e fare quel che davvero conta della propria vita.
- Spostando la nostra attenzione sul presente: pensi che il periodo in cui stiamo vivendo abbia somiglianze con l’apocalisse messa in scena nel film? Perché?
L’ho rivisto recentemente a La Morra che fu la città set del film nel 2012. Riguardandolo con tanto di mascherine e distanziamento, ho notato parecchie analogie: nel film c’è qualcosa del periodo in cui stiamo vivendo, nonostante adesso non ci sia un’imminente fine del mondo alla quale prepararci. Credo che il film riprenda alcune tematiche di oggi.
Un altro mio film in cui vengono riprese è A riveder le stelle che doveva uscire a marzo 2019 ma che proprio l’emergenza Covid ha fermato e che, se tutto andrà bene, dovrebbe uscire a marzo 2021, anche se non si possono fare previsioni.
- Per realizzare il tuo film La terra buona a cosa e a chi ti sei ispirato? Cosa c’è di vero nella trama?
Racconta tre storie realmente accadute che però nella vita reale non si sono mai intrecciate, cosa che invece accade nel film. Tre storie di tre persone che ho conosciuto e con cui ho parlato, ognuna delle quali mi ha trasmesso qualcosa. Mi piaceva l’idea di fonderle insieme senza creare un film biografico, seguendo la linea spirituale che caratterizza i miei film. Dunque, il lavoro di sceneggiatura è stato quello di far incastrare queste storie, legandole alla ricerca spirituale a cui tenevo molto.
- Come scegli il luogo in cui girare i tuoi film?
La scenografia è molto importante. Solitamente non mi piacciono i set finti, bensì i luoghi veri che lo spettatore può ritrovare nella vita reale. Molti film hanno il vizio di aggiungere troppa grafica al computer che si vede e sa di finto; a me piace l’idea che il pubblico possa gustarsi l’atmosfera reale. Ciò non vuol dire che non userò mai arrangiamenti ma credo che i set autentici abbiano un valore aggiunto. Io scelgo i miei set in base all’atmosfera che voglio comunicare: ad esempio, la Val Grande era il set perfetto per La terra buona dato che l’ambientazione era un luogo isolato e montano. Posso dire che scelgo sempre una connessione tra il reale e la finzione.
- A proposito di luoghi, parliamo del cuneese. Ti piace la città di Cuneo? E Alba, dove sei nato? Cosa cambieresti della zona e perché?
Adoro il Cuneese e soprattutto le sue valli.
Mi capita qualche volta di andare a Cuneo e apprezzo il fatto che sia immersa tra le montagne e ben raggiungibile. Si respira aria buona.
Sono molto legato alle montagne, in particolare alla Val Maira che identifico come casa al pari delle Langhe e del Roero e dove ho sepolto il cuore.
Non so cosa cambierei… Mi piace molto di più la dimensione legata all’alta Langa, quella da scoprire, selvaggia, silenziosa, un po’ meno turistica. Forse mi piacerebbe di più un ritorno a quel tipo di Langa piuttosto che la dimensione legata al turismo enogastronomico.
- Quanti e quali film hai ambientato nel Cuneese? Dove?
E fu sera e fu mattina è ambientato a La Morra, vicino ad Alba e La terra buona che ha una scena centrale girata nella biblioteca a La Marmora.
- Com’è stata la tua vita al tempo del lockdown? E il tuo lavoro?
Il lockdown è stato pesante e inaspettato. Dal punto di vista lavorativo e culturale ha fermato tutte le attività e il campo culturale- artistico è stato e continua ad essere il più colpito, sicuramente il cinema rientra tra questi.
È stato un periodo per pensare e lavorare: non mi sono fermato un attimo e ho dovuto spostare i miei obiettivi lavorativi di un anno. Ultimamente vivo nella speranza di poter ripartire, anche se inizio a pensare che potrà volerci ancora del tempo.
- Se dovessi dare un messaggio ai giovani e meno giovani cuneesi, cosa diresti loro?
Tutti i miei messaggi, per giovani e non, sono nei miei film. Sono sempre loro a parlare per me.