IMPRESSION:  NUMERO 1

 

L’aria soffiava imperterrita, senza guardare in faccia nessuno ma abbracciando ogni passante di Rue Delacroix. Il passaggio dall’atmosfera compressa e surreale del cinema al freddo parigino non avevo tardato a farsi sentire, costringendolo ad alzare i baveri del proprio cappotto. “A Parigi d’inverno si gela”, ma lui ci teneva a intraprendere anche questa sfida, uscendo di casa con solo un marcel sotto quel cappotto marrone che gli stava troppo largo di spalle, pegno di un cliente in cambio di un ritratto con il Tamigi sullo sfondo. La curiosità per l’apertura del primo cinema di quartiere l’avevo spinto ad accalcarsi in quell’angusto buco che puzzava di fogna, per svariarsi una volta tanto. Il soggetto non lo attirava più di tanto, e le sue attese non furono tradite dalla voglia che aveva di lasciare quella sottospecie di poltrona dopo appena una decina di minuti dall’inizio della proiezione. Nemmeno una novità del genere in fatto di intrattenimento riusciva a sorprenderlo più di tanto, ormai era stato inghiottito dallo monotonia della quotidianità. Inseguiva una qualsiasi novità in grado di meravigliarlo; girava per le strade buie di notte, trovando molto spesso un gruppo di malviventi dietro l’angolo piuttosto che un cielo stellato. Deluso da ogni forma di compiacimento altrui, mentre dipingeva per strada guardava con occhio disprezzante i passanti che si scambiavano sorrisi, senza un retino per provare ad acchiapparne uno… Quando posò la mano sul retro della sedia, in cerca del cappotto per andarsene via, i suoi occhi si posarono su un’apparente giovane coppia in disparte al fondo della sala. Non erano i soliti fanciulli di bassa educazione che si scambiavano effusioni si bordi delle strade delle grandi città, ma agli occhi di un artista apparivano più come una coppia di sposi che dopo anni di lavori sofferti per mandare avanti la famiglia erano riusciti a scappare in un luogo buio per un momento di intimità. Le loro mani si univano e diventavano un’unica cosa, nell’ombra proiettata dalle immagini sullo schermo, e le loro gambe si muovevano danzanti con una leggiadria irreale. Aggiungendo un po’ di rosso, preso dalla sua tavolozza dei colori, adesso nella coppia ci vedeva due anime che come lingue di fuoco si avvinghiano e diventano un fuoco unico, il fuoco della passione. In una stanza stracolma di gente erano in verità soli, e forse anche il vero e solo spettacolo della serata. Sicuramente lo erano per lui che, rapito da quel copro bianco nell’ombra, aveva abbandonato la ricerca del cappotto ed prima di farsi inghiottire dall’oscurità della notte aveva lanciato un ultimo sguardo di invidia alla coppia. Dopo un paio di minuti dalla durata interminabile, i brividi lo riportarono alla realtà e lo indussero a entrare in un café alla ricerca di una qualsiasi fonte di calore. A dire il vero non era il tipo che sarebbe mai entrato in un posto del genere, con la concezione di cultura che aveva nella sua mente preferiva tenersi alla larga dalle conversazioni fatte di termini aulici di tutti quelli che, con un cappello a cilindro un paio di baffetti due lenti tonde adagiate sul naso, si spacciavano per intellettuali. Ed effettivamente questo contrasto interiore, figlio del precetto epicureo del lathe biosas, lo fecero esitare ulteriormente sulla soglia della porta, prima che il gelo ebbe la meglio sulle sue instabili condizioni fisiche.

Tutto era esattamente come si era immaginato, per questo non esitò a cercare un tavolino in un angolo mentre con la mano cercava invano degli spiccioli nella tasca. Una volta sicuro della sua povera condizione economica, si lascio andare a un sonno leggero, accompagnato dalla musica lontana di qualche suonatore di strada che lottava contro il freddo che l’unico strumento che aveva a sua disposizione. Era il primo momento di completo abbandono al mondo privo di inquietudine della giornata, che venne però improvvisamente interrotto da un atteso presentimento che lo mise in allerta. Perlustrò ogni centimetro del café con le palpebre prima di girare la testa verso l’entrata. Un uomo tarchiato e abbondantemente baffuto faceva il suo ingresso nel covo degli intellettuali, abilmente mascherato con un orologio da tasca. Ma la sua vista si dimenticò presto dell’ometto quando vide entrare lei.

Lo sovrastava con maestosità, avvolta nel suo cappotto di velluto blu, mentre le sue gambe da fenicottero la portavano con leggiadra grazia verso l’unico tavolo libero. Anche se non ce ne fossero stati altri disponibili, aveva il presentimento che chiunque si sarebbe alzato per lasciarle il posto, stregato dal suo portamento di modella. Prima di sedersi sulla sedia, come una regina sul proprio trono, si sfilò con eleganza il cappotto e lo adagiò comodamente sul tavolino nell’angolo nascosto. E fu in quel momento che accadde…

I loro sguardi si incrociarono, come due meteore nella precarietà dell’universo.

E fu l’inizio della fine.

Un inizio coronato degnamente dall’uscita con stile di un artista che non aveva pagato il conto da un café, con addosso un cappotto di velluto blu.