Negli ultimi anni si sta assistendo al ripescaggio del leggendario formato fisico del vinile, esaltato spesso non solo per l’indubbio fascino estetico, ma anche per la qualità audio ritenuta da molti ancora imbattuta. Tuttavia, questo fenomeno letto da un altro punto di vista risulta preoccupante sotto diversi aspetti e rappresenta con grande chiarezza la fragilità artistica e commerciale che la musica sta vivendo nell’ultimo decennio. Dagli anni di Napster la musica ha subito irrimediabili trasformazioni rimaste a lungo ignorate dalle case discografiche ancorate ad un modello sempre più obsoleto. Il risultato fu il proliferarsi della pirateria e un calo drastico nella vendita di prodotti di minor portata.
La conseguenza maggiore scaturita dall’incontrollato fenomeno è uno scenario segnato dalla mancanza di rispetto per il lavoro di musicista, dall’eccessiva fruibilità al suo lavoro (grazie al download illegale) e dalla scarsa consapevolezza dello sforzo che si cela dietro (questo non riguarda solo la musica, ma per adesso non ci interessa andare più a fondo). La Apple con Itunes anticipò già di più di un decennio il business della musica digitale, ma Itunes rimase (e rimane tuttora) un prodotto prevalentemente di nicchia. Il suo contributo fu comunque fondamentale nell’aprire la strada alle moderne app streaming. Queste offrono tramite un pagamento mensile, una libreria musicale quasi sconfinata con diverse possibilità di riproduzione. Alla luce di tutto ciò risulta spontaneo chiedersi quale sia effettivamente il ruolo del vinile nella musica moderna, ormai profondamente legata allo sviluppo digitale. I costi di produzione di un vinile sono troppo alti da risultare insostenibili e vengono perciò stampati in tirature limitate. La sua riproducibilità è relegata unicamente alla dimensione domestica e richiede attrezzatura adatta per goderne pienamente le qualità. L’unico aspetto positivo è forse il gusto del collezionismo che il digitale nella sua volatilità non riesce a restituire.
Possiamo supporre si tratti di una fase di transizione, un attacco di immatura malinconia che cela dietro di sé la paura del futuro. Questo tipo di ragionamento è nocivo sul lungo termine e sporca il passato glorioso di un formato che ha fatto storia. La musica accrescendo la sua complessità, ha anche covato una sempre maggiore fragilità che si sfoga spesso in operazioni nostalgiche. Un sistema fragile e ordinato per crescere deve assumere il comportamento opposto. Solo rompendo e rimescolando si può avere la speranza di raggiungere qualcosa di nuovo ed è inutile pretendere di prevedere quello che potrà accadere. Il nostro compito a questo punto risulta tanto semplice quanto difficile: rimettere tutto in discussione per l’ennesima volta, a cominciare dal 33 giri.