Giampy ha 47 anni, lavora presso gli uffici amministrativi di un’azienda ospedaliera ed è molto goloso, ma è a dieta perché la sua pancia sta iniziando a prendere una forma sempre più tondeggiante. Abita in una villetta a schiera alle porte di Cuneo e, dopo esserci incontrati un paio di volte, abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica.
Ogni merenda trascorsa insieme abbiamo bevuto un caffè e, mentre Giampy si tratteneva dall’avventare qualche biscotto che era in tavola, indispettito dal mio abbuffarmi, abbiamo riso e scherzato, prendendoci più volte in giro quasi a voler smascherare i dettagli più imbarazzanti dell’uno e dell’altro.
Ogni volta mi sorprendevo di più nel vedere il suo volto stropicciarsi sotto gli occhi per le contagiose risate: come può un uomo che convive con un ladro essere così felice? Ciò che mi lasciava ancora più scosso era l’identità del ladro. Questo “bastardo” che ha rubato a Giampy il suo essere sano si chiama Grave Tetrapresi Spastica e si impadronì di lui quando aveva appena 6 mesi; ormai il fisico di Giampy è compromesso e per muoversi ha bisogno di una sedia a rotelle e di amici che la spingano. Eppure, il suo umorismo sottile e la sua capacità di affrontare con leggerezza (che non è menefreghismo) questa non desiderata convivenza mi hanno affascinato perchè in fondo desidero anch’io essere felice e avere la capacità di ridere di me stesso.
Come può un uomo impossibilitato a camminare guardare con gioia e spensieratezza alla propria vita mentre io che sono sano, con una famiglia unita alle spalle e con la possibilità di studiare all’università, ho gli occhi spenti e mogi o persi nel nulla?
Ogni giorno si sentono diverse voci che invocano a una vita piena, semplice e di immediata realizzazione: dalla pubblicità in televisione alle feste notturne in discoteca, tutto sembra parlare di godimento e successo. Sono voci continue, seducenti, che diventano voci nella testa e voci contro il tempo. Sono voci di grande distribuzione, indirizzate a ciascuno, ma sono voci urlate senza nomi.
Tutte queste voci, però, non bastano a se stesse, non durano a lungo e condannano a cercare subito un’altra voce per sopperire al vuoto che lasciano. Non è sufficiente un nuovo cellulare per soddisfare il desiderio di essere accolti, non è la soluzione una serata di sbronza facile per sentirsi più sicuri di sè.
Nel mondo dell’ipermercato, dove tutto si compra e si consuma, manca la tua voce canterebbe Zucchero. La tua voce che aiuta a convivere con le difficoltà quotidiane e che fa gioire per quello che si ha, senza bisogno di riempire vuoti su vuoti con le soluzioni più disparate tese a un continuo sconforto.
Chissà quante voci nella propria vita Giampy ha ascoltato per trovare un senso alla sua paralisi. Chissà quante volte Giampy si è domandato perché quel ladro abbia scelto proprio lui, perché persone che hanno 47 anni possono avere una famiglia e lui non può neanche concedersi una passeggiata in un prato.
Dare una risposta a queste domande è impossibile e non esiste una voce facile che suggerisca una soluzione.
Giampy, nel suo passato, ha seguito molte voci che spostavano l’attenzione su qualcos’altro per qualche momento, ma come queste passavano la paralisi era, e tutt’ora è, ancora lì.
Ci sono certe domande le cui risposte sono inottenibili come esseri umani. E la difficoltà più grande di un essere umano è la convivenza con certe questioni in sospeso che si portano nel cuore.
Un professore di filosofia di Lovagno, all’inizio di ogni corso universitario che teneva, scriveva alla lavagna: “L’uomo è un animale inquieto, se non è inquieto è solo un animale”. Coesistere con alcuni punti interrogativi è natura umana, è un dono per l’essere umano tanto da permettergli di essere più di un animale, ovvero di abitare consapevolmente il proprio tempo e la propria storia a partire dalla propria natura essenziale.
Giampy di fronte alla propria malattia ha passato dei momenti di grande abbattimento e di rabbia estrema. Ha avuto grandi difficoltà ad accettarsi, finchè qualcuno non gli ha sussurrato nell’orecchio “Non è colpa tua e, nonostante tutto, vai bene così”.
Quel “vai bene così” ha salvato Giampy, che è riuscito a trovare una soluzione a tutti i suoi interrogativi in un semplice atteggiamento: stare. Stare chiamando per nome la propria disabilità come una mamma che non smette mai di chiamare per nome il proprio figlio. Stare ammettendo i propri problemi fisici e non cercando di scappare dal proprio corpo rifiutandolo, come una mamma che ha una voce più sottile e meno rumorosa di tante altre, ma che non ha paura di dire sempre la verità anche quando può essere difficile.
Il coraggio di stare nella propria umanità, di dire “Eccomi” ad ogni nuovo giorno, nonostante non potesse scendere da solo dal letto, è stata per Giampy un’ardua conquista, fatta di pianti e di momenti di abbattimento. La forza di non porre la propria paralisi al centro di ogni suo pensiero e azione, ma di rilegarla a una compagna a cui non spetta il ruolo da protagonista, è arrivata anche grazie agli amici, ai familiari e alle persone incontrate durante le strade della vita. D’altronde, per natura l’uomo è un animale socievole e, da solo, in certi momenti, non è per lui facile stare nelle proprie domande. Anzi, è quasi impossibile perchè l’essere umano non è sufficiente a se stesso: ha bisogno di essere amato. Ha bisogno di sapere che vale, che è riconosciuto per i suoi talenti e che nonostante i suoi difetti, fisici o meno, è degno di sentirsi voluto bene.
Uscendo dalla stanza di Giampy, si scorge una piccola stampa che riporta una frase: “Solo i malati guariscono” che è il titolo di un libro di Luigi Maria Epicoco.
Stare in se stessi, nei propri limiti e nelle proprie complessità quotidiane è più che scomodo. Spesso non si riesce e si cerca rifugio altrove, ma l’essere umano non si sente mai a casa fin quando non si riconcilia con il proprio umano, ammettendo la propria umanità con il coraggio di essere umano: non può esserci guarigione per chi non si considera malato perché troppo convinto a convincersi o a convincere di essere perfetto o giusto.
Giampy ormai è guarito, non fisicamente, ma giorno dopo giorno trova il coraggio di essere umano, di essere fragile e vulnerabile, di amare e lasciarsi amare nonostante la Grave Tetrapresi Spastica e grazie a questa sua grande grazia è rinato perché, come scrive ancora Luigi Maria Epicocco, “se non accetti la fragilità del tuo essere vulnerabile non potrai mai sperimentare nemmeno la guarigione. Per questo solo i malati guariscono”.