Qual è il ruolo delle donne all’interno della letteratura? Si chiede Virginia Woolf nel 1929, nel celebre saggio Una stanza tutta per sé. Se Shakespeare avesse avuto una sorella – chiamiamola Judith – con il tarlo della scrittura, cosa ne sarebbe stato di lei? Probabilmente sarebbe morta suicida, si risponde l’autrice: è impensabile che, ai tempi di Shakespeare, una donna possa aver avuto lo stesso genio del drammaturgo inglese. I manuali di storia della letteratura pullulano, infatti, di nomi maschili. Non perché le donne non abbiano davvero lasciato il segno, ma semplicemente perché le chiavi della cultura sono sempre state nelle mani degli uomini. Prendiamo come esempio il caso italiano: fino al Novecento non incontriamo nessuna Jane Austen, o, comunque, nomi come Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Amalia Guglielminetti, Sibilla Aleramo raramente si trovano nella rosa degli autori che si insegnano al liceo. Eppure molte delle nostre scrittrici hanno davvero fatto la storia, e questo è il caso di Grazia Deledda, l’unica donna italiana ad aver vinto il premio Nobel per la Letteratura.
La Deledda è stata proposta per l’ambìto premio a seguito del successo del suo più celebre romanzo, Canne al vento, scritto mentre si trovava a Roma e pubblicato prima a puntate per «L’Illustrazione Italiana», poi in volume nel 1913, anche se il Nobel è arrivato solo tredici anni dopo. Il libro è un grande affresco paesano: a fare da sfondo alla vicenda è, infatti, Galte, un piccolo paese della Sardegna ricco di costumi e tradizioni secolari. L’autrice, dunque, rimane inscindibilmente legata alla sua isola natale, tanto da farne rivivere i luoghi nei suoi romanzi.
Il protagonista della storia è Efix, il servo delle dame Pintor, che vive in condizioni di seria indigenza e che ha a cuore le sue padrone più della sua vita. In realtà, Efix non ha davvero i tratti del servo, ma si presenta più come una sorta di protettore e di saggio ed è lui a pronunciare, nelle ultime pagine, la massima che dà il titolo al libro: «siamo canne, e la sorte è il vento». Egli vive tutto solo in una capanna vicino al podere delle Pintor, di cui è incaricato di occuparsi. Ha sempre una parola conciliante per tutti e la sua etica è impeccabile. Non viene nemmeno più pagato per il lavoro che svolge perché le sue tre padrone (Ester, Ruth e Noemi), nonostante cerchino di fare il possibile per nasconderlo, sono cadute in disgrazia. Esse rappresentano la vecchia nobiltà terriera, incagliata nel passato e incapace di aprirsi al presente. La loro stessa casa è spia di questo moto retrogrado: essa sembra pervasa dalla morte e il fatto che sia attigua al cimitero non fa che confermare la percezione di un’atmosfera funebre.
L’arrivo di una misteriosa lettera gialla è il motore da cui la vicenda prende il suo avvio. Nella missiva è annunciato l’arrivo di Giacinto, il figlio di Lia, la quarta delle sorelle Pintor. Quella di Lia è una presenza ingombrante e incorporea all’interno del libro: non compare mai in carne ed ossa – anche perché al tempo della storia è già morta -, ma i ricordi legati a lei si affastellano nella mente dei personaggi, tanto da restituire al lettore l’immagine a tutto tondo di una donna che è riuscita nell’intento di ribellarsi all’acquiescenza delle sorelle e a un padre asfissiante come Don Zame, fuggendo lontano dal paese. Le sorelle non le hanno mai perdonato la fuga, e ora devono fare i conti con l’arrivo del figlio. Chi è davvero Giacinto? Che intenzioni ha? Perché è così refrattario a parlare del suo trascorso? Solo il servo riuscirà a carpire la vera identità del ragazzo.
Giacinto è il personaggio, per certi aspetti, più simile a Efix. Tutti e due, infatti, serbano un segreto sul loro passato peccaminoso. Ma, mentre Efix vive tutta la propria vita all’insegna dell’abnegazione per espiare il peccato indicibile, il ragazzo non sembra dar molto peso alle conseguenze delle proprie azioni. L’espiazione è, quindi, uno dei grandi temi che il romanzo affronta. Ma non l’unico: la vicenda è tutta un intarsio di segreti, passioni inconfessabili, matrimoni, credenze popolari.
C’è, in Canne al vento, la stessa atmosfera in cui sono immerse le storie della Austen, con in più un alone di mistero, una tensione sapientemente calibrata. Il tutto raccontato con una lingua moderna e sorprendente se si considera l’anno di pubblicazione del romanzo. Sono passati più di cent’anni dalla sua prima edizione, e il capolavoro di Grazia Deledda rimane una lettura sempre consigliata e invischiante.