Esiste un meccanismo nel Sistema Immunitario che è adibito alla generazione della diversità. Garantisce la produzione di un numero enorme di recettori diversi, capaci di riconoscere gli innumerevoli antigeni esogeni provenienti dal mondo esterno. È un sistema di difesa che si basa sul fatto che sia la diversità a proteggerci. Per combinazione o come da programma, questo meccanismo si chiama G.O.D., l’acronimo inglese di Generation of Diversity, ma letto senza punti, si traduce con Dio. Un bizzarro gioco di parole sembra suggerirci che dalle mani onnipotenti di un Dio con la barba bianca o col turbante venga generata diversità e diffusa nel mondo, in mezzo agli uomini che dovrebbero essere di buona volontà. Come se questo GOD, letto in entrambi i sensi, ci dicesse che al di sopra di tutto, con estrema naturalezza, esistesse un principio, concreto e allo stesso tempo intangibile, che legittimasse la presenza di tutta questa quotidiana diversità. Diversi recettori, diversi colori della pelle. Diversi agenti patogeni, come diversi credi.
Non voglio entrare in merito a questioni politiche, interessi economici e sconsiderate prese di posizione. Ma è tematica attuale, sulla prima pagina di tutti i giornali, e sulla bocca e nei pensieri della maggior parte delle persone che si guardano intorno, la questione degli immigrati e degli sbarchi. Oltre ogni schieramento di opinione e ideologia di vita, i fatti rimangono fatti.
Quando alle sette di mattina accendo la televisione e al telegiornale parlano di un uomo che è annegato nel suo gommone di salvataggio, il contesto tutto intorno, perde senso. Il gommone era sovraffollato. Un po’ d’acqua è entrata a bordo e si è depositata sul fondo. Stava per affondare, così le persone per salvarsi si sono arrampicate sulla gente intorno, e chi è rimasto sotto, ci è rimasto sul serio. Di fronte a questi orrori del ventunesimo secolo, mi salta in mente il paragone impronunciabile del secolo scorso, quando vagoni merci sovraccarichi di uomini percorrevano binari senza più vedere quelli del ritorno.
Sono le situazione più critiche che scrivono la storia, quelle che lasciano segni. Sono le situazioni che fanno perdere di vista il senso ordinario, costruitosi in secoli di etici sforzi e di ricerca di equilibri, che in un attimo, in un vagone, come in un gommone, si sgretola.
Ogni interesse economico, ogni posizione politica, ogni partito preso perde senso, di fronte a uomini che muoiono così. La questione si spoglia di ogni costruzione sociale e dibattito ideologico, perdendo le stratificazioni piene di luoghi comuni e semplificazioni, per arrivare dritti al nocciolo della questione. Il nocciolo della questione è il fattore umano che emerge e spiazza, e che si intravede sotto tutta quella pelle nera, senza riuscire a nascondersi davvero. E con semplicità, naturalezza e linearità, riattribuisce un nuovo senso, comprensibile anche da un bambino di prima elementare.
Il fattore umano, implicato in questo squarcio di verità assoluta, è quello che emerge ed è quello che nello stesso tempo salva nelle situazioni più critiche. Ridursi all’essenziale fa inquadrare meglio la questione. In un uomo che affoga, io ci vedo un uomo che affoga, in qualunque acque lui stia annegando. Il contesto sparisce, lascia posto al solo fattore umano. È l’uomo che riesce a percepirlo, sarà lui, forse, che lo salverà.