“Pies para qué los quiero si tengo alas pa’ volar”.
(“Cosa me ne faccio di voi piedi se ho le ali per volare”).
Questo si chiede Frida Kahlo, pittrice messicana nata all’inizio del 1900, nel diario in cui ci apre le porte della sua vita. Una vita non sempre felice, una vita che l’ha fatta soffrire, una vita che le è spesso stata d’ostacolo, una vita che l’ha obbligata ad affrontare dolori e umiliazioni, ma una vita, sempre e comunque, vissuta al massimo e amata con tanto coraggio.
Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderòn nasce a Coyoacàn, Messico, nel 1907, anche se nel corso degli anni disse di essere nata nel 1910, anno dell’inizio della Rivoluzione messicana, di cui si sentiva figlia. Fin dalla nascità soffrì di spina bifida (all’epoca scambiata dai medici per poliomelite) e a questo dolore fisico se ne aggiunsero presto altri. All’età di diciott’anni, infatti, venne coinvolta in un incidente tra un autobus e un tram a seguito del quale fu costretta a letto col busto ingessato per diversi anni e che la costrinse, nel corso della sua vita, a sottoporsi a 32 interventi chirurgici. Inoltre, durante l’incidente, una sbarra di metallo le attraversò il ventre e questo le causò, negli anni a venire, numerosi aborti. Gli anni passati a letto, però, non furono infruttuosi; iniziò infatti a dipingere (soprattutto autoritratti grazie ad uno specchio che i genitori le avevano messo sul soffitto del letto a baldacchino) e, una volta ricominciato a camminare (pur con difficoltà), portò questi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore dell’epoca, che ne rimase meravigliato e che, oltre a presentarle i personaggi artistici più rilevanti di quel periodo, la fece entrare nel Partito Comunista Messicano, contribuendo ad aumentare il fuoco ribelle e indipendente già presente nell’animo di lei. Qualche anno dopo, nel 1929, i due si sposarono, ma questo matrimonio aggiunse altre sofferenze nella vita di Frida a causa dei frequenti tradimenti di lui. Ma uno dei più grandi dolori per la pittrice fu quello di non aver avuto figli, a causa del famoso incidente. A questi dolori emotivi possiamo aggiungere le molte difficoltà fisiche a cui andò incontro, quali l’amputazione di una gamba a causa della gangrena e l’embolia polmonare che la uccise, a soli 47 anni, nel 1954. Nonostante tutto e, anzi, forse anche grazie a questi ostacoli, il suo talento per la pittura crebbe a dismisura, e così anche la sua produzione artistica. In ogni dipinto lei raffigura la sua realtà e il suo mondo, narrandoci il suo dolore ma anche la sua incredibile forza e il suo enorme coraggio. A causa della particolarità dei suoi dipinti e dei molti simboli presenti, venne definita da André Breton “una surrealista creatasi con le proprie mani”, ma lei, che del Surrealismo diceva: “è la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie”, non si sentiva rappresentata da nessun movimento artistico e affermava di dipingere, molto semplicemente, quella che era la sua realtà e, quindi, la sua vita.
Frida Kahlo ci ha narrato tutta la sua esistenza nel suo diario ma, soprattutto, tramite i suoi numerosi dipinti. Fu una donna che venne spezzata, come succede purtroppo ancora oggi, sia nel fisico che nell’animo. Fu una donna che, sin da giovane, visse attivamente la politica e la storia del suo Paese, fu una donna che seppe sempre come rialzarsi, fu una donna che, nel suo diario, dopo l’amputazione della gamba, scrisse: “spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più”. Un grido di dolore, più che comprensibile, da parte di una donna che venne ferita, calpestata, umiliata, tradita, derisa, quasi uccisa dall’uomo che amava, dal mondo in cui viveva e dalla sua stessa esistenza. Ma un grido di dolore che viene smentito, solo otto giorni prima della morte della pittrice, da un dipinto, ancora una volta diario dell’animo di Frida, in cui lei dipinge una sorta di natura morta con frutti tropicali e in cui, con il coraggio e la vitalità che la caratterizzavano, molto semplicemente scrive:
“VIVA LA VIDA”.
Cecilia Dutto