Siamo fantasmi, riflessi e risvegli.
Siamo reazioni. Siamo fatti di tasti dolenti, che quando vengono premuti, danno risposte. Cambiamo la carta, solo perché abbiamo cambiato il pacco dentro.
Loro saranno persone, prima di essere pazienti, e noi siamo e saremo lo stesso umani, anche se medici, non robot. Una sinergia di attività ci lega, un’alchimia di capacità. L’umano e tutto il resto: tentare di salvare un corpo per preservare l’incorporeo. Siamo voci di capitoli che si devono ancora scrivere, siamo tutt’altro che pagine vuote. Siamo stimoli, per tutti gli altri potenziali tasti dolenti. Siamo dolore ed arma in potenza. Sta a noi usarci come impone la nostra volontà. Mine vaganti, o paracaduti rassicuranti. Progetti di vita, di strada, antimine in avanscoperta.
Siamo energia che per non esplodere, corre e si affanna. Siamo energia che nasce per tutti da uno squarcio, da un coltello, da un’ustione. Siamo il farmaco, non l’effetto placebo. Funzioniamo davvero. Siamo sostanza e sogni, siamo ritardi e sforzi.
Siamo azione e reazione. Siamo reazione e fuga. Fuggiamo non perché abbiamo paura, ma perché siamo energia. Dopo aver sperimentato il panico, ci rendiamo conto che è l’energia a muoverci. Era il panico a paralizzarci. Fare, fare, fare. Realizzarsi, concretizzarsi, è il miglior modo di fare. Direzionare le energie in tutto quello che c’è di più concreto da fare. Di ciò che c’è di controllabile, o lo pare, ma che possiamo cambiare. Il mondo non è niente di più concreto. C’è così tanto da fare. Fare, fare, fare. Il miglior antidoto per il troppo pensare. Che non vuol dire cercare di dimenticare. Anzi il ricordo è il miglior carburante. È il principio dei ricordi che ci fa attivare, non il soffermarsi. Il troppo pensare irrigidisce, azzera le energie, senza farci muovere un dito. Il fare le consuma, le trasforma, ma poi le ridà. Non succhia interessi, ma solo mette in luce la più sincera verità.
Siamo pura energia. Dopo tempi bui e paraocchi stretti. Siamo stati compressi, ma ora esplodiamo. Che siano cinque mesi, cinque anni, cinque secoli. Siamo stati fantasmi, fantasmi di noi stessi, fantasmi trasparenti, inconsistenti e non abbastanza presenti, morti viventi. Senza saperlo, eravamo trappole per tutti, il peggior incubo di noi stessi. Ma che importa? Siamo anche stati riflessi. Riflessi per qualcuno, riflessi di qualcuno, riflessi di noi stessi. Sfumature luccicanti, senza pretese di accecare. Solo luce da mostrare, una scintilla a rivitalizzare. Inconsapevoli fonti di vitalità. Volti ad ispirare, viaggi da progettare, poesie da dedicare.
I riflessi consapevoli diventano risvegli. Siamo osservatori di un mondo distrutto da chi l’ha costruito, ma abbiamo le capacità per aggiustarlo. Bisturi e suture, il sano si crea da un danno. Perché il mai tagliato è il non vissuto. Il troppo taciuto, il mai osato, il mai distrutto. Il gusto del ricostruire, ripercorre i sapori della nascita, con addosso il peso dei calcinacci delle rovine. La rinascita passa attraverso la distruzione. Fantasmi, riflessi, risvegli.
Siamo fantasmi mancati di un mondo che non è riuscito a metterci in trappola, figli di noi stessi, fantasmi svincolati alla condanna della malata inconsistenza, fatta di bugie, ipocrisie, doppiogiochismo, irritante ilarità. Siamo riflessi incondizionati, la nostra reazione all’inconsistenza è l’azione, il fare, fare, fare. Siamo risvegli di un mondo che non ha finito di andare, di essere, di stare.
Siamo illimitata fonte di energia, che ci fa scrivere, ballare, parlare fino alle tre di notte, sognare fino dopo il risveglio. L’energia di andare avanti con dei pezzi mancanti, tutti barcollanti, ma consapevoli che c’è ancora tanto da fare. La realistica speranza, che ci viene data dall’esperienza, che dando corpo ai sogni urla che tutto si può fare. Non sono castelli in aria, ma solo la più terrena voglia di correre, camminare, progettare. Concentrarsi, ristabilirsi, ripartire. L’odio di dover aspettare, di metabolizzare la mancanza, per poter ripartire da ciò che c’è di più stabile. Il mondo fuori, la realtà. È la concretezza che ci salva, non i soliti discorsi fatti a metà. Nessuno si è mai salvato perdendosi dentro. Concretezza vuole energia, ma energia ci ridà.
Siamo fantasmi, riflessi, risvegli.
Tratto da una storia vera, ispirato dal film “Risvegli”
Ylenia Arese