Qualche settimana fa a balzare agli onori della cronaca italiana e non è stata una notizia proveniente direttamente dalla Norvegia, dove, spinti in parte anche dalla pressione dell’opinione pubblica, i calciatori della nazionale di calcio hanno scelto di farsi tagliare di qualche migliaio di euro lo stipendio così da consentire alle colleghe al femminile di raggiungere lo stesso salario fornito per rappresentare il loro Paese nel mondo. 639 mila euro per ognuna delle due squadre, senza distinzione di sesso e di prestazione. Un passo importante, visto e considerato che spesso erano e sono proprio le girls di Oslo ad ottenere i risultati migliori sul campo, con i maschietti lontana copia della bella nazionale norvegese in rosa.
Un incipit, questo, apparentemente lontano dal fulcro dell’articolo. Una libertà editoriale, insomma. Già, ma con una volontà precisa. Quella di far percepire il senso di invidia che si può provare per un movimento all’avanguardia che, nel 2017, riconosce l’insensatezza di una distanza sostanziale di remunerazione tra uomini e donne, equiparando il trattamento dei due sessi. Bello, quasi irraggiungibile. Eppure, quando ancora l’Italia, che oggi si sta lentamente risvegliando dal torpore che l’ha posseduta per anni nel mondo del calcio, si aggrovigliava in strane teorie rispondenti tutte al motto “il calcio è uno sport per uomini”, proprio Cuneo fu per certi versi paladina e pioniera del calcio in rosa nel Belpaese.
Correva l’anno 1969, l’uomo era da poco andato sulla Luna, il presidente del consiglio era Mario Rumor ed i temi di dibattito erano legati a quel Sessantotto che avrebbe cambiato la storia. Appena tre anni prima, una diciassettenne siciliana di nome Franca Viola aveva scatenato un dibattito infuocato nell’Italia intera rifiutando il matrimonio riparatore con il suo stupratore Melodia e macchiandosi del nomignolo di “donna svergognata”. Poco più di dieci anni prima, invece, la “Dama bianca” Giulia Occhini e Fausto Coppi avevano scatenato l’indignazione del mondo democristiano del tempo per la loro relazione, costata alla donna la condanna ad un mese di carcere per adulterio ed abbandono del tetto coniugale. Nel calcio maschile dominava la Fiorentina di Pesaola e De Sisti, mentre di lì a poco la famiglia Agnelli avrebbe fatto conoscere anche al mondo del pallone al maschile la parola “miliardo”, raggiungendo un’offerta a nove zeri per poter avere Gigi Riva dal Cagliari.
In quel trambusto, due giorni dopo l’inizio della primavera, tre uomini “folli” di nome Mario Conterno, Mario Sanino e Antonio, detto Nino, Callipo decisero di dare vita, ai piedi del Monviso, alla prima squadra di calcio femminile cuneese, nominandola Alta Italia, per la sua vocazione a rappresentare un territorio più ampio. Erano gli albori di un mondo che in quasi cinquant’anni di storia avrebbe fatto lenti passi verso la parità dei sessi. Prima la creazione di un gruppo da zero, quindi i primi tornei nazionali, fino alla Serie A, raggiunta nel 1972-73 e giocata alla grande, con un ottavo posto finale su undici squadre che significava tantissimo. Massa, Bella I, Bella II, Giordano, Romero, Minolfi, Viara, Sampò, Arnaudo, Peirona (cap.), Porrati, Tesio, Barbero, Ambrogio: queste le ragazze vestite di biancorosso in quella storia annata.
«Erano dei pionieri, in un tempo in cui la donna non aveva ancora quelle libertà che oggi possiamo immaginare». A parlare è Eva, figlia di Nino Callipo, entrata nella storia come presidentessa dell’ultimo Cuneo, quello che ha disputato negli ultimi tre anni due campionati di Serie A e di cui è stata al timone dal 2012, pur avendone seguito la parabola fin dagli albori.
Pionieri o meglio visionari, che scelsero il marketing del tempo per convocare a sé il maggior numero di ragazze possibili: volantini, manifesti sui muri ed un comunicato stampa che racconta un altro mondo, anche dal punto di vista sportivo, terminando con un laconico «si ricevono pertanto le adesioni di tutte coloro che vorranno cimentarsi con le scarpe bullonate».
«In un tempo di incertezze, mio padre e gli altri avevano le idee chiare. Venivano dal mondo delle assicurazioni, già più abituato a vedere la donna in un ruolo diverso da quello di “angelo del focolare”. Si muovevano con l’auto lungo tutta la provincia: prima per reclutare le ragazze, poi, durante l’anno, per riportarle a casa dopo aver mangiato una pizza in amicizia dopo l’allenamento. Ricordo una Cuneo interessata come non mai a quelle giovani donne che correvano e tiravano calci ad un pallone al “Paschiero”, lo stadio più importante della città».
Storia di una comunità vera, che con alterne vicende è arrivata fino ad oggi, legata al filo conduttore della famiglia Callipo. «A quattro anni camminavo già nel rettangolo di gioco mano a mano con mio padre. Proprio di quel tempo serbo uno dei ricordi più belli: un giorno, non avevo più di cinque anni, decisi che dalla panchina non volevo proprio andarmene nonostante si stesse per giocare, costringendo l’arbitro ad allontanarmi dal campo quasi a forza. Era quello il mondo in cui ero cresciuta».
Quelle ragazze, anch’esse pioniere, hanno mantenuto contatti forti tra loro, divenendo poi spettatrici del Cuneo di Eva, tornato per la prima volta in Serie A nel 2014/15, al termine di una cavalcata epica: «L’emozione più grande legata al calcio da donna matura: il sintetico pieno zeppo di persone e la festa per una cavalcata portata a termine con tanta fatica. Momenti scritti nel cuore».
Il 25 luglio del 2016 Nino Callipo, primo allenatore dell’Alta Italia, se n’è andato, portando con sé i ricordi di un’esperienza unica, fatta di amicizia e di coraggio. Al suo funerale c’erano tutti, comprese quelle pioniere che mai avevano dimenticato la bellezza del fare squadra.
L’1 luglio 2017, quarantotto anni dopo quel 23 marzo 1969, il Cuneo Calcio Femminile ha ufficialmente cessato di vivere, cedendo il proprio titolo sportivo ed il diritto di partecipazione al campionato di Serie A alla neonata Juventus, brand imponente dal potenziale economico impareggiabile. Nulla è finito, se non la bellezza del massimo campionato nazionale, che la città di Cuneo non ha, per certi versi, saputo trattenere con sé. Resta Eva, con la passione del babbo mantenuta viva e pronta ad essere rilanciata in nuove avventure. Resta, soprattutto, un movimento che scricchiola ma è vivo più che mai, con focolai che si illuminano nel saluzzese, nelle Langhe, a Savigliano e qua e là nella provincia.
Da Mario Sanino, il primo presidente, a Eva Callipo, l’ultima. Da Franca Giordano, storico stopper dell’Alta Italia ed oggi Assessore Comunale a Cuneo, a Simona Sodini, forse la stella più luminosa delle biancorosse nell’ultima Serie A. Non sarà la Norvegia, ma quel che Cuneo ha fatto per il calcio femminile vale tanto.
*Questo articolo è stato tratto dal decimo numero del magazine di 1000miglia, scaricabile al link https://www.1000-miglia.eu/wp-content/uploads/2017/11/1000MIGLIA-MAGAZINE-NOVEMBRE-2017.pdf