Le favole, i miti antichi, i racconti biblici, i classici Disney sono una fetta di quel patrimonio culturale che bisognerebbe trasmettere ai più piccoli e da cui anche gli adulti dovrebbero attingere. Raccontano vicende inventate e trasmesse dagli uomini per gli uomini e, benché a volte siano riflesso di una civiltà e di un tempo precisi, rappresentano le molteplici sfaccettature dell’essere umano, che, in fondo, non cambia mai neanche col passare dei millenni.
In primo luogo, questo serbatoio culturale è la realtà in cui scoprire desideri, paure, pensieri, emozioni dell’uomo: è un mezzo per sentirsi parte dell’umanità e per conoscere se stessi attraverso un personaggio inventato. In questo senso i racconti sono lo specchio mediante il quale riconoscersi. Le favole insegnano a dare i nomi alle cose e quindi a identificarle. Umberto Galimberti, filosofo italiano contemporaneo, è stato intervistato l’anno scorso circa l’attuale degenerazione della scuola e a proposito di questo dice: “I sentimenti sono culturali, non li abbiamo per natura, i sentimenti si imparano: oggi non possiamo più ricorrere ai miti, però abbiamo la Letteratura, che è il luogo dove tu impari che cos’è l’amore in tutte le sue declinazioni, che cos’è il dolore, che cos’è la tragedia, che cos’è la noia, che cos’è la disperazione. Se non li impari, come fai a gestire i tuoi stati d’animo? Poi i giovani stanno male e non sanno neanche dire perché, perché non hanno il vocabolario dell’apparato sentimentale”. Senza il linguaggio, non si può avere un pensiero (almeno per certi versi): possedere le parole che descrivono un sentimento è utile per riuscire a distaccarsi da quella passione, guardarla in faccia e affrontarla.
In secondo luogo, i racconti espongono una morale, cioè insegnano che cos’è il bene e che cos’è il male: da una parte ci sono i buoni, dall’altra i cattivi. Una simile distinzione fatta in modo netto può sembrare addirittura errata e fuorviante a noi adulti, ma non ai bambini: sono proprio loro a chiedere ai grandi di tracciare i confini delle cose, perché cercano rassicurazioni e desiderano sapere fin dove possono arrivare, in ogni azione. In questo il bambino ha una mente estremamente semplice, è poi con la crescita che i
confini si sfuocano e tutto diventa più permeabile.
Contro la dannosa iperprotettività verso i figli, lasciamo che il bambino guardi la scena del cartone animato in cui il personaggio soffre o è angosciato, perché il piccolo deve venire a contatto con sentimenti anche spiacevoli per sapere che esistono e per imparare a dominarli e dominarsi: permettere ai più piccini di esplorarsi e di scoprire nuovi stati d’animo è il metodo più efficace ed educativo affinché crescano adulti consapevoli, allenati e abituati a controllare le proprie pulsioni.