«Mistero» è una parola che suona carica di vecchi connotati magici e che spesso si preferisce sostituire con termini ed espressioni apparentemente più pregnanti sul piano filosofico ed esistenziale, come «domanda senza risposta», «enigma», «problema irrisolvibile». Tuttavia «mistero», come la maggioranza delle parole di origine greca, condensa in sé più livelli di significato: mysterium deriva da mys, verbo che significa chiudere, in questo caso le labbra. Mistero è ciò davanti a cui non si può parlare.
È un concetto molto caro al teologo e filosofo Vito Mancuso, il quale per indicare la sfera o la fonte del mistero ricorre all’efficace ed eloquente espressione eccedenza della vita. La vita eccede in due sensi. Da un lato eccede nella bellezza: tenere tra le braccia un figlio appena nato, sentirsi anche solo per un attimo parte dell’universo e provare la sensazione di essere nel posto giusto sono momenti in cui la nostra personale esistenza trabocca di bene; quando la vita eccede in questo verso non abbiamo parole, non possiamo né parlare né scrivere, forse piangiamo solo lacrime di gioia, ma la bocca resta serrata. La vita, però, eccede anche nel dolore. E a questo punto si pensi ai tre tipi di violenza inaccettabile che Ivàn Karamazov elenca e dispiega al fratello Alëša nel romanzo di Dostoevskij: la violenza contro gli anormali, la violenza contro gli animali, la violenza contro i bambini. Al solo pensiero di tutto questo, come trovare parole per parlarne? Come riuscire ad aprire la bocca? La troppa bellezza e il troppo male sono un mistero che ci obbliga a serrare le labbra e, aggiunge Mancuso, anche gli occhi.
Spesso l’essere umano si danna e si tormenta nel cercare le risposte, pur sapendo che non possono reggere, che non sono eticamente né emotivamente accettabili o che sono totalmente arazionali. Bellezza e dolore, questi i due poli sul cui confine Mancuso invita ognuno di noi a camminare: sono i poli di una contraddizione vivente e di un’antinomia per la ragione, sono la tesi e l’antitesi per eccellenza, qualcosa che, con buona pace di Hegel, non può trovare una sintesi. Davanti all’inconcepibilità della loro coesistenza non è possibile (meno che mai nel XXI secolo) nemmeno cercare una soluzione. È un mistero. È un mistero davanti a cui sentirsi nudi, spogliati di ogni antropocentrismo e di ogni pretesa che la nostra ragione valga davvero qualcosa. Non resta che abbassare lentamente le palpebre e serrare le labbra.