Erasmus – Orientamenti parte I

Progetto Erasmus per le facoltà: architettura, conservatorio, design, beni culturali, economia, lingue

Erasmo da Rotterdam lo sapeva bene: per comprendere davvero un Paese o una cultura bisogna viverli fino in fondo. Ed è proprio sull’onda del pensiero dell’umanista olandese che nasce il programma Erasmus, un progetto patrocinato dall’Unione Europea che, attraverso lo stanziamento di fondi, permette agli studenti universitari di frequentare i maggiori atenei d’Europa.
Durante il mese di ottobre 2021, in occasione della rassegna Orientamenti, abbiamo avuto la possibilità di confrontarci su questo tema con chi l’Erasmus l’ha vissuto o lo sta vivendo in prima persona. Abbiamo chiacchierato con alcuni giovani ragazzi non solo di Cuneo che sono partiti alla volta delle più diverse città europee, con l’obiettivo di farci raccontare tutto ciò che c’è da sapere prima di imbarcarsi per questa grande avventura.

Chi è lo studente Erasmus?
Tutti i ragazzi con cui abbiamo parlato hanno una caratteristica in comune: la curiosità. Essere curiosi è uno dei requisiti più importanti, che dà la forza di mettersi in discussione e il coraggio di uscire dalla propria comfort zone, per lanciarsi in un mondo completamente altro all’insegna di nuove esperienze. Molti di loro sono poi partiti con la volontà di migliorarsi nella conoscenza di una lingua, di sperimentare visioni diverse da quella italiana e, perché no, con la consapevolezza che un’esperienza come l’Erasmus rappresenta un elemento in più all’interno del curriculum e un’opportunità di intessere relazioni e contatti anche in una prospettiva lavorativa.

Il bagaglio personale dopo l’Erasmus
Dopo un’esperienza del genere, che può durare dai 3 ai 12 mesi, le conoscenze acquisite sono davvero tante. Vivere all’estero mette di fronte alla necessità di imparare, e anche abbastanza in fretta, a risolvere autonomamente i problemi che la vita quotidiana propone, a cavarsela da soli insomma. Sapendo però che, soprattutto all’inizio, tutti gli studenti Erasmus sono sulla stessa barca spaesati e confusi, il consiglio che i ragazzi ci hanno lasciato è quello di non aver paura di conoscere e farsi conoscere, buttarsi a dialogare con gli altri e prendere attivamente parte alla vita sociale, perché le amicizie che nascono hanno del gran potenziale.

Aspetti burocratici e pratici
Ma veniamo alle questioni tecniche: come si fa ad accedere ai fondi Erasmus?
Per prima cosa bisogna rivolgersi alla propria università per conoscere con quali altri atenei europei si può intrattenere lo scambio formativo. Una volta scelte alcune destinazioni e stilata la preferenza, ogni università ha un suo specifico criterio per l’accesso alle graduatorie: generalmente si tiene conto della media ponderata e di quali esami sono stati sostenuti, ma possono anche essere richiesti una lettera motivazionale, un portfolio personale o certificazioni linguistiche.
È importante muoversi per tempo per stipulare l’agreement con l’università ospitante, in modo da essere sicuri di non avere problemi nel farsi poi successivamente riconoscere gli esami qui in Italia.
Per quanto riguarda la lingua, all’atto pratico è necessario avere una conoscenza minima di inglese (eccetto ulteriori specificazioni) che permetta di seguire i corsi e interagire con le persone del luogo. In Paesi francofoni è inoltre utile affiancare all’inglese una base di francese, cosa che può rendere più facile la vita quotidiana.
A proposito invece dell’aspetto economico della questione, prima di partire è meglio avere qualche soldo da parte. Infatti all’inizio dell’esperienza verrà garantito il 20% dei fondi assegnati, il restante 80% sarà versato una volta che si attesta di aver effettivamente portato a termine il programma di studi e tutti gli esami accordati. L’entità dei contributi Erasmus è direttamente proporzionale alla durata dell’esperienza e al costo della vita nel Paese in cui si soggiorna. Se le proprie disponibilità economiche sono limitate, il consiglio che i ragazzi ci hanno dato è quello di optare, nonostante l’importo del contributo garantito sia inferiore, per mete dove la vita quotidiana ha un costo simile o inferiore rispetto a quella italiana.
Infine, riguardo all’alloggio, molti studenti scelgono di soggiornare in studentati privati o, dove presenti, messi a disposizione dalle stesse università. Spesso questa è una soluzione temporanea utile per il primo periodo, poi, quando ci si è ambientati e si sono stabilite le prime conoscenze, nulla vieta di fare un passo ulteriore e prendersi un appartamento privato.

Lo studio
Indipendentemente dalla meta scelta, tutte le università all’estero presentano una concezione dello studio molto diversa da quello italiano.
Vengono infatti ampliamente privilegiati i lavori pratici e a gruppi, volti a valorizzare il proprio sentire nei confronti della materia studiata e il punto di vista personale. Spesso le ore di lezione frontale sono relativamente poche, affiancate da momenti di discussione tra studenti e professore, in piccoli gruppi di una decina di persone.
Anche la scadenza degli esami è distribuita in modo differente: al posto di avere pochi momenti all’anno di sessione in cui si concentrano gran parte delle prove, le valutazioni hanno cadenza mensile e si tengono in conclusione alle lezioni sulla materia trattata. Il tipo di studio richiesto non è mnemonico, ma molto più concreto è incentrato sulla rielaborazione personale: viene preferita la scrittura di papers ed essays, produzioni scritte, solitamente in inglese, della lunghezza indicativa di cinquemila battute. Alcuni studenti hanno la percezione di sapere meno a livello strettamente teorico, ma ciò viene compensato dalla valorizzazione e dal consolidamento di competenze, come saper lavorare in gruppo e interagire in contesti differenti.
Tutti i ragazzi sottolineano come il rapporto coi professori sia sempre sereno e di collaborazione: hanno avuto a che fare con docenti disponibili, abituati a trattare con studenti stranieri, e spesso con un modo di porsi che non sottolinea la distanza tra alunno e professore.

CORAGGIO SCANDALOSO

La frustrazione, il dolore, il 4 in matematica, le porte sbattute in faccia, il no del papà, la sberla, il rimprovero: sono tutti eventi che aiutano a crescere. Il valore e l’importanza delle esperienze negative risiede nel fatto che attraverso questi improvvisi cambiamenti si piantano i primi semi di un sistema immunitario psicologico forte ed efficiente. Funziona esattamente come quello biologico, si costruisce attraverso esperienze frustranti. Ogni crisi ci insegna che ora più che mai abbiamo necessità di tornare a pensare, progettare, sperimentare. Mettendoci di nuovo in gioco sfoggiamo il nostro coraggio.

 

La parola coraggio deriva dalla parola cŏr, cŏrdiscuore”. L’avere coraggio vuol dire quindi avere cuore, un qualcosa che tutti possiedono. Anche se molte volte questa parola viene spesso confusa con “eroismo”, viene associata ad un atto grandioso che solo pochi sono in grado di fare. In realtà il coraggio esiste dentro ognuno di noi, dobbiamo solo essere capaci di tirarlo fuori. Il coraggio porta con sé una certa fiducia in sé stessi. Il coraggio serve per arrendersi, per scappare, per tenere i pugni aperti, per allentare i denti e lasciare perdere. Il coraggio serve per chiudere tutte le uscite d’emergenza e procedere per l’unica strada che ci somiglia. A volte non ci sono alternative: c’è una forza che ci spinge, ci fa deludere gli altri, ci fa fare cose impreviste e impossibili. Un coraggio scandaloso a cui solo noi riusciamo a dare un senso. Il coraggio che viene imposto dalla legge marziale agli uomini, l’obbligo di combattere, di uccidere, di essere uccisi. E’ solo una parte di coraggio, quella associata all’eroismo, ma esiste anche il nobile coraggio dei disertori, un coraggio scandaloso che spesso non viene valorizzato. Il coraggio di lasciare tutto e scappare viene dipinto dai media come un segno di fragilità, di non amore per la patria. Un coraggio che gli uomini non si possono permettere perché devono combattere fino alla fine, solo le donne possono. È anche poco raccontato il coraggio del perdono, il silenzioso coraggio di rielaborare il male attraversandolo, passarci dentro incontrandosi e incontrando il dolore provocato e subito. Un coraggio che toglie il fiato e il giudizio. Il coraggio di aspettare, di avere pazienza, un modo per diminuire l’aggressività e il dolore che ci accompagna. Di solito facciamo esattamente quello che finisce per accrescere l’aggressività e la sofferenza. La pazienza è quasi vista come debolezza, come un coraggio scandaloso, quindi partiamo in quarta e contrattacchiamo. Inevitabilmente, nel tentativo di sfuggire dal nostro dolore, creiamo, con le nostre parole e le nostre azioni, ancora più sofferenza. C’è anche il coraggio di chi piange e di chi si fa vedere vulnerabile. Oppure il coraggio che porta con sé la fiducia di lanciarsi allo sbaraglio, un coraggio scandaloso per molte persone che sono come ingessate, non riescono a vivere a fondo la grande condizione di libertà che possiedono. La libertà è anche quella di superare gabbie e condizionamenti. Ci vuole il coraggio di andare controcorrente. La rassegnazione di oggi fa paura, accettiamo tutto come inevitabile. 

Forse il seme dell’infelicità odierna è rintracciabile nella perdita di identità individuale. L’uomo contemporaneo cerca invano di sottrarsi continuamente all’ombra della sua anima, per non fare i conti con la propria inaudita infelicità. Per combattere l’infelicità occorre qualcosa di più che un auspicio, che una mera speranza: serve fatica, la fatica di pensare al nuovo, al non già visto; il coraggio di rispondere all’attrazione verso l’ignoto. La felicità è racchiusa nel coraggio di provocarsi, di pretendere qualcosa dal proprio destino senza lasciare che faccia il suo corso senza il nostro contributo. Insomma richiede un coraggio inaudito, scandaloso. Molte volte ciò che ostacola questo atto di coraggio è il timore delle conseguenze, il giudizio altrui. Il desiderio di adattarsi è una delle forze più potenti e meno comprese della società. Todd Rose, nel suo libro Illusione Collettiva, crede che come esseri umani agiamo continuamente contro i nostri migliori interessi a causa dell’incomprensione del nostro cervello di ciò che pensiamo che gli altri credano. Un complicato insieme di illusioni guidate da pregiudizi di conformità distorce il modo in cui vediamo il mondo che ci circonda. È per questo che troppo spesso inseguiamo le trappole familiari di denaro e successo che ci fanno sentire vuoti anche quando li raggiungiamo. È per questo che sposeremo ciecamente un punto di vista in cui non crediamo necessariamente in modo da mimetizzarci con il gruppo. Lo scriveva già Gustave Le Bon, nella Psicologia delle folle, la massa crea un inconscio collettivo in cui ogni individuo si sente deresponsabilizzato, mette il cervello in pausa e agisce di impulso portando anche conseguenze disastrose. 

Nel suo libro, il coraggio, Paolo Crepet spiega come oggi è la tecnologia che ci deresponsabilizza: fino a trent’anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, quindi esporsi. Oggi si può comunicare senza un’interfaccia umana, senza paura di compromettersi. E le virtù umane vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d’animo stanno diventando sempre più un’astrazione virtuale. Per fronteggiare questa grande urgenza sociale, Crepet propone un’ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un nuovo mondo, quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni. Perché, alla fine, il coraggio scandaloso è la magica opportunità che permette di vivere appieno il nostro presente e costruire lentamente il nostro futuro.

 

Andrò mai in pensione?

Quando si parla di pensione, ci capita spesso di incappare in alcune frasi fatte del tipo “La pensione chissà se la vedrò”, “Lavoreremo tutta la vita, non la vedremo mai” e molte altre frasi simili. Il sentimento più comune radicato nella maggior parte degli Italiani rimane comunque una fiducia, seppur lieve, nello Stato, che si basa sul fatto che lo Stato c’è stato in passato e quindi ci sarà anche in futuro. La verità è che la situazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) non è affatto rosea. In molti esperti hanno denunciato le condizioni dei conti di quello che dovrebbe essere il nostro garante di una buona condizione futura dal punto di vista previdenziale. 

Facciamo però un passo indietro: molto legata al concetto di pensione è la liquidazione ossia il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), una quota percentuale, circa il 6,91% del reddito lordo annuo, che ciascun lavoratore dipendente matura durante il proprio rapporto di lavoro e lo stesso datore di lavoro dovrà liquidargli alla fine di tale rapporto di lavoro. Il concetto di liquidazione è nato nel 1927 e serviva per riconoscere un somma al lavoratore che gli permettesse di vivere fino alla finestra successiva di pensionamento. Ad oggi, comunque, la liquidazione è una componente importante per coloro che sono prossimi alla pensione. Merita qualche considerazione anche il sistema di gestione ed erogazione delle pensioni, in quanto c’è stata un’ evoluzione, si è passati infatti dal sistema retributivo a quello contributivo. Il primo era considerato il sistema più corretto in quanto prendeva in considerazione una media delle retribuzioni degli ultimi anni considerando fino a quarant’anni di contributi versati. Il sistema contributivo, quello attuale, invece, si basa sulla somma dei contributi versati moltiplicata per un coefficiente di trasformazione che va di pari passo con l’età di pensionamento. Questo tipo di sistema penalizza chi ha difficoltà a trovare un lavoro stabile, con contributi versati costantemente. Questo cambiamento, dal primo al secondo sistema, si è avuto con la legge Dini del 1995, che, per la fase di transizione, ha varato un sistema misto composto da entrambi i metodi di calcolo. 

Questo tema ha suscitato e sta suscitando molta preoccupazione nelle fasce di lavoratori più giovani per diverse motivazioni tra cui la difficoltà di trovare un lavoro stabile e la crisi demografica che stiamo attraversando dovuta soprattutto alla denatalità. Lo Stato, tuttavia, ha emanato nuovi provvedimenti circa una decina d’anni dopo la legge Dini, promuovendo anche in Italia lo strumento del fondo Pensione. La legge che li introduce fu varata nel 2005 e successivamente modificata nel 2007. Lo Stato, tramite questa misura, ha dato una via d’uscita a questo problema e sta promuovendo sempre più un’adesione collettiva da parte dei lavoratori dipendenti a questi fondi, in modo tale da “alleggerire” in un certo senso l’INPS. Un primo vantaggio derivante dall’adesione a questi fondi è un forte sgravio fiscale, sia che si aderisca tramite un versamento volontario sia che sia aderisca tramite il versamento del proprio TFR. Il secondo grande vantaggio è la rivalutazione mediamente superiore che i fondi riescono a garantire rispetto all’INPS. L’adesione a questi fondi è in crescita lenta ma costante, sinonimo che molte persone hanno compreso l’importanza di tutelarsi di fronte a questo problema.

10 CONSIGLI UTILI PER PESARE MENO SUL PIANETA

Buongiorno miei cari lettori,

Oggi parleremo di un tema che mi sta a cuore da molti anni: la riduzione della plastica. Sono convinta che per salvare la vita del nostro pianeta sia importante ritornare ad utilizzare alcuni modi di fare del passato. Ora vi spiegherò cosa intendo mostrandovi 10 punti che mi sono serviti per cambiare il mio modo di vivere.

I primi cambiamenti che ho fatto sono stati durante i pasti che consumavo a scuola:

  1. Bottiglia in acciaio: ho sostituito le bottigliette in plastica che acquistavo ogni giorno alle macchinette con una bottiglietta di acciaio che riempivo ogni mattina con l’acqua del rubinetto di casa o nelle fontane della città. Questo mi ha permesso di trarre benefici sia a livello economico (non spendendo ogni giorno 1€ alle macchinette) che a livello ambientale.
  2. Contenitore del cibo in plastica lavabile: questo è l’unico dei punti dove utilizzo la plastica, ma la differenza sostanziale è che non è usa e getta quindi quel contenitore lo possiamo riutilizzare tantissime volte. Oltre al poterlo riutilizzare si possono trovare anche contenitori creati con plastica riciclata. Vi darei un’ulteriore consiglio: comprate le materie prime e poi cucinatele a casa. In questo modo acquistate cibo che non è già impacchettato in parecchi involucri palsticosi, traendone anche benefici per il benessere del corpo. In quanto state mangiando cibo fresco, fatto in casa e senza conservanti. ( ecco perché prima dicevo che dovremmo tornare,per alcuni aspetti, alla vita di una volta. Ricordo ancora che mia bisnonna non comprava mai le merendine con l’involucro di plastica, ma preferiva preparare torte o biscotti fatti in casa).

Altri cambiamenti che ho apportato alla mia quotidianità si riferiscono all’igiene personale:

  1. Spazzolino in bamboo: ho iniziato a usare spazzolini in bambù quando ho visto una immagine sui social che ritraeva una spiaggia completamente tappezzata di spazzolini in plastica. Da lì ho cercato un modo comodo per sostituire l’abituale spazzolino da denti. Informandomi su internet ho trovato informazioni sullo spazzolino in bamboo, che mi hanno convinto. All’inizio era faticoso trovarlo in commercio nei negozi fisici, mentre ora si trova facilmente soprattutto nelle erboristerie più fornite.
  1. Dischetti in tessuto: questo cambiamento è nato dall’osservazione dei dischetti buttati ogni sera quando mi struccavo. Da lì ho pensato a cosa potevo utilizzare al posto di quei dischetti usa e getta. Alla fine sono arrivata alla conclusione di ricavare dei cerchi dagli asciugamani esauriti, che assomigliassero ai dischetti di cotone. Dopo ogni utilizzo li metto a lavare in lavatrice.
  1. Dentifricio solido: dopo aver cambiato spazzolino ho notato che lavandomi i denti qualcosa mi disturbava, era la plastica del contenitore del dentifricio. Così ora utilizzo un dentifricio in polvere o in pastiglie contenuto in un contenitore in alluminio. Vi avviso in anticipo che abituarsi al dentifricio solido non è molto semplice, in quanto la nostra bocca riconosce come dentifricio una pasta cremosa, ma dopo un po ‘ di tempo utilizzarlo non sarà più un problema. Questo prodotto si trova in erboristeria oppure in negozi specializzati in prodotti plastic free.
  1. Filo interdentale vegetale: ho sostituito il classico filo interdentale con quello vegetale. Questo prodotto è identico a quello che siamo abituati ad utilizzare, anzi è anche più buono in quanto profuma di menta e lo possiamo tranquillamente buttare nell’umido.
  2. Sapone di marsiglia: questo prodotto l’ho sostituito con ogni tipo di sapone liquido per il corpo. Sono stata influenzata dai prodotti che vendevo in un saponificio in cui lavoravo. Per questo ci tengo a dire che per l’utilizzo che ne faccio io di queste saponette è essenziale comprare un prodotto di qualità. Io il sapone di marsiglia lo utilizzo per lavare i capelli, il corpo e il viso.
  3. Assorbenti lavabili o coppetta mestruale: per non utilizzare ogni mese tantissimi assorbenti contenuti in sacchetti di plastica e impacchettati con altra plastica da buttare nell’indifferenziata, la mia svolta è stata utilizzare gli  assorbenti lavabili. Sono dei prodotti fatti in cotone con la stessa forma degli assorbenti classici che vengono inseriti e agganciati con dei bottoni. Oltre agli assorbenti lavabili, alcune mie amiche utilizzano la coppetta mestruale e si trovano molto bene. A voi la scelta!

L’ultimo ambiente in cui ho cambiato il mio modo di fare è stata la cura della casa:

  1. Luffa: per chi non la conoscesse è un ortaggio particolare, simile ad una zucchina. Una volta tolta la buccia ha un mesocarpo spugnoso, dopo la seccatura può essere usata come spugna per i piatti. In commercio si trova già pronta all’uso.
  1. Detergenti plastic free: questo tipo di prodotto ha diversi punti positivi. In primis l’assenza di plastica, la genuinità e la praticità. Il detergente plastic free viene venduto la prima volta in degli spruzzini (di solito in vetro) con insieme delle pastiglie. L’utilizzo è semplice: si prende la pastiglia, la si mette nello spruzzino corrispondente e si riempie di acqua. La pastiglia si scioglierà e avremo il nostro detergente pronto all’uso. Negli utilizzi successivi si dovrà comprare solo più la pastiglia. La loro praticità deriva dal fatto che occupano poco spazio nei ripiani dove di solito riponiamo tutti i nostri detergenti per la casa.

 

Questi erano i miei 10 consigli per avere un impatto minore sull’ambiente. Grazie per aver letto l’articolo, ci vediamo prossimamente con nuovi consigli, ricette e tanto altro!

Una bellezza necessaria

Vedere Vera Lytovchenko suonare il suo violino nello scantinato di casa sua a Kharkov, sotto le bombe, mi ha fatto capire quanto l’arte, la musica in questo caso, non sia un lusso inutile ma una compagna indispensabile per continuare a sopravvivere. Vedere Elena Osipova scendere in piazza, a quasi ottant’anni, con due suoi disegni che richiamavano l’Urlo di Munch e la scritta: “Soldato, lascia cadere la tua arma e sarai un vero eroe” mi ha fatto capire quanto l’arte possa essere uno strumento potente di ribellione, in modo quasi silenzioso, contro ciò in cui non si crede. 

Picasso diceva che l’arte spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità. L’arte ci aiuta a prendere posizione, a trasmettere dei messaggi, a imprimere nella nostra memoria la storia. L’arte è fondamentale. Come faremmo a vivere in un mondo senza musica, senza film, senza libri, senza danza, senza quadri? Sarebbe impensabile.

L’arte ha il potere invisibile di rimanerci in testa in ogni situazione. Non c’è un momento della nostra vita che non sia associato ad una canzone che stavamo ascoltando in quel periodo o ad un film che abbiamo visto. L’arte ha il potere di farci aprire gli occhi di fronte agli orrori del mondo. Perché quando vediamo certe atrocità poi non possiamo più far finta di niente.

Arte significa libertà di pensiero e di espressione. Ecco perché ai regimi dittatoriali fa paura l’arte. Durante il regime nazista tutte le forme d’arte che non riflettevano i valori nazisti erano chiamate Arte Degenerata (entartete Kunst). Oggi l’artista cinese Badiucao attraverso la sua arte di protesta denuncia il controllo ideologico e morale esercitato dal potere politico. Prima dell’arrivo dei talebani l’artista afghana Fatimah Hossaini fotografava le donne della sua terra. Oggi in Corea del Nord gli unici film messi in circolazione sono a scopo propagandistico.

Gli artisti ci regalano una bellezza necessaria. Le farfalle di Terezin disegnate dai bambini per sfuggire dalla loro triste realtà e sperare nella libertà mi ricordano quanto io sia fortunata in questo momento a potermi esprimere liberamente. Ogni giorno tutti noi in fondo creiamo arte in un modo o nell’altro. L’arte è preziosa, ci fa sentire vivi. La pittura, la scultura, la fotografia, la scrittura, l’architettura, la musica, il design, il teatro, il cinema, i fumetti, la danza sono una bellezza necessaria. 

Le donne nella società-parte IV: le quote rosa in Italia

Nel contesto italiano le donne hanno sempre ricoperto un ruolo marginale all’interno della società, faticando ad emergere in un ambiente prettamente maschile, fondato sull’idea dell’uomo lavoratore. Per poter far evolvere la situazione e avere più indipendenza sono state portate avanti numerose battaglie, la cui svolta decisiva è avvenuta nel 1945 con l’affermarsi del diritto di voto alle donne. Grazie al suffragio femminile si aprirono nuovi scenari all’interno del contesto politico, tra cui l’introduzione del meccanismo delle quote rosa. Una novità importante che ha fatto in modo che la donna potesse emergere in quegli ambienti da sempre caratterizzati da presenze maschili, dove ormai l’idea che una donna potesse partecipare e prendere decisioni andava sempre più scemando.

Il primo comma dell’articolo 51 della Costituzione italiana recita: «tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra uomini e donne». Si può quindi affermare che dal dopoguerra c’è stato un vero e proprio passo in avanti per quanto riguarda la parità di genere nella vita politica e sociale. Secondo l’Enciclopedia Treccani, le quote rosa sono un «provvedimento – generalmente temporaneo – volto a garantire la rappresentatività delle donne nei segmenti della classe dirigente di soggetti pubblici e privati (vertici aziendali, consigli di amministrazione, liste elettorali) attraverso la definizione di una percentuale minima di presenze femminili».

Principalmente le quote rosa sono state utilizzate per aumentare il numero di donne presenti nei parlamenti. Il 12 luglio 2011 la legge 120/2011 è stata approvata ed è entrata in vigore grazie a Lella Golfo e Alessia Mosca; secondo tale legge gli organi delle società quotate dovranno essere rinnovati riservando una quota pari ad almeno un quinto dei propri membri al genere meno rappresentato: le donne.
La legge Golfo-Mosca ha assunto non solo importanza storica per la corporate gender equality, ma anche importanza giuridica: è la prima legislazione che prevede il rischio di non conformità nel caso di mancato adeguamento agli obblighi normativi, ovvero il rischio sia di sanzioni pecuniarie sia di decadenza dell’intero organo eletto. La legge ha una validità di dieci anni, durante i quali le donne possono mettere a servizio le proprie conoscenze, esperienze e competenze. La legge è formata da tre articoli fondamentali:

Art.1: Equilibrio tra i generi negli organi delle società quotate. «Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi».
Art 2: la decorrenza. «Le disposizioni della presente legge si applicano a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e degli organi di controllo delle società quotate in mercati regolamentati successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, riservando al genere meno rappresentato, per il primo mandato in applicazione della legge, una quota pari almeno a un quinto degli amministratori e dei sindaci eletti».
Art 3: società a controllo pubblico. «Le disposizioni della presente legge si applicano anche alle società».

Alcuni dati

Il Rapporto Cerved-Fondazione Marisa Bellisario 2020, realizzato con Inps, riporta importanti dati riguardanti le donne in politica e ai vertici delle imprese, tra cui i seguenti:

  • nel 2008 le donne nei Cda delle società quotate erano 170, ossia il 5,9%, mentre oggi sono 811, il 36,3%.
  • Nel 2012 le donne nei collegi sindacali erano il 13,4%, nel 2019 sono diventate il 41,6%.
  • Ci sono 475 sindaci donne.
  • L’Italia è, con Francia, Svezia e Finlandia, tra i pochi Paesi europei ad aver superato il tetto del 30% nei CdA.
  • Nelle controllate pubbliche, la percentuale è più bassa: 28,4%. «Dove le nomine le fa la politica – sottolinea Golfo – la percentuale è più bassa, perché non si mettono d’accordo o lo fanno sul nome di un uomo».
  • Nelle società non soggette alla legge Golfo-Mosca, la presenza femminile è solo il 17,7%.
  • Nelle quotate, le donne amministratrici delegate rappresentano soltanto il 6,3%, le presidenti il 10,7%. Secondo una recente ricerca Equileap, l’Italia rimane comunque dietro gli altri grandi paesi europei per l’equità tra uomini e donne nelle quotate, nonostante sia ai primi posti in Europa per presenza di donne nei CdA.

Stando agli ultimi dati del World Economic Forum, per colmare il divario economico di genere serviranno oltre due secoli, per la precisione 257 anni. Golfo ha affermato che «abbiamo fatto passi da gigante ma ci siamo fermati all’obbligo, non siamo andati oltre. Il tema è principalmente culturale. Quando ho pensato alla legge, credevo che le donne nei CdA avrebbero dedicato molta più attenzione alle altre donne, e in particolare a quelle nelle aziende. Purtroppo, non è avvenuto. Chi ce la fa per prima, dovrebbe mandare giù l’ascensore per far salire altre donne, invece l’ascensore si è fermato a metà». Il problema non è solo italiano. Dallo studio europeo di European Women on Boards, soltanto il 6% delle società dell’indice di borsa STOXX Europe 600 ha a capo una donna. Inoltre, secondo il Global Gender Gap Report 2021, il potenziamento politico femminile, a livello globale, è al 22%. Per giungere alla parità, serviranno 145,5 anni.

Pro e contro

Naturalmente tali cambiamenti, soprattutto in un contesto politico, hanno suscitato diverse reazioni e tesi contrastanti di coloro che valutano i pro e i contro di questo meccanismo. Chi è favorevole sostiene che la legge Golfo-Mosca possa portare in evidenza temi e questioni che, altrimenti, verrebbero tralasciate. Avendo anche una presenza femminile all’interno del Parlamento, è possibile avere delle visioni più ampie che tengono conto degli interessi del genere femminile e che mettono in risalto punti di vista eterogenei. Le donne possono così dare voce ai propri pensieri, far risaltare le proprie opinioni e sostenere le proprie idee, senza doversi sempre attenere a un punto di vista prettamente maschile. In questa concezione le quote rosa rappresentano un meccanismo essenziale per garantire un’adeguata parità nella rappresentanza parlamentare delle donne, sistematicamente sottorappresentate. Inoltre, spesso, la figura femminile rappresenta una figura positiva negli ambiti politici perché porta allo sviluppo di un vero e proprio cambiamento: essendo, in genere, molto sensibili e attente, le donne possono portare all’affermazione di nuovi modi di pensare e agire, e questo anche nell’ambito lavorativo comporta una maggiore competitività̀.  Da questa riflessione si può evincere che è importante far valere il talento delle donne senza discriminarle solo per il genere di appartenenza.
Tuttavia, si è osservata anche una posizione contraria alle quote rosa, dettata dal sospetto che questo meccanismo possa sviluppare effetti negativi in relazione alla meritocrazia. Riservare un numero di seggi obbligatorio alle donne vorrebbe dire sceglierle non in base alle loro capacità, conoscenze e competenze, ma solo per il loro genere. Altri sostengono che le donne siano meno ambiziose e competitive degli uomini, con meno esperienza e capacità, il che significherebbe far ricoprire incarichi prestigiosi e fondamentali a figure meno competenti.

In ogni caso è fondamentale cercare di includere e imparare gli uni dagli altri. La presidente della camera Laura Boldrini ha istituito a Montecitorio una sala dove sono presenti quadri in cui viene raffigurato il volto delle donne e le rispettive cariche istituzionali assunte. Tre di questi quadri hanno al proprio interno uno specchio, in modo che qualunque donna possa aspirare a ricoprire quelle cariche che sono sempre state prive di rappresentanza femminile ovvero quella del presidente della Repubblica, presidente del Senato e presidente del Consiglio dei Ministri. Boldrini afferma infine: «nonostante gli enormi passi avanti fatti negli anni, spesso la donna viene considerata ancora come oggetto o elemento di non garanzia o di non sviluppo della società equiparando la parola donna a debolezza o nullità. Quindi si può affermare che le donne danno la vita, le donne insegnano la vita, le donne amano la vita e continueremo a lottare per quella parità di generi che ci spetta».

 

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