Tracce di emozioni

Ultimi giorni per poter visitare l’incredibile progetto artistico di GPL, un delicato nastro di memorie lungo più di 300 metri che attraversa le antiche stanze della Cavallerizza Reale.
Già diverse centinaia di persone si sono immerse in questo incredibile progetto racchiuso in un patrimonio dell’Unesco come la Cavallerizza. Sui tre spazi di questo stupendo palazzo del regno sabaudo è stato srotolato un lungo nastro in foglio di alluminio che per oltre trecento metri attraversa i diversi luoghi dell’edificio, sia nell’interno che sulla facciata, creando così un anello che unisce diciotto oggetti, memorie di lontane presenze che abitarono questo edificio.

Negli anni la stratificazione delle presenze nella maestosa Cavallerizza Reale è stata particolarmente varia, ora un lungo nastro argentato ne raccoglie diciotto presenze, rappresentate da un piccolo manufatto rappresentativo. Una spilla, un orsetto, un fiore di plastica sono alcuni degli oggetti che in forma archeologica ritornano “a vivere” in questo luogo antico.
Ora questi articolati locali sono nuovamente vissuti attraverso il progetto GPL (Grandi Progetti Leggeri) che Anna Ippolito e Marzio Zorio hanno attivato in collaborazione con la sezione delle Arti Visive della Cavallerizza Irreale.
Il progetto è il primo di una rassegna che si svilupperà nei prossimi mesi con iniziative uniche ed irripetibili.
Un incredibile idea dell’artista Domenico Olivero, ideatore dei 300 metri di nastro in alluminio che passano nelle decine di stanze, creando un percorso circolare.
Le relazioni fra lo spazio e il progetto creano un’atmosfera diafana che sensibilizza le nostre memorie.

Orario apertura Sabato e Domenica dalle 15,30 alle 18,30, dal Martedì al Venerdì GPL è aperto su richiesta telefonando ai numeri +39 338 1426301 / +39 349 715 7404, ingresso libero, fino al 15 Ottobre 2017.

Altre info e foto al sito http://piueventi.blogspot.it/2017/07/rassegna-gpl-grandi-progetti-leggeri.html

Storie da grandi

È dalle storie degli altri che impariamo chi siamo, chi vorremmo essere, chi possiamo diventare. Finita l’infanzia, non smettiamo di aver bisogno di racconti meravigliosi, anche se cambia il recipiente a cui attingiamo per trovarne: noi “grandi” indaghiamo quel libro enorme e variopinto che è il mondo.

 

Supereroi.

Cerchiamo esempi, modelli: la forza degli altri edifica la nostra e abbiamo bisogno che ogni storia abbia il suo supereroe. Da bambini conoscevamo quelli tradizionali, da adulti ne incontriamo di nuovi ovunque: ne sono piene le strade, i vagoni dei treni, le biblioteche, i ristoranti. I piccoli atti quotidiani di molti uomini qualunque non sono che un modo di combattere, da supereroi, una battaglia di cui gli altri non sanno nulla. Perché non c’è superpotere che non nasca da una ferita, da un dolore non evitato, bensì attraversato e trasformato.

 

Io sto nel mondo.

C’è un terreno su cui si gioca la nostra partita, un contesto in cui si inserisce la nostra storia. Tentare di conoscerlo è un’avventura meravigliosa!
Tutto ciò che avviene nel mondo ci compete, anche nell’era della complessità e dell’iper-specializzazione. E soprattutto, per quanto piccoli possiamo essere, nulla di ciò che faremo sarà privo di ripercussioni sul mondo; nessuna parola che pronunceremo – anche con voce appena udibile – sarà come non detta.

 

Nel mio tempo, nel mio spazio.

Abbiamo un margine d’azione. Abbiamo l’istante presente, esattamente nel punto del mondo in cui ci troviamo. Troppo poco? Nient’affatto. Sono il tempo che scorre e lo spazio che cambia a permettere all’uomo di portare avanti ciò che fa della sua vita un capolavoro: il progetto.

 

Oltre il mio tempo, oltre il mio spazio.

Che l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si assomiglino è verità spesso dimenticata. Che esista una misteriosa corrispondenza tra l’esorbitante altezza dei Cieli e l’abissale profondità dell’animo umano è ciò da cui occorre partire, ripartire.
Concediamoci il lusso di riconoscerci un valore ulteriore, di sentirci infiniti, più grandi di quel pezzo di spazio e di tempo, in cui pure vogliamo vivere da veri supereroi.

Il sole più caldo di qui

Aprile 2017

Io, in verità, non volevo sapere il tuo nome. Perché sapevo che se avessi saputo il tuo nome mi sarei sorpresa a pensarti, in un giorno qualsiasi, come oggi. Sono agitata, nervosa, ho mille cose da fare, pensieri per la testa ed ansie che chiudono lo stomaco. E tutto questo mi blocca. Solo un pensiero si muove e arriva a te. Lorenzo.

Lorenzo. Saperti per nome ti rende ancora più reale di come ti ha reso reale il tuo essere stato carne.

Il giorno dopo in cui ti ho incontrato, Lorenzo, pioveva. E una delle prime cose a cui ho pensato è stata che avresti dovuto sapere che non ti eri perso niente. Il cielo era grigio pieno di nuvole, piene di pioggia. Solo pozzanghere a terra e un autobus mi ha schizzato tutta l’acqua sporca di strada addosso. Sono arrivata in ospedale tutta bagnata. E continuavo a pensarlo, che in fin dei conti, non ti eri perso proprio nulla. Ma oggi, giorno in cui ti scrivo, c’è il sole, dopo giorni che piove, e sembra più luminoso, sembra più caldo. E non sono più sicura che non ti sei perso nulla.

Ci ho messo un po’ a capire cosa sentivo. Riesco a scriverlo solo ora, dopo troppi silenzi e troppi pensieri taciuti. Lo scrivo proprio oggi che c’è il sole, che ho mille persone da chiamare e a cui rispondere, mille pagine da studiare, un evento da organizzare. Radicata nel momento presente, la mia mente mi obbliga a ritornare indietro, perché lei sa che il modo per andare davvero avanti, a volte, è tornare indietro.

Ti ho incontrato al pronto soccorso, in una stanza condivisa con un settantenne miracolosamente vivo precipitato da sette metri di altezza. Eravate divisi da un solo paravento. Tu occhi chiusi, un tubo alla bocca, aghi nelle vene. I monitor scandivano i tuoi secondi. Il letto sembrava piccolo per te. Non ti muovevi. Forse sognavi. Chissà dov’eri.

Ti abbiamo aperto le palpebre. I tuoi occhi sono castano chiaro. Le tue pupille non reagiscono più alla luce. La specializzanda ritenta, mentre ci spiega il riflesso pupillare. Riprova da entrambi gli occhi. Nulla.
Ricordo di quando ero piccola: un giorno ero andata a giocare a casa di un’amica di mia sorella. Avevo tra le mani un delfino di gomma, e non so come lo spezzai in due. In modo irrimediabile. Non c’era più nulla da fare. Come quando uno prova a ricomporre il guscio di un uovo rotto, come quando uno ha sbagliato ad essersi tagliato i capelli, o come quando uno dice qualcosa ma subito se ne pente. Irreparabile. Il delfino spezzato, come un uovo che non si ricompone, i capelli che non crescono così veloci, le parole che non tornano indietro. Come le tue pupille che non reagiscono più. Se anche avessi usato lo scotch -pensai da bambina con il delfino spezzato fra le mani, ed ora di fronte ai tuoi occhi che non vedono più- si sarebbe comunque visto che era in due pezzi. Ti si sono rotti gli occhi, non si aggiusteranno più.

Ti ho auscultato i polmoni, dopo la specializzanda. Si sente che si espandono e che ritornano, con andamento ciclico. Mi vien spontaneo farti forza, perché sento chiaramente il suono del tuo respiro, e mi sento sollevata. Ma d’un tratto mi irrigidisco guardando in corrispondenza della tua testa un ventilatore che respira per te.
Il rumore delle macchine che ti tengono in vita, il tuo corpo nudo, così massiccio, di uomo appena fatto, eppure così vulnerabile e indifeso, totalmente dipendente dalle mani degli altri, come se avesse perso ogni forza e consistenza, ora che la tua mente e la tua volontà chissà dove sono. Le infermiere, con estrema dolcezza e premura si prendono cura di te. Ti girano da un lato e poi dall’altro per lavarti. Quanto amore ci mettono. Dopo profumi.

Clinicamente sei stabile, ma tu non ci sei. Dove sei?

Hai sangue in tutto il cervello e hai un tatuaggio sul braccio destro, di quelli grandi e colorati. I segni sulla pelle sono storie. Chissà se hai dovuto lottare con i tuoi genitori per potertelo fare, oppure se invece erano d’accordo. Chissà se hai dovuto discutere con loro per farti comprare quella moto. Chissà se hai una ragazza o l’hai mai avuto in questi tuoi 22 anni, se sei una brava persona, oppure se prendi in giro tutti. Chissà se ti piace studiare, oppure adori il basket. Chissà se sei mai stato in America, se qualcuno conosce tutto di te o c’è qualcosa di te che nessuno sa. Chissà qual è il tuo segreto o il gusto di gelato che preferisci. Come sorridi, o cosa ti fa ridere. Chissà qual è il suono della tua voce e se corri veloce. Oltre ai segni sulla pelle, forse anche le cose che non si sanno fanno le storie.

Sulla tua cartella clinica c’è scritto che i tuoi – chissà dove sono ora – sono informati del fatto che hai sangue in tutto il cervello. Se posso immaginare a malapena la pienezza dell’amore di un genitore verso il proprio figlio, tremo all’idea di cosa possa provare, un genitore, a perderlo.

Eri in moto e nel cervello avevi un angioma. Non si sa, né mai si saprà, se la sua esplosione è stata causa o conseguenza dell’incidente. Di certo anche le cose che non si sanno fanno le storie.

Non ti sei perso nulla nemmeno oggi in fondo. Con il tuo corpo qui, inerte, è difficile pensarti in un lì. Ma se esiste un posto dove davvero si può stare senza un corpo, ci dev’essere un bel sole, anche se piove. Un sole che scalda di sicuro più di oggi, di sicuro più di qui.

Sanremo oltre il Festival: una città mai uguale a se stessa

Sanremo è per lo più conosciuta come la città del Festival della canzone italiana. Eppure, per chi avesse voglia di visitare e conoscere questo splendido comune della riviera del Ponente ligure, scoprirebbe che Sanremo è ricca di arte, di cultura, di storia. Non solo spettacolo e lusso come si potrebbe pensare, dunque.
Se vogliamo partire dalla storia, infatti, il centro storico della Pigna merita sicuramente una visita: nucleo originario della cittadina, esso si aggrappa alla collina in cima alla quale domina l’imponente santuario della Madonna della Costa. Per il turista coraggioso, si consiglia di scalare (perché di scalata si tratta) i ripidi carruggi, tipici vicoletti dei borghi liguri, senza dimenticare di dare un’occhiata verso le case alte e strette, spesso semi abbandonate, ma ancora collegate da archi e volte. Ogni tanto si apre una piazzetta, dove dominano palme o ulivi, o dove si affaccia un piccolo negozietto o un ristorante tipico. Una volta in cima, una lunga salita porta infine al santuario. Da lì, finalmente, il turista si gode il premio della scalata: una splendida vista di tutta Sanremo, con il Porto Vecchio e Porto Sole.
A proposito di Porto Vecchio, esso racconta un altro pezzo di storia di Sanremo: il rapporto con il mare è infatti essenziale per la città fin dal Medioevo, quando la navigazione marittima divenne un punto di forza. Si può scendere fino a livello delle barche dei pescatori e si può osservare da vicino il loro lavoro, silenzioso, paziente, senza tempo.
Proseguendo oltre Porto Vecchio, ecco che compare alla vista un massiccio fortino: il Forte di Santa Tecla, che si affaccia imponente sul mare, venne costruito dai Genovesi nel corso del Settecento per tenere sotto controllo la zona e per consentire lo sviluppo della città. Fino a poco tempo fa era adibito a carcere, ma di recente il complesso è stato ristrutturato e vi si allestiscono conferenze e mostre. Ad aprile ho visitato proprio qui un’interessante mostra dei disegni di Libereso Guglielmi, giardiniere di Italo Calvino e botanico di fama internazionale.
D’altronde, Sanremo è anche la città di Italo Calvino: qui lo scrittore trascorse la sua infanzia e adolescenza, frequentò il liceo in Piazza Nota. Villa Meridiana e il suo splendido giardino sulla collina sanremese sono stati fonte di ispirazione per “Il barone rampante” e Sanremo stessa, come ha rivelato Calvino, rispunta in numerosi scorci de “Le città invisibili”.
Oltre al centro più modaiolo e commerciale, che si snoda su via Garibaldi, Piazza Colombo, via Matteotti (sulla quale si affaccia il Teatro Ariston e il Casinò), via Roma e piazzetta Bresca (ricca di locali notturni e ristoranti, oltre che ritrovo fisso dei giovani sanremesi), il turista non può perdersi una biciclettata sulla lunga pista ciclabile. Essa è stata ricavata dal percorso della vecchia ferrovia, che un tempo passava in mezzo alle case del centro, ma che, da qualche anno, è stata spostata più internamente. La pista ciclabile parte da Ospedaletti (che si trova tra Ventimiglia e Sanremo) e prosegue fino a San Lorenzo al Mare, per un totale di 24 chilometri. Tra gallerie e paesaggi marini meravigliosi, ogni tratto della pista ciclabile è unico, e la si può percorrere in bicicletta, a piedi o in risciò. Non mancano ovviamente numerose spiagge, libere e private, in cui godersi il mare della riviera di Ponente.
Per conoscere Sanremo anche attraverso i suoi sapori, tra le specialità gastronomiche locali si deve assolutamente provare la sardenaira, una specie di pizza con pomodoro, olive, capperi e aglio; la torta verde, una torta salata con riso, zucchine o piselli o carciofi; il classico e immancabile coniglio alla ligure; e per finire, i baci di Sanremo.
Poliedrica e sempre sorridente, ricca di profumi liguri ed esotici, Sanremo è certamente una meta turistica, ma resta una città da scoprire e riscoprire sempre: sorprende ogni volta che si tenta di conoscerla meglio, e non è mai uguale a se stessa.
Voglio avvertire il turista: a Sanremo, spesso e volentieri, ci si lascia il cuore.

Chiara Armando

Open Garden: un giardino incantato

Peru peru monta su, cala cala mai pi giu.”

Spiga verde sali su, senza scendere più giù”.

Questa era una filastrocca che veniva ripetuta più volte nei pomeriggi tra le spighe dei campi di campagna. Perché per passare lunghe ore tra i campi, nel torrido caldo estivo, senza cellulare o connessione internet, i bambini dovevano sognare e abbandonarsi alla creatività per trasformare la campagna in un parco giochi. Non c’erano Facebook o pomeriggi interi al centro commerciale. C’era l’arte di far morire un seme piantato nella terra, di aspettare il freddo dell’inverno e la soave brezza primaverile per veder nascere la pianta da cui tutto poi aveva inizio.

Una filosofia, quella agricola, che sembra sempre più lontana e nascosta. Eppure, c’è chi vuole riscoprirla e donarla a tutti coloro che sognano di fare la spesa in un mercato contadino di prodotti locali, di cuocere la carne alla brace su un braciere condiviso insieme ad altre persone che hanno scelto anche loro di non chiudersi in un centro commerciale. Chissà che con una buona birre non diventino degli amici. D’altronde, la filosofia agricola nasconde anche questo.

La terra da coltivare è sempre una scoperta, perché ogni anno tutto può cambiare. Più pioggia o meno pioggia, più sole o meno sole, più fertile o meno fertile e tutto il raccolto può subirne variazioni. Dietro tutto questo, però, la terra porta con sé altri valori che prescindono il tempo e ci guidano nella nostra quotidianità sempre più frenetica, egocentrica e superba.

L’arte della attesa, perché in natura non è tutto subito. Per giungere alla bellezza, quella vera, bisogna faticare, lavorare, aspettare e sperare. In natura c’è un tempo per tutto e le coltivazioni richiedono fatica come zappare sotto il sole cocente. Non è tutto subito, altrimenti sarebbe acerbo. E non è tutto al tempo nostro: un frutto se non è colto quando è maturo, marcisce. Ecco, l’arte dell’attesa è l’arte di arrivare pronti agli appuntamenti importanti. E’ la fatica di prepararsi; è la gioia di tenere nel palmo di una mano il frutto del proprio lavoro pronto per essere gustato.

Poi c’è’arte dell’originalità. Dal latino origo che significa origine. Come a dire che è davvero originale solo chi ha radici profonde, chi appartiene a qualcuno. E’ l’arte di riconoscersi responsabili della propria terra, del proprio territorio, perché è da lì che si proviene. Forse è un’arte sempre più in disuso. Perché essere originali non è analogo ad  avere successo, ma è sinonimo di preziosità

Infine c’è l’arte dell’umiltà. Umiltà deriva dal latino humus, terra. Umile è colui che arriva dal basso, dalla terra appunto. Umiltà è anche un senso di piccolezza nei confronti di qualcosa di più grande. Umiltà è quel sostantivo che racchiude quella filosofia agricola che tanto ci manca e a ricordarmela è stato quel gelataio di Poirino che serve il gelato all’Open Graden Baladin: “Il latte delle mie mucche, la frutta dei miei frutteti… Io faccio di tutto perché vengano fuori nel miglior modo possibile, ma non dipende tutto da me. Tutto è dono, della mucca o dell’albero. Io ne colgo solo i frutti”. E il frutto di tutti questi frutti è un gelato eccezionale!

Tutti questi valori sono nascosti tra le panche, le braci e i profumi di un giardino, quasi incantato. L’Open Garden è la semplicità che si realizza. Non è altro che un giardino, davvero. Ma in un’epoca come la nostra, dire di andare in giardino a fare la spesa, la carne alla brace e a giocare a carte fa specie. A fare effetto qui, però, non è solo questo: sono anche le storie di tutti quei contadini che portano i prodotti della propria terra, le storie di ogni singola birra che si può sorseggiare e la storia che ognuno può riscoprire in questa filosofia agricola.

Le storie, al nostro tempo, quasi non si recitano più. C’è stanchezza, c’è poco tempo e c’è l’ansia di voler tutto subito. Basti pensare alla scuola dove non si raccontano più storie, dove non si raccontano più i motivi che hanno spinto a una scoperta o allo scrivere una poesia, ma si completa solo il programma.

C’è una grande ricchezza nelle storie. E la storia più bella è quella che ognuno di noi è venuto a raccontare. Un proverbio ebraico recita: “Dio ha creato l’uomo per sentirgli raccontare storie”. E le storie belle, quelle originali, si raccontano con umiltà e si ascoltano in un’attesa silenziosa.

La differenza tra una storia brutta e una storia bella è la reazione che avviene dopo che la si è ascoltata. La prima è eccitante, ma dura poco. La seconda porta frutti col tempo e dona gioia duratura. Insomma, la prima è di successo immediato mentre la seconda passa inosservata, ma la prima svanisce mentre la seconda cresce.

In altre parole: la prima è un centro commerciale, la seconda è un giardino in mezzo alla natura.

CUNEO, elezioni comunali: sette diverse possibilità

Alla vigilia delle elezioni comunali, la mattina del 7 giugno i candidati sindaco hanno preso parte ad un dibattito davanti agli elettori dei Licei Classico, Scientifico e Magistrale di Cuneo.
Su invito dei rappresentanti d’istituto del “Pellico – Peano” i sette aspiranti sindaco si sono riuniti nel Centro Incontri della Provincia e, dopo essersi presentati brevemente, hanno risposto alle domande che i ragazzi avevano preparato.

Presentazione dei candidati
A rompere il ghiaccio è stata Maria Luisa Martello, ex preside, a capo di 3 liste civiche di cui una composta interamente da giovani sotto i trent’anni. Il suo programma si basa su una visione alternativa che guarda verso l’Europa e che si definisce progressista, inclusiva rispetto alle nuove realtà emergenti e aperta al dialogo.
È seguita la presentazione di Giuseppe Lauria, consigliere comunale da diversi anni. Per queste elezioni si presenta non più come esponente di destra, ma con tre liste civiche. Sostiene la necessità di un cambiamento rispetto alla precedente amministrazione, di cui non condivide la gestione dei fondi.
Il terzo candidato a presentarsi è stato Federico Borgna, appoggiato da cinque liste, tra cui due appartenenti al PD e ai moderati. Il sindaco uscente ha detto di riconoscersi in tre valori portanti: la libertà, eredità della resistenza partigiana, la solidarietà, che in questi anni ha cercato di rispettare evitando di tagliare fondi al sociale e il lavoro, creato attraverso la riqualificazione di Cuneo.
Per il M5S si candida Manuele Isoardi, con una lista composta da 23 persone. In una realtà in cui molti dipendenti perdono il lavoro, Isoardi sostiene la necessità di non lasciare nessuno indietro, di creare lavoro, attraverso l’efficientamentamento energetico e un programma per ridurre al minimo i rifiuti.
Isoardi è stato seguito dall’esponente di Casapound, Fabio Corbeddu. Il movimento, arrivato a Cuneo sei anni fa, si presenta con un programma che prevede un trattamento prioritario per gli italiani in qualsiasi genere di graduatoria e si propone di creare lavoro e valorizzare non solo Cuneo ma anche le frazioni.
Per la lista “Cuneo per i beni comuni” si presenta, invece, Nello Fierro, in politica da una decina di anni. Intende continuare il percorso di opposizione a Borgna iniziato da Garelli, ponendosi come obbiettivo quello di dar voce a chi finora non è stato preso in considerazione e ai giovani, traendo spunto dall’aiuto di tutti.
Infine si è presentato Giuseppe Menardi, già sindaco in passato. Si oppone all’amministrazione uscente, che, secondo il candidato ha preteso di mettere d’accordo tutti, senza considerare le caratteristiche principali della politica: il confronto e il dibattito. Se eletto, intenderà, quindi, interloquire con tutti, ma prendersi la responsabilità di decidere.

Question time
Dopo la presentazione i candidati hanno risposto a due domande ciascuno, estratte a sorte, nei tre minuti stabiliti per ogni intervento.
È stata affrontata la tematica dell’immigrazione, riguardo a cui la Martello si è detta intenzionata ad agire all’insegna dell’accoglienza, per creare una città multietnica, ma nel rispetto delle norme. Fabio Corbeddu, invece, ha dichiarato di essere contrario a questa retorica del fatalismo e di voler fermare l’arrivo degli immigrati.
Si è parlato molto di occupazione giovanile e i candidati hanno avanzato diverse proposte: Lauria intende risolvere questa problematica «dando le gambe» ai progetti dei giovani, sostenendoli nelle loro iniziative, mentre Isoardi si propone di far ripartire la piccola impresa e di creare occupazione attraverso un ripensamento dell’attuale modo in cui consumiamo. La soluzione che indica invece Borgna è quella di creare nuovi posti di lavoro rilanciando la città, attirando turismo e rendendo competitiva Cuneo dal punto di vista della nuova economia dematerializzata.
Parlando di futuro per i giovani non poteva mancare uno scambio di opinioni sul tema delle università. Nello Fierro ha sostenuto la necessità di creare offerte culturali anche all’esterno delle università cuneesi, e di potenziare quest’ultime, che sono ormai centri di alta qualità, attraverso dei progetti di ricerca.

In un clima da ultimi giorni di campagna elettorale, tra battute provocatorie e repliche tempestive, si è comunque creato un confronto stimolante. Seduti dietro al tavolo della Provincia, i sette candidati sindaco hanno dato prova di desiderare, al di là del credo politico, un dialogo e un contributo da parte anche dei giovani e di rispondere alle loro questioni con serietà.

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