Notte d’hobo

Il cuore è randagio fra neon e cemento,

in bocca ho il ricordo del tuo gelsomino,

sa di amor sussurrato alla luce di notte:

il guinzaglio sottile si svela al mattino.

I due amanti proibiti si fondon nel vento,

un androgino in aria, sospeso, divino

che tinge d’oceano il mio buio di rotte:

lo schiavo cosciente ha peggiore destino.

 

 

PL

La solitudine di chi sta benissimo

«Ai giorni nostri la solitudine è il nuovo cancro, una cosa vergognosa e imbarazzante, così spaventosa che non si osa nominarla: gli altri non vogliono sentire pronunciare questa parola ad alta voce per timore di esserne contagiati a loro volta, o che ciò possa indurre il destino a infliggere loro il medesimo orrore». Questa citazione è senz’altro molto significativa per introdurre il tema centrale che ruota attorno al meraviglioso romanzo di notevole successo da cui essa stessa è tratta, ossia Eleanor Oliphant sta benissimo (2018), opera d’esordio di Gail Honeyman. Solo di recente infatti il tema della solitudine sta ritornando all’attenzione generale dei media come problema sociale diffuso, in quanto, paradossalmente, in un mondo febbrilmente connesso e iperattivo come quello di oggi, la solitudine emerge per contrasto. Siamo troppo soli perché ci sembra di essere costantemente al centro del mondo (grazie ai bombardamenti che ci arrivano dai social, dalle pubblicità), ma poi scopriamo che in realtà siamo terribilmente defilati, e occupiamo un infinitesimo spazio nella miriade di persone che vive su questo pianeta.

Eleanor Oliphant, protagonista del romanzo, rappresenta un modello apparentemente inconcepibile per tanti, eppure più diffuso di quanto si possa pensare: è una giovane donna che vive da sola e non ha relazioni sociali. Lavora dal lunedì al venerdì in un ufficio di Design in cui gestisce la contabilità, torna al venerdì sera a casa e passa il week end a bere wodka e dormire. Spesso non apre bocca per parlare con qualcuno per tutto il week end. Eppure, Eleanor continua a ripetere di «stare benissimo», di non aver bisogno assolutamente di nessuno e di cavarsela egregiamente. Non appena il lettore la segue nei rarissimi scambi verbali che ha con i suoi colleghi, capisce che Eleanor ha problemi anche nella comunicazione con gli altri: non è capace di attenersi alle più classiche convenzioni sociali, dice quello che pensa senza timore di offendere. Questo atteggiamento spiazza totalmente chi legge, ma è anche vero che Eleanor si mostra al mondo senza filtri, senza schemi precostituiti, assolutamente genuina, ed è la schiettezza che la contraddistingue che la rende subito tremendamente simpatica. All’inizio della vicenda il lettore non sa quasi nulla del passato di Eleanor, non viene a conoscenza del perché sia diventata così. Tra l’altro il personaggio compie una parabola vertiginosa, in quanto si innamora perdutamente, per caso e molto in fretta, di una rockstar che suona e canta sempre nei dintorni del quartiere dove Eleanor abita e lavora. All’esterno l’infatuazione pare assurda, e fa anche sorridere: come fa una persona adulta ad innamorarsi di qualcuno che non ha nemmeno mai visto dal vivo, ma solamente in foto? Eppure Eleanor è serissima a riguardo; inizia immediatamente a costruirsi i suoi “viaggi mentali”, nei quali è già fidanzata con il musicista, e progetta cene e uscite romantiche. Tuttavia questo nuovo atteggiamento della ragazza porta anche dei risvolti positivi, in quanto fa sì che in Eleanor maturi un lento cambiamento: inizia a pensare di più a se stessa, al suo corpo, al suo aspetto. Finalmente c’è un motivo valido che la spinge a cambiare. L’infatuazione improvvisa e di stampo adolescenziale, nel libro un po’ estremizzata, è per di più tipica di chi sta da solo da tanto tempo, e inconsciamente sente la forte necessità di avere qualcuno accanto, un compagno di vita. Quando Eleanor però si rende conto del fatto che il cantante è una persona totalmente differente da come se l’era immaginata, è troppo tardi, e subisce un tracollo definitivo. Fortunatamente, ci sarà qualcuno a salvarla prima che sia finita davvero.

Durante tutto il romanzo, osserviamo Eleanor crescere e affrontare finalmente, con molta lentezza e fatica, quei fantasmi che da troppo tempo la stavano assillando. Raccontando questa storia, l’intento dell’autrice è stato senza dubbio quello di far riflettere sul tema della solitudine moderna, così evitata e osteggiata dai più. Ci si rende così conto che chiunque può soffrirne, ed è quindi necessario un aiuto per uscire da quel limbo stagnante in cui, in maniera più o meno pesante e più o meno evidente, si viene inevitabilmente gettati. Il fatto poi di aver creato un personaggio così simpatico e strampalato come quello di Eleanor Oliphant non fa che sensibilizzare ancora di più i lettori sull’argomento, oramai sempre più quotidiano.

Imen Boulahrajane, l’economista su misura per tutti

Poche sono le persone che ancora non la conoscono, nel giro di pochi mesi Imen Boulahrajane ha fatto crescere il numero dei propri follower sui social in maniera esponenziale e ogni giorno in moltissimi iniziano a seguirla. La ragazza di origini marocchine, nata a Varese nel 1995, si presenta sul suo profilo Instagram in maniera schietta e simpatica come “economista che non sa risparmiare”.

Si è laureata alla Bicocca di Milano, città in cui vive, in Economia ed amministrazione d’impresa. In una sua intervista ammette di essersi resa conto di quanto l’università sia una specie di “bolla”. Dice: “una volta finiti gli studi è probabile che tu non sappia neanche cosa sia il 730! […] Usavo già Instagram creando racconti per la cerchia dei miei amici, in una dimensione familiare. In quel momento ho pensato che avrei potuto farne qualcosa di diverso”.

È così che ha iniziato a raccontare di economia, politica e attualità, tramite post che si alternano a scatti in cui vede degli amici e altri in cui fa shopping. Il feedback che ha ricevuto è stato del tutto inaspettato. La gente ha iniziato a farle domande, scriverle per approfondire alcuni argomenti, cercare un confronto. Per mantenere alta la curiosità Imen ha sempre risposto, arricchendo i suoi contenuti del background storico, il contesto geografico e allegando link di articoli, video di interviste e telegiornali. Adesso il suo obiettivo è quello di raccontare e rendere argomenti, spesso aridi e complicati, pane quotidiano.

È triste ammettere che oggigiorno la gente spende ore su social come Instagram e Facebook a scorrere casualmente la home, senza un vero interesse. Ormai è un’ossessione, un gesto automatico. Imen, con i suoi post da 15 secondi e le didascalie precise e sintetiche, riesce a mantenere l’attenzione dei suoi follower e a farne crescere la curiosità.

Il suo target principale sono i giovani, i millennials, di cui una buona percentuale sono assetati di informazione, ma di cui il restante è svogliato, o semplicemente non abituato, a tenersi al corrente di cosa sta succedendo nel mondo. Lei dà le informazioni tramite canali “non tradizionali”.

Personalmente credo che Imen abbia avuto un’idea geniale. Tramite un social la “fatica” del tenersi aggiornato, sembra minore. In più è piacevole, estroversa e carismatica. Parla degli avvenimenti in maniera spontanea, con parole semplici e frasi brevi, facendo spesso dell’ironia. Ad esempio quotidianamente aggiorna i suoi ascoltatori sul caso Brexit, rappresentandolo come se fosse una telenovela di cui tutti siamo desiderosi e ansiosi di sapere quale sarà il finale.

Tratta argomenti anche molto caldi e delicati in modo chiaro e lineare, come il conflitto curdo-turco, spiega brevemente come funzionano le leggi italiane, cos’è lo spread, i dazi di Trump. Quando ha pubblicato riguardo le proteste a Hong Kong, Instagram le ha bloccato dei post perché “espliciti” e “vietati” dal governo di Pechino. Incredibile, non è vero?

Eppure lei ha continuato a pubblicare imperterrita, decisa a far sapere cosa realmente sta accadendo e perché. Chi vive nei luoghi di interesse le manda foto, video, testimonianze, articoli. Le persone le chiedono di divulgare le informazioni grazie alla sua disponibilità e visibilità.

Ammette, con sollievo, di non aver mai avuto haters. Riceve spesso critiche e correzioni riguardanti il contenuto degli argomenti, ma da questo nascono arricchimenti, scambi di idee, confronti. Molti professori le hanno scritto dicendole che le sue stories danno spunto per le lezioni. Gli studenti la ringraziano perché “finalmente hanno capito”, i genitori la ascoltano mentre fanno colazione o mentre portano i figli a scuola.

Venerdì 8 novembre parteciperà ad un talk alla facoltà di Economia e Management a Torino, in corso Unione Sovietica. L’evento è organizzato dal Marketers Club, un’associazione di studenti che si occupa di marketing e comunicazione. L’evento si terrà dalle 16 alle 18 e il titolo è “L’economia politica spiegata su Instagram”. Imen spiegherà della sua esperienza sui social, del come è arrivata a tanta visibilità e parlerà dei temi caldi del momento. Per maggiori informazioni consiglio di seguire la pagina del MARKETERs Club su Instagram o Facebook.

Imen Jane è l’esempio di come i social possono essere utilizzati per divulgare notizie importanti, che non sempre vengono raccontate alla televisione e sui giornali. Di come si può parlare di temi che spesso vengono evitati dalla gente, soprattutto dai giovani, perché considerati noiosi e complicati. Con il suo profilo vuole dimostrare che l’influencer non solo sa parlare di selfie e smalti, ma sa anche spiegare una crisi di governo.

La sfortuna sotto casa

Era un caldo sabato di maggio, più precisamente il 27.

Per il signor Paolo Burraschetti, che abitava da solo, senza moglie o figli, era un infelice giorno di vacanza.

Era definito “il Fantozzi vivente” dai colleghi che lo schernivano per la sua immane sfortuna.

Il signor Burraschetti aveva soprannominato quel giorno “La grande Sfiga”.

Ogni anno in quel giorno gli capitava qualcosa di brutto. Un paio di anni prima era stato investito da una macchina, ed era stato ancora un anno buono.

Un altro anno era stato licenziato, giusto l’anno prima era stato messo agli arresti domiciliari e processato per l’omicidio di un certo Esposito Tancredi, processo che poi lo vide innocente. Che poi lui, di Esposito non ne aveva mai conosciuto uno in tutta la sua vita, eppure la polizia il 27 maggio era venuta a prenderlo a casa.

Era sul divano di casa ad aspettare che qualcosa di orribile capitasse.

Suonarono alla porta.

Con ironica noia andò alla porta lentamente aspettandosi qualcosa del tipo i carabinieri, la Digos o perfino l’FBI, che magari lo avrebbe preso in custodia come terrorista, quando l’unica cosa che aveva mai fatto esplodere era qualche petardo a capodanno.

Aprì la porta e si trovò una bambina davanti che lo salutò.

“Ciao Papà.”

E svenne.

Matteo Enrici 

Soledad: vite urgenti

Il 13 giugno è uscita in 26 sale italiane la pellicola di Agustina Macri “Soledad”, che racconta la “Vita urgente” di Maria Soledad Rosas, suicidatasi dopo esser stata ingiustamente accusata, insieme al compagno Edoardo Massari, di ecoterrorismo contro la TAV. Il film, accolto da forti contestazioni, non sarà proiettato a Torino… Ma è un importante spunto per riflessioni profonde, in un mondo che si rifiuta di condividere e lottare.

Antigone:“Non sono nata per condividere odio, ma per amare con chi ama.”
Antigone, Sofocle

Era il 22 giugno del 1997 quando Maria Soledad Rosas, ventitreenne, arrivava in Italia con l’amica di famiglia Silvia Granico. Giunse a Torino affamata di vita, con uno zaino carico di sogni e Amore…  Ma lei, forse, nemmeno lo sapeva. A Buenos Aires aveva lasciato una famiglia affettuosa ma opprimente, qualche frequentazione sbagliata e gli errori universitari. Fu per caso che, alla ricerca di un tetto, conobbe un gruppo di squatters torinesi, di cui anche Edo, “Baleno”, faceva parte. Iniziò a partecipare alle loro attività, forse senza troppa convinzione, indecisa, confusa e imbarazzata durante le manifestazioni di dissenso alle forze dell’ordine: seguì semplicemente la corrente delle altri voci. Poteva essere una fase, scandita dalla neonata relazione con Baleno. Ma non sarà così.

Il loro fu un Amore con la A maiuscola, libero da etichette, convenzioni sociali, di quelli che danno la vita a idee e sogni, che si rifiutano di ingabbiarsi in una conversazione sterile al tavolo di un ristorante, che nascono da ideali condivisi e vogliono restituire altrettanto amore alla comunità. Un amore che si può provare solo a vent’anni e con un’anima pura. Vivo, appassionato, figlio di un Credo, non per forza giusto o sbagliato, ma vissuto.

Sole e Baleno furono arrestati nel marzo 1998, durante un blitz della polizia all’Asilo Occupato di Collegno, e accusati ingiustamente degli attentati alla Torino – Lione. Qui, tra le mura del carcere Le Vallette di Torino, Sole smise di essere una ragazza come tutte le altre, maturando un pensiero razionale e articolato come mai prima aveva fatto. Il 4 marzo del 1998, Maria Soledad Rosas diventa un’eroina tragica: sola di fronte alla giustizia, all’ignoranza e al disinteresse di chi viveva nell’illusione del benessere. Sola perché Baleno l’aveva abbandonata il 28 marzo del 1998, impiccandosi nella sua cella.
Sole si uccise l’11 luglio 1998, a Bene Vagienna, nella comunità Sottoiponti, dove stava scontando i domiciliari.

La bellezza di quest’opera prima di Macri sta nell’assenza di una definita retorica politica. La regista, figlia del presidente Argentino, riesce a regalarci, con un linguaggio diretto e semplice, un film che ha il pregio di non perdersi in dialoghi teatrali e che esprime intere pagine del libro da cui è tratto (Amore e Anarchia, Martìn Caparròs, Einaudi) in poche immagini.
Il contesto storico si presenta attraverso la ricostruzione accuratissima della Torino degli anni ‘90, tra telefoni, manifesti e costumi, senza perdersi in descrizioni didascaliche della scena politica ed economica dell’epoca. Al tempo stesso, il romanzo di formazione di Sole, irrompe con tenerezza e forza tra i muri grigi della Torino Industriale. Non c’è denuncia nei confronti di nessuna delle parti, e i personaggi esprimono i concetti a cui sono associati nelle loro contraddizioni. Il suo suicidio fu un gesto di immenso valore politico, più di qualsiasi adesione partitica. Fu una decisione libera, pensata, sofferta, dignitosa e, credo, non del tutto legata alla perdita affettiva di Baleno. Fu, purtroppo, l’unico gesto possibile dopo la morte del compagno di vita e di Lotta. Soledad non sarebbe mai potuta tornare libera, lasciandosi inghiottire da un mondo che non aveva saputo comprenderla e darle ciò che davvero voleva.
Se l’Antigone di Sofocle fosse stata scritta e ambientata negli anni ‘90, si sarebbe chiamata Sole.

Quindi guardate questo film. E riflettete su quello che volete che siano i vostri vent’anni. Perchè, oggi come allora, il cambiamento è urgente. La vita è urgente.

 

Pagina di diario

A volte capita che tutto per un istante si fermi. Si rimane incantati e per un millesimo di secondo il mondo intorno a noi ha smesso di girare. Come se tutto per un attimo si fosse congelato e il tuo sguardo, in quel breve lasso di tempo, è rimasto fermo a fissare un punto, senza pensieri.

Un movimento, un suono, una voce, ci riporta alla realtà e il mondo ricomincia a girare. Eppure non distogliamo lo sguardo da quel punto, continuiamo a concentrarci su di esso e nel mentre percepiamo ciò che ci circonda. Come quando si osservano le onde del mare al tramonto, l’erba scossa dal vento, le stelle che luccicano in cielo, o i fuochi d’artificio in lontananza la sera di Capodanno.

Li ho osservati molto quei botti, riuscivo a distinguerne perfettamente il movimento, il suono, i colori e le forme. Li fissavo estasiata, quasi invidiosa di non poter esprimere con tanta potenza e libertà ciò che provavo in quel momento. I propositi, le speranze, i progetti. Sentivo dentro di me emozioni contrastanti. Felicità e gioia per l’anno nuovo e tristezza e malinconia per quello passato. Ero come bloccata in quell’atmosfera di urla e risate, ma tutto rimbombava in lontananza, quasi come se stessi sognando.

 

Una voce mi ha richiamato alla realtà gridando il mio nome, mi sono risvegliata da quell’attimo infinito e ciò che ho visto mi ha fatta sorridere. Vedevo le persone abbracciarsi e baciarsi, amici, parenti e anche sconosciuti, sentivo grida, risate, pianti di gioia, persone che ballavano e cantavano con un bicchiere in mano. Riuscivo a percepire l’energia del momento, come se tutto lo stress e le ansie accumulate durante l’anno si stessero finalmente sprigionando, liberando quei cuori, ora molto più leggeri.

 

Ho pensato che quello era il momento giusto per iniziare da capo, come ogni anno, o almeno provarci. Le opportunità, le esperienze, le scelte del futuro non sembravano poi più così lontane e irraggiungibili. Sentivo di far parte di qualcosa, un legame tra di me e ciò che mi stava circondando. Non c’era posto più giusto in cui trovarmi in quel momento. Era come essere a casa.

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