Malattia

Malattia

 

Siamo galassie di lucciole negli abissi

in burrasca del nostro tempo,

marciamo per sussurrare storie

a universi soli e isolati.

 

Il pugio sordo che infuria

abbraccia di buio il mondo, cupo,

ma riunisce l’equipaggio naufrago

e rinnova battello e bussola.

 

Siamo un solo spirito

che respira negli occhi stanchi

del nostro unico popolo:

Umano.

Fatto in casa

In questi giorni stando a casa ho avuto modo di dedicarmi a molte cose che avevo lasciato indietro. Una di queste è la cucina. Fin da piccola amavo cucinare e vedere la mia famiglia mangiare tutto con un sorriso. Tuttavia è un’attività che porta via molto tempo e quindi prima di questo periodo avevo lasciato perdere a causa di vari impegni.

Al giorno d’oggi siamo molto influenzati dai social media, che tra le tendenze propongono carrellate di ricette e piatti diversi da preparare. Nel vedere fino alla nausea cibo su cibo ho deciso di rimettermi ai fornelli.

Da buona italiana ho preparato alcuni piatti tipici, in particolare due delizie che sono diventate gli stereotipi dell’italiano per uno straniero: la pasta e la pizza.

Così è nata la curiosità di sapere come e quando sono nati questi due cibi attraverso un piccolo viaggio culinario.

 

La parola pasta viene dal latino păstam, cioè mettere insieme acqua e farina dandogli una forma. La storia della pasta inizia in tempi molto antichi quando l’uomo da nomade diventa agricoltore. I Greci e gli Etruschi erano già abituati a produrre e a consumare i primi tipi di pasta. Invece i Romani preparavano e mangiavano la lagana, l’antenata della moderna lasagna, composta da sfoglie di pasta imbottite di carne, cotte nel forno. Furono gli Arabi del deserto ad essiccare per primi la pasta per destinarla ad una lunga conservazione, poiché nelle loro peregrinazioni non avevano tempo per confezionare ogni giorno pasta fresca. Con il tempo la pasta secca diventa prerogativa produttiva delle regioni del Sud Italia e della Liguria dove il clima secco e ventilato permettevano l’essiccazione all’aria aperta.

La pasta esiste dunque da secoli ma fiorisce in particolar modo nel Rinascimento e solo nel XVII sec. diventa un cibo di massa.

Anche la pizza ha una storia millenaria che l’ha resa uno dei simboli più importanti del nostro paese in tutto il mondo. Solo con la scoperta dell’America arriva in Europa il pomodoro quindi prima del 1492 erano diffusi il pane e la focaccia. Con l’arrivo di questo nuovo ingrediente si iniziò davvero a parlare di pizza, anche se la mozzarella arriva solo nel 1800. La prima ricetta della pizza come la conosciamo oggi risale al 1858 quando a Napoli si prepara “la vera pizza napoletana”. Dopo che i pizzaioli napoletani avevano diffuso la pizza, si arriva alla sua approvazione nel 1889, in occasione della visita del re Umberto I e della regina Margherita. Momento prezioso nella storia della pizza poiché in quell’occasione la pizza pomodoro e mozzarella diventa la cosiddetta “pizza margherita”.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale si ha una seconda ondata di diffusione di questa prelibatezza e a partire dagli anni ‘60 le pizzerie arrivano in tutto il mondo.

Questo cibo ormai irrinunciabile diventa così patrimonio dell’umanità dell’Unesco.

 

Le due storie si assomigliano per certi versi perché entrambi sono cibi nati dal popolo, dalla gente e non da un singolo inventore. Grazie anche alla versatilità con cui questi piatti possono essere preparati hanno avuto un successo enorme.

Quindi cosa state aspettando… Correte anche voi a cucinare una bella pizza con ingredienti freschi e profumati che miglioreranno la vostra serata!

 

testo a cura di Alice Taricco

Film da quarantena

La recente epidemia ha costretto tutti in una quarantena forzata. Nonostante sembri l’inizio di un qualsiasi zombie movie, è purtroppo la realtà, ma l’essere costretti a casa, per gli appassionati di cinema, è un’occasione più unica che rara per vedere finalmente i tanti film che stavano sovraffollando inesorabilmente le nostre watchlist su Prime Video e Netflix. Se però i cataloghi dei due colossi dello streaming non bastassero, altre piattaforme stanno venendo incontro ai bisogni di noi spettatori: Infinity offre infatti il suo catalogo gratis per due mesi; Rakuten ha inserito più di cento film gratuiti; Vvvvid si sta dimostrando sempre più interessante dal punto di vista cinematografico con grandi classici di maestri del cinema come Lynch e Cronenberg oppure i primi e introvabili film di Peter Jackson: Bad Taste e Splatters; infine Cg Entertainment ha pubblicato sul suo canale Youtube dieci film completi e ne continua ad aggiungere. Insomma di prodotti interessanti ce ne sono in abbondanza, decisamente troppi per un singolo articolo, quindi mi soffermerò brevemente solo su opere non troppo conosciute di Netflix, Prime video ed Infinity e più avanti mi concentrerò su altre piattaforme.

Cominciamo subito con Netflix, il cui catalogo non brilla purtroppo per originalità, ma che ha saputo risollevarsi recentemente grazie all’aggiunta dei prodotti dello studio Ghibli, che consiglio ovviamente tutti. In mezzo al catalogo super commerciale di Netflix, si nasconde però un’opera horror atipica e indipendente: Creep e il suo seguito. La saga è girata in found footage e narra la storia di Josef, assassino psicopatico che in entrambi i film assume giovani film maker per raccontare la sua storia. Inutile aggiungere altro: sono infatti film molto semplici ma dalla scrittura brillante. Mark Duplass è la mente dietro il progetto, ed è infatti: scrittore, produttore e meraviglioso protagonista dei due film. L’opera ricorda per molti versi l’ultimo Von Trier, La casa di Jack, mostrandoci le macchinazioni di un folle, ma se Von Trier ricerca l’arte nel proprio killer, Creep ne mostra l’umanità rendendo l’opera molto più realistica, merito anche di un ottima tecnica found footage. In poche parole una saga inquietante per quanto sia reale, film lenti ma che tengono lo spettatore incollato allo schermo per entrare nella mente di un folle.
Gli ultimi due film Netflix che voglio consigliarvi sono due thriller con protagonista Jake Gyllenhaal ovvero Lo sciacallo e Animali notturni. Il protagonista è l’unica cosa in comune nelle due opere; il primo narra la storia di un giornalista privo di scrupoli, mentre il secondo racconta la storia di uno scrittore che invia il suo libro alla ex e di come questo ne risvegli i ricordi di una relazione ormai perduta. Lo sciacallo è un thriller lineare che si regge su una incredibile interpretazione di Gyllenhaal; il film trasporta lo spettatore nel deprimente mondo di Louis Bloom, giornalista indipendente che, grazie a una radio della polizia, documenta i crimini notturni di Los Angeles. Il
film non ha solo grandi performance attoriali ma anche un’incredibile atmosfera, che ricorda anche sotto alcuni punti di vista il sopracitato Creep, e un finale bomba che ci mostrerà fin dove è disposto a spingersi il protagonista in un crescendo di tensione.
Animali notturni invece va visto anche solo per la sua incredibile realizzazione tecnica: con tre storie intrecciate, il passato, il presente e il libro, il film salta continuamente tra una dimensione e l’altra ma rendendole tutte e tre facilmente riconoscibili cambiando per ognuna atmosfera, filtri cromatici e ambientazione ma essendo sempre facile da seguire senza essere mai confuso, anche se andrebbe visto almeno un paio di volte per capire i dettagli che influenzano le tre storie in questo
splendido mosaico.

La prima opera di Prime video è uno zombie movie francese straordinariamente adatto alla situazione che stiamo vivendo noi tutti: La notte ha divorato il mondo. Comincia tutto con una festa in cui il protagonista Sam si addormenta, la mattina scopre che tutta la città è ora infestata di non morti e si barrica in casa; da quel momento dovrà sopravvivere in isolamento e capirà come la solitudine è più pericolosa dei morti che gli danno la caccia. Non sicuramente un capolavoro ma il film perfetto per questo periodo di quarantena.
Un altro film che parla a grandi linee di isolamento è Hotel Artemis: durante una rivolta per l’acqua a Los Angeles in un futuro prossimo, dei criminali, per sfuggire alla polizia, si rifugiano all’Hotel Artemis gestito da una sempre brava Jodie Foster, ma in pieno stile Agatha Christie ognuno di loro nasconde qualcosa. Un film leggero ma divertente e più concreto di quanto le premesse lasciassero sperare, peccato per un finale frettoloso che lascia molte domande, ma sicuramente un film da vedere per passare una buona ora e mezza.
L’ultima opera è forse la più particolare e che dividerà di più ma che il sottoscritto ha amato, aggiunta da pochissimi giorni al catalogo Prime con Daniel Radcliffe e la splendida Samara Weaving: Guns Akimbo. Il film racconta l’assurda storia di Miles, sfigato e mezzo depresso programmatore di videogiochi, che dopo un litigio virtuale con l’admin di SKIZM, programma del deepweb che mette due assassini in lotta tra di loro in diretta streaming, viene rapito e gli vengono imbullonate due pistole alle mani con cui dovrà combattere in diretta contro la campionessa di SKIZM. Se la trama non vi ha fatto gridare al capolavoro allora probabilmente il film non fa per voi, se invece volete dargli una possibilità vi ritroverete davanti un film folle, divertente e molto giovanile, se riuscite a farvi trasportare dal suo frenetico ritmo riuscirete sicuramente a passare avanti ai suoi evidenti limiti di sceneggiatura.

Per quanto riguarda Infinity invece la prima opera è una folle storia vera, la storia dell’uomo più misterioso di Hollywood, Tommy Wiseau, eccentrico personaggio che scrisse, diresse, produsse e interpretò uno dei film peggiori di sempre, The room. Tutto questo e molto di più in The disaster artist a opera di James Franco in veste di regista e protagonista, accompagnato dal fratello Dean. Il film è estremamente divertente e racconta una storia vera decisamente interessante e assurda. Passiamo poi a un film di Giuseppe Tornatore del 2013 con produzione Italiana e Americana: La migliore offerta, opera meravigliosa con Geoffrey Rush protagonista, per un film di tale spessore è inutile raccontare la trama, visto che la produzione parla chiaro: in breve Virgil Oldman è uno stimato battitore d’aste invitato a valutare le opere presenti in una villa abitata da una giovane e affascinante ereditiera affetta da agorafobia, il cui incontro gli cambierà la vita. Inutile anche stare a parlare degli innumerevoli pregi dell’opera, dove la meraviglia dell’arte si fonde all’uomo, non uno dei migliori di Tornatore, infatti il finale, per quanto meraviglioso, risulta forzato, ma sicuramente da vedere almeno una volta.
L’ultimo film di oggi è un opera spiazzante di James Gunn, famosissimo regista di I guardiani della galassia: si tratta di Super, visione cinica e realistica di un eroe improvvisato di nome Frank e della sua missione per riprendersi sua moglie da un pericoloso criminale. Il film ricorda ovviamente Kick-Ass ma decisamente più estremo, molto più violento, più cinico e con uno humor decisamente più nero. Da guardare assolutamente, ma non aspettatevi un film leggero, anzi tenetevi pronti a un finale devastante, per un’opera estremamente sottovalutata.

Casa, la gabbia dorata dove adesso si impara a stare da soli

«È peggio della guerra». Spesso negli ultimi giorni si è sentita ripetere questa frase, nei commenti del popolo italiano sui social network riguardanti la dura battaglia contro il Coronavirus che il nostro Paese sta combattendo. E perché sarebbe peggio della guerra? Cosa ci sarebbe di così diverso rispetto ad una guerra vera, con eserciti ed armi e bombardamenti?

Riprendo una considerazione che ha fatto il filosofo Umberto Galimberti in un interessante video pubblicato su Youtube ( https://www.youtube.com/watch?v=-OMKYw-XaGg ). La guerra come la conosciamo noi, come l’abbiamo studiata, è qualcosa di visibile, di concreto. La guerra suscita paura: una paura reale per qualcosa che si conosce bene e che si sa che porta solo morte e distruzione. Ma l’angoscia è una sensazione peggiore della paura: dice Galimberti che l’angoscia nasce invece per qualcosa che non si conosce, qualcosa di invisibile, e che proprio per il suo essere invisibile è ancora più terribile. L’angoscia induce spesso ad azioni irrazionali, dettate dal puro terrore. E in questo senso non possono non venire in mente tutti quei gesti degli Italiani di poco tempo fa che sono sembrati decisamente sconclusionati: l’assalto ai treni notturni, la corsa ai supermercati per il terrore che potessero chiudere da un momento all’altro…Quando il nemico è sconosciuto, l’uomo perde la testa.
E quindi, è necessario mantenere la lucidità quanto più possibile. Informarsi bene, non farsi prendere dal panico per una notizia un po’ più scioccante, leggere sempre tra le righe. In questi giorni, oramai si sa, l’invito primario è quello di stare a casa. «Come state, ragazzi?» ho chiesto l’altro giorno ai miei alunni in videoconferenza. Mi hanno risposto, con tono ironico: «Prof, sembra di stare agli arresti domiciliari». Ho spiegato loro che bisogna avere pazienza ancora per un po’, ma purtroppo non ho saputo dare loro informazioni certe su quando avrebbe riaperto la scuola, che manca molto a tutti, anche a noi professori. Eh sì, dobbiamo sentirci tutti un po’ prigionieri; ma in senso positivo. Innanzitutto, ci troviamo in una gabbia dorata, in cui possiamo avere qualsiasi diversivo subito a portata di mano. Fortunatamente, abbiamo la tecnologia dalla nostra parte, che non ci lascia mai da soli, se glielo permettiamo. A mio parere, tuttavia, in questi giorni è giusto stare un po’ da soli con se stessi, finalmente. Dopo la frenesia di tanti giorni tutti uguali che ci sono scivolati dalle dita senza che ce ne rendessimo conto, ora, non per volontà nostra, abbiamo tirato il freno a mano.

Chissà se questa nuova condizione di stasi, di routine azzerata, di silenzio, di vuoto (consiglio a riguardo un bellissimo articolo di Luca Molinari su Doppiozero, dal titolo «Il rumore del vuoto»: https://www.doppiozero.com/materiali/il-rumore-del-vuoto ) ci consentirà di fermarci davvero, di chiudere gli occhi e sentire come stiamo dentro. Staccarci un po’ dai social network, ricominciare a respirare. Fare alcune domande a noi stessi: chi siamo, se siamo contenti della nostra vita, se ci piacerebbe cambiare qualcosa. Non c’è occasione migliore come quella che ci capita adesso per rallentare e renderci conto che stiamo vivendo. Non potremo che ripartire molto più consapevoli di noi stessi, e soprattutto, quando tutto questo sarà finito, saremo in grado di apprezzare molto di più la nostra vita, e tutto quello che la circonda.

Ora fuggiamo anche noi

Avete mai letto Station Eleven di Emily St. John Mandel? Bene, se non lo aveste fatto, non fatelo in questo momento. La scrittrice canadese racconta le dinamiche di una società che viene distrutta da un’epidemia per la quale non vi è rimedio. Non è un libro leggero: è angosciante. Quando l’ho letto, qualche anno fa, l’ho reputato surreale. Mai avrei pensato che una situazione simile potesse succedere nel 2020.

È come vivere in un film, una serie TV stile The Walking Dead. La cosa più assurda è che fino a poco fa il problema sembrava confinato in Cina, ma nel giro di un mese l’Italia è diventata zona rossa. Non si può uscire di casa se non per le emergenze, si deve mantenere la distanza di sicurezza, moltissime persone sono in quarantena da settimane. Mio nonno dice che gli sembra di rivivere il periodo precedente alla guerra, quando ancora era un ragazzino e non si capiva esattamente cosa stesse succedendo. Le persone facevano finta di nulla, c’erano incertezza e una nube di confusione che ricopriva il paese.
Sembra una situazione irreale, eppure i dati forniti sugli infetti e sui morti sono elevati, fanno paura. Più persone si ammaleranno e meno gli ospedali saranno in grado di prendersene cura. Il numero di unità di terapia intensiva, pur potenziato, non è dimensionato all’emergenza che stiamo vivendo. La priorità sarà per i giovani, per gli under 60. I miei genitori sarebbero tagliati fuori dalle cure.

A Wuhan dal giorno alla notte hanno chiuso le stazioni della metro, bloccato le strade, cancellato treni e voli aerei, imposto un coprifuoco assoluto. E nonostante ciò ci sono voluti due mesi per uscirne.
Imporre delle regole del genere, così rigide, in Italia è più complicato, basta pensare a coloro che sono scappati a gambe levate da Milano non appena c’è stato l’allarme di blindare la città. Centinaia di persone hanno raggiunto le stazioni per cercare di salire sugli ultimi treni, senza rispettare gli appelli e le raccomandazioni dei medici e delle autorità sull’importanza di restare a casa ed evitare gli spostamenti per cercare di contenere il contagio. Chi ha preso il treno per tornare a casa ha permesso al virus di viaggiare per il paese, facendolo arrivare ovunque.

Tutto ciò però mi ha fatto ragionare. La gente è salita sui vagoni senza biglietto, disposta a pagare una multa salata pur di tornare a casa. Tutti ammassati, stipati, seduti persino per terra. Il personale ferroviario non è riuscito a farli desistere, neanche per ragioni di sicurezza. Code in biglietteria infinite, clima di angoscia e panico generale e la polizia ferroviaria ha dovuto intervenire per mantenere la calma. C’è chi spera di riuscire a partire, chi ha paura di non tornare a casa, chi non sa bene come comportarsi.
Così i treni sono partiti, strapieni di persone che hanno messo a rischio loro stessi e gli altri, pur di abbandonare il nord e le sue difficoltà.

Ho pensato al dramma dei migranti, anche se il contesto è ben diverso. Questo dovrebbe farci riflettere.
Da anni intere famiglie sono costrette a fuggire dal proprio paese. Scappano da guerre o fame e si ritrovano dall’altra parte del mondo senza saper parlare la lingua, senza conoscere usi e costumi, senza la minima idea di ciò che sarà di loro. E spesso non sono ben accette, vengono escluse, prese di mira, considerate “infette”.
È facile far finta di nulla quando le disgrazie non ti toccano in prima persona. Siamo semplicemente stati fortunati ad essere nati dalla parte giusta del mondo, dove bene o male le cose funzionano, abbiamo da mangiare, un tetto sulla testa e non siamo perseguitati per la nostra religione o il colore della pelle. Non dovremmo approfittare di questa fortuna ed estraniarci da queste realtà. L’egoismo non aiuta.
Adesso stiamo vivendo un momento storico in cui siamo noi gli infetti, ci sentiamo deboli e abbiamo paura. Chi non ha mai dovuto scappare lo sta facendo, chi non è mai stato discriminato lo sta provando.
Non appena si è diffusa la notizia che l’Italia era soggetta al virus molti stati hanno chiuso le frontiere e altri hanno imposto la quarantena agli Italiani. Essere discriminati non è piacevole.

Marco Cesario è un giornalista e scrittore di origini napoletane che da anni vive a Parigi e la settimana scorsa ha detto «I giorni scorsi abbiamo vissuto una vera e propria psicosi contro di noi. Da quando sono stati registrati nuovi casi anche qui, i toni si sono leggermente abbassati, ma continuano a mantenere le distanze dagli Italiani. Ieri parlavo con un collega italiano, tutti ci guardavano storto. A un certo punto abbiamo deciso di cominciare a parlare in francese, per evitare di farci riconoscere».
Ad oggi il virus è diffuso in tutta Europa, anche gli stati che prima facevano finta di nulla stanno prendendo le misure di sicurezza per cercare di contenere la pandemia.

Il Coronavirus è una calamità che ci ha colpiti all’improvviso. In giro si percepisce un’aria diversa, affaticata e confusa. Le persone sono attente, scettiche e preoccupate, stiamo vivendo una routine quotidiana completamente diversa da quella a cui siamo abituati. L’atmosfera è surreale.
Non dovremo dimenticare ciò che stiamo provando ora. Dobbiamo capire cosa significhi non poter viaggiare liberamente, non essere accettati a prescindere ed esser visti con diffidenza.
Pensiamo a tutte le persone che stanno vivendo queste realtà da anni e, da ora in poi, impariamo ad accoglierle invece che escluderle.

Donne in azione

A una settimana dalla festa della donna, celebrata in tutto il mondo l’8 Marzo, vorrei ricordare alcune donne che hanno fatto la differenza nella lotta per i diritti femminili e altre che sono state delle pioniere in molti campi.

Partendo dal fatto che il femminismo è un movimento che difende l’uguaglianza dei diritti delle donne rispetto agli uomini, si può affermare che la lotta delle donne per la conquista di tali diritti è ancora lunga e incompleta. I progressi raggiunti fino ad oggi sono notevoli ma non si può nascondere che ancora nel XXI secolo i diritti delle donne sono violati ogni giorno in tutto il mondo. Attualmente 46 milioni di persone sono coinvolte nelle reti di schiavitù in tutto il pianeta e di queste sette su dieci sono donne. Una ragazza su tre è costretta a sposarsi contro la propria volontà prima dei 18 anni. Due terzi degli esseri umani che non sanno né leggere né scrivere sono donne. Sono più di sei milioni le donne vittime di violenza.

Questi dati spaventosi, però, non riescono ancora a toccare tutti, i casi rimangono costanti o aumentano. Ma le donne non sono mai state ferme, lo testimonia il movimento delle suffragette, che è stato uno dei più grandi segni di ribellione per rivendicare i diritti femminili. Tra queste donne c’era anche Emmeline Pankhurst, attivista britannica che guidò il movimento delle suffragette nel Regno Unito e fu la fondatrice del Woman’s Social and Political Union: grazie a lei le donne sono riuscite ad ottenere diritti che prima erano loro negati.

Negli Stati Uniti, a mettere in pratica tale impegno è stata Alice Stokes Paul, leader del movimento americano delle suffragette. In Italia, Anna Maria Mozzoni, giornalista che sosteneva un forte impegno femminile: è stata la pioniera del movimento di emancipazione delle donne.

Ma la lista delle donne femministe che hanno fatto la storia è ancora lunga: Simone De Beauvior è considerata la madre del femminismo, perché con la sua scrittura ha analizzato la condizione sociale e morale delle donne, ricevendo molti riconoscimenti a livello internazionale. Eleanor Rathbone fu riformatrice sociale femminista e militante per i diritti delle donne, scrisse soprattutto per la disparità salariale tra uomini e donne ma si è anche battuta per un’equa distribuzione del potere economico all’interno delle famiglie. In Italia, Tina Lagostena Bassi fu un agguerrita avvocatessa per i diritti delle donne: fu la prima a filmare e mandare in onda sulla televisione un processo per stupro e fu una delle socie fondatrici del Telefono Rosa. Un’altra italiana che nel Novecento si è battuta contro la violenza sulle donne è Franca Viola, la prima a dire no alle nozze riparatorie in seguito ad una violenza subita dal suo ex fidanzato.

Ancora oggi ci sono tante donne che combattono per il genere femminile con spirito e audacia. Ad esempio Michelle Obama, oltre che a essere ricordata come la prima first lady afroamericana, ha lanciato il progetto Let Girls Learn a favore dell’istruzione femminile. Anche tante attrici sono attive in questo tipo di cause: Patricia Arquette alla cerimonia degli oscar nel 2015 ha dedicato parte del discorso per la sua vittoria all’importanza della lotta per la parità di retribuzione negli Stati Uniti. Anche Emma Watson, nel suo discorso all’ONU, ha parlato del femminismo, specificando che si tratta di una causa che riguarda le donne ma anche gli uomini.

Oltre a queste grandi personalità, sono molte donne che hanno fatto la differenza, ottenendo primati in diversi campi. In campo scientifico è nota a tutti Marie Curie, la prima donna scienziata della storia e la prima persona al mondo a vincere due premi Nobel; fondamentale è anche la figura di Rosalind Franklin, che grazie alle sue foto a raggi x del DNA ha dato un fondamentale contributo nel rivelarne la struttura. In Italia è rimasta nella storia Rita Levi Montalcini, che ha vinto un premio Nobel in medicina per aver scoperto l’NGF(fattore di crescita nervoso).

Sempre in campo medico Florence Nightingale è la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, è ricordata come la “donna della lanterna”, poiché assisteva e dava speranza ai malati anche nel buio della notte. In ambito matematico, Ada Lovelace fu la prima programmatrice di computer al mondo, Katherine Johnson fu la brillante matematica afroamericana che ha tracciato le traiettorie dei primi voli nello spazio, spalleggiata da un team di donne. Anche Emmy Noether fu un’importante matematica, odiata da Hitler perché tedesca ebrea ma ammirata da Albert Einstain.

Per quanto riguarda la moda ricordiamo la stilista francese Coco Chanel, celebrata per aver rivoluzionato il concetto di femminilità con sobrietà, raffinatezza e libertà. In materia di attivismo Elizabeth Fray ha lottato per quelli che ora sono i principi base della prigione e per i senzatetto. Eva Peron, oltre a essere ricordata come attrice, è conosciuta per il suo impegno a favore dei lavoratori e dei poveri. Infine Lady Diana fu soprannominata “Principessa del popolo” per la sua spontaneità, le sue missioni umanitarie a favore dei bisognosi, la lotta all’Aids e alle mine antiuomo.

Le donne che ho citato non sono che una piccolissima parte di un infinito elenco di altre donne altrettanto volenterose e importanti. Per non dimenticare anche tutte quelle donne comuni che combattono ogni giorno la loro battaglia per farsi valere. Sono estremamente orgogliosa di essere donna e di poter contare sulle mie simili, grazie ad uno spirito di collaborazione e dolcezza che ci ha sempre contraddistinto. Con questa piccola esperienza attraverso l’esempio di grandi donne vorrei trasmettere il coraggio di poter continuare a cambiare il mondo e lasciare un segno nella storia.

Alice Taricco

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