Ridi che ti passa

Una risata può davvero migliorare la tua giornata.
Sembra assurdo ma ridere fa bene al cuore, è la via più semplice ed economica per sentirci meglio.
I benefici della risata sono conosciuti fin dai tempi di Ippocrate, padre della medicina, che attribuiva al ridere il potere di liberare sostanze benefiche per la nostra salute. La scienza di oggi ha confermato le antiche sapienze. Infatti al termine della nostra risata si ha un rilascio di sostanze chimiche naturali, endorfine e catecolamine, che ci fanno sentire vivaci e in forma.
Ridere è una medicina che fa bene a tutti, grandi e piccini!
Ad ogni modo, la terapia del sorriso non è una novità: il padre della risoterapia Patch Adams, da cui si è ispirato l’omonimo film, ha trasformato la risata in cura. «Una risata può avere lo stesso effetto di un antidolorifico» dice Patch Adams «entrambi agiscono sul sistema nervoso anestetizzandolo e convincendo il paziente che il dolore non ci sia».
Addirittura uno studio del professore Maciej Buchowski, ha evidenziato che ridere dieci o quindici minuti al giorno permetterebbe di bruciare circa cinquanta calorie.
La risata è una capacità innata che abbiamo sempre a disposizione, basta solamente decidere di usarla!
Qualche volta per stare meglio abbiamo solo bisogno di qualcuno o qualcosa che ci faccia ridere e ci faccia staccare dal nervoso e dallo stress del mondo reale.
Se di oggi non ti sei ancora fatto una bella risata, cosa stai aspettando?

Alice Taricco

Birra

Penso stia tutto nel sapore della birra. Forse l’ho tirata fuori troppo presto dal frigo ormai vuoto e ammaccato, doveva rimanerci ancora un po’. O magari è scaduta.

Perché, oltre al tempo, anche le birre scadono, vero?
È una domanda che mi faccio spesso, tutte le volte che butto giù un sorso di questa birra che sa di altro, di lontano, mi sembra sia stata stillata da bersi almeno cinquant’anni fa, o magari anche solo ieri, ma decisamente questa birra è già morta nel momento in cui l’assaggio.
O forse sono io ad essere sbagliato per questa birra: forse sono io a farla diventare così amara, così forte. Forse sono io ad essere in un tempo lontano, quando magari ancora la birra in lattina non esisteva e non esisteva nemmeno un apribottiglie, quando la birra non la pagavi in offerta al supermercato e, in fila per la cassa, la tenevi sottobraccio come fosse un figlio, e ipocrita t’ostentavi a criticare la falsità dietro gli scaffali.
Bel panorama, però. Viola tenue al limite dell’orizzonte e una bottiglia di vetro.
Eppure nulla. Assolutamente nulla.

Sono scaduto tempo fa, ma nessuno si è mai preoccupato di buttarmi nell’indifferenziata. Alla fine è questo che siamo un po’ tutti, no? Indifferenti non cestinati, ed è questo il ruolo che ci divertiamo ad impersonare ogni giorno. Se qualcuno mi ci avesse buttato, nell’indifferenziata, almeno saprei di non star inquinando.
Ma i moralismi non sono mai stati fatti per me, e quindi la sapete una cosa? È tutto intorno che m’inquina, non io. È questa birra, che forse non è scaduta, ma è persino troppo buona per essere bevuta come se nulla fosse, come se il resto, in realtà, non stesse andando a catafascio, come se la corruzione negli occhi delle persone fosse solamente un momento d’ebrezza, e non la consapevolezza che, di guardare, non siamo più capaci.
Sei scaduto quando ti accorgi di non riuscire nemmeno a finirla, una birra. Quando nemmeno una gradazione ti alleggerisce, quando il retrogusto amaro non sazia la sete di libertà che hai. Capisci di essere scaduto quando guardi un tramonto violaceo che bacia i contorni della terra e non riesci a fare un po’ di cliché, ad immaginarti tutti i baci mai dati e che avresti potuto dare nelle sfumature del cielo, quando un bacio nemmeno sai cosa sia. Capisci di essere scaduto quando non hai nemmeno più voglia di aggiustare il frigo, di rimettere la batteria e andare avanti, andare, andare, per inerzia, fino a…
Capisci di essere scaduto quando senti le labbra contrarsi, e, passando una svelta mano sulle guance, percepisci solo un lieve, sconfitto, ma indifferente sorriso, rivolto a quella vista, a quel mondo che tanto urla e canta, ispirato dalla bellezza e dalla superbia, e che pretende di essere consumato con gli occhi, di essere invidiato, addirittura odiato. Ma, in quello stesso istante, rientro, poggio sul tavolo la bottiglia di vetro, e semplicemente la lascio lì, a vivere.
Perché, alla fine, sta tutto nel sapore della birra.

Cecilia Capello

Seconda chance

Ci impegniamo a fondo e ci va male, ci rimproveriamo e rimaniamo arrabbiati con il mondo per aver perso l’opportunità. Crediamo di essere stati originali e provocatori ma non veniamo apprezzati per niente, anzi una valanga di critiche ci travolge. Siamo completamente persi, nelle mani del destino, abbandonati a noi stessi… però forse c’è una remota possibilità di rialzarsi.

Albert Einstein diceva che nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità. Forse aveva ragione, proprio quando la prima porta ci è stata sbattuta in faccia magari, subito dopo, altre porte si aprono regalandoci il doppio di prima. Non si può mai smettere di credere nelle seconde opportunità. La vita è lunga, piena di momenti negativi come di positivi, non si può mollare in nessun momento.

Ognuno ci mette il suo tempo a riprendersi da un fallimento, grande o piccolo che sia, ma tutti abbiamo l’opportunità di guarire e rialzarci arricchiti. Fare errori è normale, fa parte del gioco del buttarsi, dell’avere coraggio e voglia di fare. Per questo credo nelle seconde chance, tutti ne hanno bisogno, almeno di una nella vita. Più si rischia più si fanno errori e più possiamo cambiare la nostra vita.

La paura più grande è quella di interrompere la comodità a cui siamo abituati perché se usciamo dal nostro guscio è tutto una salita. Però il vivere la vita a pieno sta proprio nell’esplorare i nostri limiti, accettare una seconda opportunità per poi magari fallire di nuovo ma capire la giusta strada da prendere.

Sentirsi smarriti credo che sia una delle sensazioni più frustranti della vita, quando non sai dove andare o non hai un obbiettivo ti senti nullo. Se non hai nessuno che crede in te e che ti sprona è difficile andare avanti e non mollare tutto. Ma sapete una cosa? Tutti i più grandi campioni, innovatori e celebrità hanno avuto dei fallimenti prima di arrivare al successo. Perché se non cadi, non impari e per brutto che sia quel momento in cui tutto va male bisogna trovare qualcosa o qualcuno a cui ispirarsi. Molte volte condividere i fallimenti personali aiuta a superarli o può aiutare gli altri a uscirne.

Ho letto un romanzo molto incoraggiante e che fa riflettere: “Le coordinate della felicità. Di sogni, viaggi e pura vita.” di Gianluca Giotto. Vorrei quindi condividere una frase del libro che mi ha colpito e che credo possa riassumere tutto:

《Fallire significa provarci, e provarci significa fallire in ogni caso. Non importa il risultato finale, l’unica cosa che conta è la consapevolezza di averci provato. Perché nel cuore di una persona che ha vissuto a pieno non c’è spazio per i sé o per i ma, non c’è spazio per i rimpianti né i rimorsi》

Articolo di Alice Taricco

Keep strong Portland

Ho conosciuto Portland nel 2015 quando ho deciso di frequentare il quarto anno di superiori in una high school americana.

La città è diventata immediatamente la mia seconda casa, il mio mondo lontano, la mia isola segreta. E sottolineo il “mia” per enfatizzare la sensazione di appartenenza, quasi gelosa, alla città.

C’è poco da discutere, chiunque sia stato nella metropoli può affermare quanto sia bella e come sia facile innamorarsene.

Mentre Los Angeles è sole e oceano, i newyorchesi sono ossessionati dalla carriera e a Chicago c’è sempre vento, Portland è famosa per essere la casa degli eccentrici. Merito dello slogan pubblicitario Keep Portland weird e del successo della serie tv Portlandia che dipinge la metropoli come luogo ideale per gli anticonformisti e mecca per gli hipster. Molti giovani si sono trasferiti in Oregon per seguire le proprie passioni e sentirsi liberi di scegliere, vivendo una vita tranquilla.

La quiete e la serenità vengono alimentate dalle bellezze naturalistiche che caratterizzano l’Oregon: Portland è circondata dalla foresta, viene attraversata dal Willamette River e presenta numerosi giardini pubblici e parchi. Viene definita la città delle rose e ricalca perfettamente l’immagine della green city coniugando ecologia e urbanizzazione. Gli abitanti sono tutti amanti della natura, dello sport e dell’aria pulita.

Oltre a essere considerata attiva dal punto di vista ecologico, la città è anche famosa per il suo attivismo politico. A differenza di moltissimi stati americani, l’Oregon si può affermare democratico: da sempre si lotta per la parità, l’uguaglianza e i diritti dell’uomo. Si svolgono innumerevoli scioperi e manifestazioni a cui partecipano migliaia di persone, di tutte le etnie.

È un luogo eterogeneo, cosmopolita e progressista.

Spesso le mostre del Portland Art Museum denunciano ingiustizie e disparità del mondo, stimolando i visitatori a essere più solidali verso gli altri e creare un clima equo e paritario. Si crede nella lealtà, nell’unione e nella condivisione.

Basta vedere cosa è successo negli ultimi mesi: la città ha reagito al movimento Black Lives Matter e la gente è scesa in downtown a protestare 24/7. Conosco dei ragazzi a cui hanno spruzzato lo spray al peperoncino in faccia, altri a cui le forze federali inviate da Trump hanno portato via un familiare mentre era in strada a protestare.

Eppure, è una metropoli che resiste e non si arrende, che continua a lottare per supportare i propri ideali.

Il 2020 la sta mettendo duramente alla prova: prima l’epidemia, poi gli scontri violenti e misteriosi tra manifestanti e federali, ora gli incendi che si stanno propagando in tutta la zona.

Moltissime persone hanno dovuto lasciare la propria casa ed evacuare dalle città oregoniane. Se prima non si usciva dalla propria abitazione per paura del virus o di venir rapiti da veicoli senza targa, ora non si esce per l’impossibilità di respirare a pieni polmoni: il cielo è rosso fuoco, il fumo e la nebbia si possono tagliare con la lama di un coltello.

Le fiamme si alimentano ogni giorno, aiutate da incendi dolosi e dal fatto che ci sia tantissimo verde. Piano piano distruggono alcuni dei luoghi naturalistici più antichi e famosi d’America.

La città sta soffrendo, sia per le conseguenze del cambiamento climatico, sia per le decisioni prese dal presidente americano. Ancora più spaventoso è pensare cosa potrebbe succedere se Trump vincesse di nuovo le elezioni, ipotesi da non sottovalutare.

Fa male pensare che la propria città del cuore sia in difficoltà, che gli affetti che ci vivono siano in pericolo e che bisognerà aspettare la stabilità prima di rivedersi.

Spero che l’anima della città non venga modellata dall’odio e dai disagi che sta vivendo. Spero che rimanga pura e che esca vincitrice dalle complicazioni di questo anno crudele, più forte e, se possibile, ancora più vera.

Keep strong.

 

Cara vita,

Ho uno sguardo in sospeso con te. Ho gli occhi che mi bruciano, che urlano, che vogliono scorgerti un’ultima volta. Ti cercano, disperatamente, vogliono sentire ancora una volta il profumo della prima volta, della prima estate, della prima luna, del primo passo mosso sulla sabbia umida quando tutto intorno era inverno. Ho uno sguardo in sospeso con te, anche se non so da che parte iniziare a guardare. Tutto pare così latente, così nebbioso, come se solamente la punta delle mie dita sia materiale o forse nemmeno quella.

Come devo usare questi occhi? Devo veramente credere a tutto ciò che mi avvolge o non è altro che il riflesso della mia anima troppo sognatrice? O sogni, o aspirazioni, è così che m’illudete del mondo esterno?

Quel gusto amaro in bocca la mattina appena sveglia, ecco ciò che rimane del nostro mondo vero, di quello in cui ci disegniamo le nostre storie, dipingiamo i nostri quadri, dove un cuore lacerato può solo sanguinare acqua e non dolore. Quel gusto amaro, quel fastidio sulle labbra lavato via con l’inerzia giornaliera è proprio quello che pretende un ultimo sguardo, un’ultima parola con te.

Cara vita, che tanto buona sei stata con me, che mi hai dato occhi blu che trovano casa nel mare al tramonto, che mi hai dato lunghi capelli castani che hanno preferito rimanere corti, che mi hai dato un’anima sensibile, fragile, che tende sempre a rimanere imbalsamata nel sorriso sincero di un amico, in un quadro nascosto in una galleria d’arte, in un libro dimenticato in libreria. Tu, vita, voglio vederti tornare, voglio vederti esserci, con quel profumo d’inaspettato che pretendi sia solo tuo, che lavi via quell’amaro ormai troppo frequente: voglio berti in un bicchiere a tarda notte e cancellare via ogni mancanza, ogni rimorso. Ti ho aspettato per quest’ultimo sguardo, ti ho aspettato nei giorni scuri d’incertezza dalla finestra; eri una vetrina troppo spoglia o forse ero io a essere in una vetrina ma nessuno ci è mai passato davanti perché tu, allora, non c’eri.

Ora, in un secondo, ho sentito bussare alla porta, vado ad aprire e torno o forse non tornerò più. Eri lì, con la bellezza del primo respiro, del primo passo, della prima lacrima versata, della prima risata. Sei tornata, come la prima volta.

Cara vita, ora voglio farti vedere io cosa si nasconde dietro l’amaro delle sei di mattina: ti voglio dimostrare dove egoisticamente ti ho tenuta nascosta nei ricordi, quando ormai ti davo per morta; eri ancora presente, ti nutrivo di sensazioni passate, dei baci che ho dato, delle pagine che ho studiato, delle canzoni che ho ballato quando la musica ancora non spaventava. Eri lì, protetta, ti disegnavo qualche volta in uno sguardo malinconico quando tutto il resto era fermo e l’unica consolazione era il passato. E tu, mio egregio passato, mio confortevole amico in balia del dolore, mi hai custodito una vita che era astratta, lontana, a viverla non era la me stessa che sono adesso.

La mortalità cambia tutti. Perchè sì, è quel che siamo stati: tu, vita, te ne sei andata e, per un attimo infinito, non abbiamo temuto la morte. Ma la morte, io, la voglio disperatamente temere, ne voglio essere terrorizzata, voglio sentire i brividi di una ferita, come voglio sentire il cuore piangere quando vede una stella cadente troppo lontana, voglio sapere cosa significhi vedere una persona e avere le farfalle allo stomaco, voglio sentire un bacio al profumo di rose che mi racconta la sua vita, voglio un abbraccio che sussurra “sempre”. Voglio tutto questo, fino alle viscere. Voglio la morte perché significa che tu sei qui, vita.

Sono qui, ho aperto la porta e non posso fare altro che accoglierti, stringerti.

  • Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siam viste?
  • Dieci anni, come anche un secondo.

Ci sediamo al tavolo, a consumare quello sguardo in sospeso che avevamo. E ora? ti chiedo.  E tu, con uno sguardo di sfida, quello sguardo che tanto volevo vedere, quasi beffandoti di me, rispondi Ora son qui. Non hai più nessuna scusa.

 

testo a cura di Cecilia Capello

Komorebi

Luce che filtra tra le foglie degli alberi: è questo il significato della parola giapponese Komorebi. Quando ho letto per caso questa parola mi è piaciuta fin da subito, mi è entrata in testa. Mi fa pensare a settembre, a questo mese di svolta che ti allontana dall’estate e ti porta a ricominciare.

Settembre è quella luce che ti indica un nuovo cammino senza però svelare troppo, come i primi raggi di sole in un bosco ancora buio e addormentato.

Ho sempre considerato questo mese come l’inizio di nuove esperienze, letteralmente come la partenza di un nuovo anno. Anche se porta la malinconia dei giorni d’estate, questo mese è ricco di suspense per quello che verrà dopo.

Settembre è un tornado che ti fa cambiare rotta e ti fa sentire vivo.

Settembre ti dà l’opportunità di guardarti dentro e scoprire le cose che nascondi anche a te stesso per ripartire con il piede giusto.

Quindi buona fortuna per tutto!

 

Alice Taricco

Ricevi i nostri aggiornamenti

Ricevi i nostri aggiornamenti

Iscriviti alla newsletter di 1000miglia per non perderti nemmeno un articolo! Una mail a settimana, tutti i martedì.

Grazie per esserti iscritto!