I fatti silenziosi di Cascina Caccia

“Questa è una domanda molto difficile…”
Quando gli chiedo quali sono i motivi che lo spingono a fare ciò che fa, sorride e si prende qualche secondo per mettere insieme le idee.
Perchè Matteo, 30 anni, da quattro vive e lavora a Cascina Caccia, a San Sebastiano Po (TO). E se ti chiedono cosa ti spinge a vivere e lavorare in un bene confiscato alla mafia, probabilmente la risposta è talmente radicata dentro di te che tu stesso devi andarla a cercare.
La Cascina, che attualmente porta i nomi di Bruno e Carla Caccia, è stata confiscata definitivamente nel 1999, ma è rimasta occupata dalla famiglia ‘ndranghetista dei Belfiore fino al
2007. Dall’anno successivo il bene è stato affidato all’associazione ACMOS (Aggregazione, Coscientizzazione, MOvimentazione Sociale), in collaborazione con Libera.

“L’idea di vivere a Cascina Caccia è nata dalla volontà di dare un segnale di presenza e partecipazione della società civile, presidiando il bene, che attualmente, dei circa 12mila presenti in Italia, è uno dei pochi ad essere abitati”, mi spiega Matteo, raccontandomi del suo ingresso nell’associazione e nella vita della Cascina.
“Da un po’ di tempo cercavo di avviare un’attività di apicoltura, che a Cascina Caccia era presente ma gestita da un esterno. Così nel 2012 mi sono trasferito qui con la mia ragazza Noemi.”
La produzione di miele è una delle attività nate per “generare economia” in un luogo dalla storia e dal significato così particolari. “Il nostro miele è il primo prodotto del nord Italia ad essere venduto con il marchio Libera Terra (il marchio dei prodotti che nascono nei beni confiscati alle mafie, nda). Attualmente abbiamo anche una coltivazione di noccioli, duecento piante di tonda gentile delle Langhe, e collaboriamo con l’Istituto Alberghiero Beccari di Torino e con aziende produttrici di cioccolato, riso e cosmetici.”

Ma l’attività produttiva in senso stretto è solo uno dei filoni su cui si basa il progetto di Cascina Caccia.
“Un altro aspetto importante è quello dell’educazione alla legalità. Ospitiamo i campi estivi “E!State Liberi” di Libera e, durante l’anno, proponiamo incontri ed attività per le scuole, nei quali si racconta la storia della Cascina e si riflette sulle mafie in diverse sfaccettature, in particolare per quanto riguarda la loro presenza nel nord Italia.”

Matteo mi racconta inoltre degli eventi organizzati in Cascina, dai concerti ai matrimoni, che permettono di sfruttare e dare nuova vita agli splendidi locali che sono a disposizione.

Ma l’aspetto che più mi colpisce del progetto è quello che lui definisce il “filone dell’occasione”: “arrivano da servizi penali esterni ragazzi, soprattutto minorenni, che svolgono da noi le ore di lavoro socialmente utili. Questo fa sì che, in un luogo simbolo del cambiamento e della rinascita, si crei l’opportunità di cambiamento anche nelle persone.”

La parola Cambiamento ricorre spesso nella nostra chiacchierata. Forse, in fondo, è il senso stesso dei percorsi e della vita a Cascina Caccia.

Al di là di un’attività che ti appassiona, quali sono i motivi che ti spingono a partecipare a questo progetto, in modo così pieno e completo?
“Vengo dal mondo dello scoutismo, e quindi dai valori di partecipazione, associazione, volontariato, che ovviamente ritrovo in questo progetto. A dire il vero, però, ho scelto di lasciare lo scoutismo perchè, caratterialmente, faccio fatica a lavorare in gruppo. Vivere qui con altre quattro persone, insieme a coloro che vengono accolti per collaborare al lavoro in cascina, mi spinge a mettermi in gioco da questo punto di vista, perchè ovviamente non si può fare a meno del gioco di squadra. inoltre, mi tiene qui l’idea di partecipare, di mettermi a disposizione per il cambiamento, un cambiamento che non può essere soltanto parole ed ideali, ma ha bisogno di quei fatti che avvengono in silenzio.”

Ringrazio Matteo, ci salutiamo, si spegne la webcam del mio computer. E penso che questi fatti che avvengono piano piano, grazie alla volontà delle persone che ci credono, meriterebbero di uscire, ogni tanto, dal silenzio. E allora, per adesso, metto a disposizione le parole.

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