Termina con questo articolo il nostro viaggio, ispirato dalla celebre frase di Walt Disney («Se lo puoi sognare, lo puoi fare»), attraverso l’inventiva e lo spirito di iniziativa degli startupper italiani all’estero, che hanno realizzato idee di successo lontani dalla madre patria.
Se vi dicessero che il tavolo della vostra cucina può creare musica, ci credereste? Probabilmente no, tuttavia da qualche anni è possibile grazie a Mogees, la start up creata dall’informatico vicentino Bruno Zamborlin, con sede a Londra, che ha messo sul mercato un particolare sensore, chiamato appunto Mogees, basato sulla tecnologia del “machine-learning”.
Mogees infatti capta le vibrazioni date ad un qualsiasi oggetto a cui è applicato (ad esempio ad un tavolo), e le trasforma in suono. In questo modo ogni oggetto può essere suonato da chiunque, e può essere istruito a produrre musica diversa a seconda del tipo di pressione applicata e al tipo di superficie di cui è composto l’oggetto percosso. Per trasformare le percussioni captate, il sensore deve essere collegato ad uno smartphone o ad un tablet, utilizzando l’app dedicata.
Si tratta quindi di un meta-strumento, cioè di un prodotto che rende “strumento musicale” ogni cosa, dagli alberi al vostro termosifone.
Come nasce l’idea? Dopo aver vinto il dottorato alla Goldsmith di Londra. «Ragionavo su come fosse difficile creare musica elettronica, ci volevano tanti strumenti (mouse, tastiere…) e non si usava per nulla il linguaggio del corpo. Ho pensato a un dispositivo che portasse la musica elettronica fuori dagli studi». (E. CRISAFULLI, Mogees, la start up che trasforma gli oggetti in musica chiude un round da un milione di sterline, in «Millionaire.it», 1-06-2017)
Perché creare un simile strumento crea strumenti? In un’intervista a «NinjaMarketing.it» (V. MISSAGLIA, Mogees, la strat up che cambia modo di fare musica, 7-07-2017), Zamborlin racconta che è riuscito «a dar vita alla sua voglia di lavorare sulle nuove tecnologie per rendere possibile una democratizzazione della musica attraverso uno strumento piccolo, tascabile ma quanto mai efficace».
La start up di Zamborlin, partendo da una piccola base di fondi propri, di amici e parenti, ha raccolto dal 2013 tre milioni di sterline di finanziamento in tre round diversi e ha attratto l’attenzione di artisti, dj e grandi brand come FIAT e Mazda che hanno utilizzato la tecnologia offerta dalla start up negli spot pubblicitari. È stata infine distribuita in venti paesi ed in particolare negli USA dai creatori di Guitar Hero, ed ha ricevuto finanziamenti dall’ex CEO di EMI Elio Leoni Sceti.
Dopo aver lanciato la versione Pro, adatta ai professionisti, è stata creata anche la versione Play di Mogees, che può essere usata da chiunque, anche per nelle piattaforme di gaming. Inoltre attualmente essa è utilizzata dai bambini europei del progetto Erasmusic: il suo utilizzo serve a insegnare ai piccoli a suonare e a relazionarsi per la prima volta con la musica, con il ritmo e la melodia.
Goodnight stories for rebel girls (Storie della buona notte per bambine ribelli): questo il titolo del libro per bambine (e bambini!) creato dalle italiane Elena Favilli e Francesca Cavallo, cofondatrici della start up statunitense Timbuktu Labs, che hanno sbancato Kickstarter e Indiegogo con le loro due campagne di crowdfunding. Il libro è una raccolta di 100 favole della buonanotte che narrano però le vere storie di altrettante donne, viventi o del passato, che hanno reso la loro esistenza straordinaria, da Rosa Parks, Michelle Obama e Nina Simone a Cleopatra, Marie Curie e Serena Williams. Tra gli esempi italiani ci sono donne come Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Maria Montessori, Alfonsina Strada, Lella Lombardi.
L’idea ha raccolto tra aprile e settembre 2016 oltre un milione di dollari da più di ventimila sostenitori, a fronte di una richiesta di soli 45.000 dollari, ed è divenuto un caso editoriale mondiale, rimanendo per settimane nelle classifiche dei libri per bambini più venduti. Ciò che rende il libro unico sono le illustrazioni, realizzate da 60 artiste, a fianco di ognuna delle 100 storie, così che i bambini possano vedere con i loro occhi le loro eroine. Le due fondatrici sono arrivate negli States dall’inizio del 2012, a San Francisco, dopo aver ricevuto pochi finanziamenti in Italia. Quando l’Ipad della Apple fu messo in commercio crearono il «Timbuktu Magazine», la prima rivista per tablet dedicata a i più piccini.
Con il tempo la start up è cresciuta ed è stata accolta nell’acceleratore americano 500Startups, dopo essere stata selezionata come miglior start up all’Italian Innovation Day. Dopo di che l’azienda ha iniziato a realizzare diverse app educational, come il gioco che insegna ai bambini a fare la pizza. Nel 2014 l’azienda si è trasferita a San Francisco, che rimane la sede attuale. Da quel momento l’azienda ha iniziato a portare avanti il progetto Rebel Girls, che dopo il grande successo del primo volume, ha in programma la pubblicazione del secondo con altre 100 storie, che su Kickstarter ha persino battuto la campagna di crowdfunding del volume precedente. Il secondo volume verrà pubblicato a partire dal 20 novembre 2017, tradotto in 30 lingue diverse e diffuso in più di 70 paesi.
Perché un libro che parla di donne rivolto solo a bambine? C’è una filosofia femminista alla base della pubblicazione, come sostiene la critica?
Elena e Francesca sostengono che il modo in cui vengono educati i nostri figli convince loro, fin da piccoli, che i maschi siano migliori delle femmine: ciò trova conferma in uno studio pubblicato su «Science», che mostra che a 6 anni c’è già una differenza di sicurezza personale nei due sessi, con le bimbe che pensano che i coetanei maschi siano migliori di loro. Con questi due libri le autrici vogliono quindi cercare di modificare, fin dalla tenera età, i modelli di identità femminile, in modo che i sogni delle bambine possano incarnarsi in percorsi personali e professionali simili a quelli dei bambini.
Fonti: M. DI LUCCHIO, Crowdfunding, il libro più finanziato della storia è di due italiane: le ragazze di Timbuktu, in «EconomyUp» Maurizio di Lucchio, 16-09-2016; L. CERBINI, Abbiamo scritto quelle favole perché le prime ribelli siamo noi, in «Corriere.it», 17-03-2017; N. PAZZAGLIA, Dietro le storie per bimbi ribelli ci sono due italiane e una start up, in «Bergamopost.it», 19-06-2017.
Finite le feste, riportato in cantina l’albero di Natale e smaltiti gli avanzi degli ultimi pranzi, la vita reale è ripresa per tutti, segnando il vero inizio del 2018. E un anno il cui primo giorno è stato un lunedì necessita, per partire col piede giusto, di una folata di buone notizie. Ne abbiamo scelte alcune, nella speranza di convincervi che quest’anno merita un’occasione.
La prima è la storia di una foto che è arrivata dall’altra parte del mondo, diventata virale in poco tempo. Quello di Wang, il bambino cinese di 10 anni ormai meglio conosciuto come “Fiocco di Neve”, è uno scatto che ha reso chiara e immediata una condizione che con le belle notizie non ha nulla a che fare. Il piccolo, che è arrivato a scuola ricoperto di ghiaccio dopo aver camminato per 4 km a -9°, è uno dei liushou, i bimbi cinesi “lasciati indietro” i cui genitori hanno dovuto trasferirsi per lavoro dalle campagne alle zone industriali. Wang vive con i nonni in una piccola capanna, e riferendosi alla foto che l’ha reso famoso ha detto «Mi sono accorto a metà strada di aver dimenticato guanti e cappello».
In questa storia di povertà e contraddizioni la notizia che ci dà un pizzico di speranza, o che perlomeno ci scalda un po’ il cuore, sta non solo nella raccolta di fondi, partita da quella foto, a sostegno di Wang e del suo villaggio, ma anche nel significato che questa vicenda dà alla scuola. In mezzo a quei capelli pieni di cristalli ci sono un senso del dovere e una fiducia nel proprio futuro che, in un contesto così difficile, diventano quasi commoventi. Soprattutto per noi che siamo o siamo stati quel tipo di studente che, al terzo fiocco di neve, spera nella chiusura delle scuole e in un giorno extra di vacanza.
La seconda storia che vi dedichiamo è quella di una foresta che sta per nascere. Nel Regno Unito, infatti, è stato approvato il progetto Woodland Trust, che prevede di piantare, a partire da marzo 2018 per i prossimi 25 anni, 50 milioni di alberi intorno al corso dell’autostrada M62, 170 km che collegano Liverpool a North Cave. L’approvazione del progetto ha richiesto 10 anni, e si prevede di investire in esso un massimo di 500 milioni di sterline, con un ritorno, legato all’incremento del turismo e delle imprese rurali, stimato intorno ai 2 miliardi. Green is the new black.
L’ultima notizia ci riporta in Cina, in particolare a casa di Lai Chi-wai, arrampicatore di 35 anni che è stato nominato per i Laureus World Sports Awards 2018, premio per gli sportivi assegnato ad atleti del calibro di Roger Federer, Usain Bolt e Beatrice Vio. Un piccolo dettaglio: il 9 dicembre 2016, dopo aver raggiunto una delle sue vette, ha postato su Facebook:
«Ultime notizie: sedia a rotelle scoperta su Lion Rock»
Dopo un incidente stradale nel 2011, Lai Chi-wai è stato il primo climber paraplegico a raggiungere la cima di Lion Rock, la montagna di Hong Kong. «Ho capito fin da subito che nella vita hai una sola possibilità, e io non voglio rimpiangere nulla», ha affermato durante un’intervista per Repubblica TV.
Dietro questo nuovo lieto fine si nascondono di certo tanta sofferenza, duro lavoro, e probabilmente anche un pizzico di fortuna, e dei mezzi che non tutti possiedono. Ma non c’è niente di meglio di iniziare l’anno leggendo una storia che ti convince di poter fare qualsiasi cosa.
«Che fai tu, Luna, in ciel?». Leopardi è partito da una domanda, ma non è l’unico. Da sempre la Luna e le stelle sanno ispirare, non solo i grandi uomini della letteratura.
La scienza è riuscita ad esplorare lo spazio grazie alla spinta propulsiva
dell’immaginazione. Chiara Piacenza, 25 anni, che vive tra Cuneo e la Luna, lo studia. Armstrong, con la sua famosa passeggiata lunare, non ha esaurito la curiosità di milioni di persone. L’atterraggio sulla Luna non è stato un punto d’arrivo, ma un trampolino di lancio per tutto ciò che è venuto dopo. Una start up è un’impresa con il fine di promuovere l’innovazione tecnologica in un qualsiasi settore merceologico (n.d.r. la merceologia è la scienza che si occupa dello studio, della produzione, delle caratteristiche e dell’uso delle merci). Alla loro base c’è un gruppo di persone che creano dal nulla qualcosa di innovativo per rispondere ad un’esigenza o per migliorare un sistema. In più, se il sistema in cui si collocano è la società in cui viviamo, nascono le start up sociali.
Chiara Avogaro, 22 anni di Fittà, una frazione di Soave, in provincia di Verona, è creativa e consapevole del mondo che le sta intorno, ma soprattutto sogna. La sua idea costituisce un bellissimo esempio di come si può lasciare un segno nella realtà che abbiamo intorno, ma ci ricorda anche che il primo passo per compierlo, è sognare di poterlo fare.
Descriviti con una citazione. Chiara Piacenza «Osa diventare ciò che sei. E non disarmarti facilmente. Ci sono meravigliose opportunità in ogni essere. Persuaditi della tua forza e della tua gioventù. Continua a ripetere incessantemente: Non spetta che a me. Non si scoprono nuove terre senza essere disposti a perdere di vista la costa per un lungo periodo.» (Andrè Gide)
Chiara Avogaro «Se non puoi essere un pino in cima alla collina, sii una macchia nella valle ma sii la migliore, piccola macchia accanto al ruscello; sii un cespuglio, se non puoi essere un albero. Se non puoi essere un cespuglio, sii un filo d’erba, e rendi più lieta la strada. Non possiamo essere tutti capitani, dobbiamo essere anche un equipaggio, c’è qualcosa per tutti noi qui, ci sono grandi compiti da svolgere e ce ne sono anche di più piccoli, e quello che devi svolgere tu è lì, vicino a te. Se non puoi essere un’autostrada, sii solo un sentiero, se non puoi essere il sole, sii una stella; non è grazie alle dimensioni che vincerai o perderai: sii il meglio di qualunque cosa tu possa essere.» (Douglas Malloch)
Cosa studi? Perché hai scelto questo ambito? Chiara Piacenza Ho studiato Ingegneria aerospaziale, con specializzazione in Spazio. Quando ho dovuto scegliere l’ho fatto perché ho sempre amato lo spazio, e da piccola ero affascinata dalla scienza e dall’astronomia. La società si sta spingendo verso l’era del turismo spaziale, e della colonizzazione di altri corpi celesti. Volevo essere parte di questo cambiamento. Ma ci terrei a dire che bisogna essere appassionati di ingegneria per amare questo argomento: non mi sono mai considerata una geek in questo senso, ciò che mi ha spinto verso questo ambito è la poesia che vi sta alla base, il sogno di esplorare l’universo con le risorse di un’umanità colma di intelligenza, spirito e ingegno. Lo spazio è la vera ispirazione. Quando i bambini chiedono “Come faccio a diventare una o un astronauta?” la risposta che si dà è: “Fai quello che ti piace, al meglio che puoi”. Lassù serve gente che faccia sognare, e che ami profondamente il proprio lavoro, che sia medicina, biologia o sociologia.
Chiara Avogaro Sono laureata in Mediazione Linguistica, ma ho deciso di intraprendere una magistrale in ambito economico perché desideravo capire quale valore volessi attribuire al lavoro che avrei svolto nella mia vita. Inoltre, dato che ho fatto l’erasmus a Monaco non mi piaceva l’idea di un’ulteriore specializzazione in ambito linguistico, e così mi sono avvicinata all’idea di fare degli studi che aprissero le mie prospettive, ampliando le mie conoscenze anche in un altro settore.
Qual è il tuo sogno? Quando ti è venuto in mente? Chiara Piacenza Il mio sogno è di arrivare ad addestrare gli astronauti europei. Il centro europeo di addestramento di astronauti (EAC) si trova a Colonia, in Germania, ed è dove ho avuto l’incredibile opportunità di svolgere la tesi magistrale.
Ho sempre avuto tanti sogni, dal fare la giornalista a lavorare in teatro, ma sentivo qualcosa di inspiegabile ogni volta che assistevo al lancio di un razzo spaziale. Ancora oggi l’emozione che provo al conto alla rovescia guardando fisso la rampa di lancio è incredibile. Sono i brividi e la commozione che puoi provare solo per qualcosa che ti tocca nel profondo, come un amore molto giovane ma sempreverde. Quando ero piccola guardavo le stelle e mi chiedevo come si vedesse la terra dalla loro prospettiva. Ora ci sono donne e uomini di grande talento che ogni giorno si addormentano guardando la Terra girare come una trottola sotto la loro stazione spaziale, e per me questo rappresenta l’ultima immensa frontiera dell’esplorazione umana. Chi lavora in quest’ambito è il nuovo membro della ciurma di Cristoforo Colombo, è esploratore dell’universo.
Chiara Avogaro Da sempre sogno un lavoro che mi permetta di far sbocciare un lato di me che mi caratterizza: mi piace gestire e organizzare le cose. Nel tempo ho scoperto che questa è un’attitudine che mi valorizza. Però, d’altro canto, non posso intraprendere questo percorso senza avere chiaro il senso del mio procedere. So che con la sola realizzazione personale non sarei felice e non starei bene con me stessa, a me serve di più. Quando mi penso tra vent’anni credo che l’unica cosa che mi farebbe alzare la mattina dal letto per andare serena al lavoro è il fatto di offrire un impiego, attraverso il mio stesso lavoro, a persone che non riescono a trovarlo, quelle che appartengono alle fasce deboli della società. Sogno un giorno di usare il mio lavoro e la mia passione per creare nuove possibilità di occupazione a persone con background di disagio, in genere discriminate, che faticano a reinserirsi nella collettività. Credo fermamente che il lavoro nobiliti l’uomo e che possa essere una delle prime forme di recupero. Nel mio paese c’è una cooperativa sociale che crea marmellate impiegando persone con diversi disagi: faccio volontariato lì da sempre, e forse è proprio da qui che ha iniziato ad emergere questa mia sensibilità. Sono consapevole che sia un sogno impegnativo, ma ormai è da tempo che lo sto maturando ed è per me una sfida a cui non posso rinunciare.
Ho avuto la fortuna di accompagnarmi per un breve tratto di strada con Chiara Piacenza e Chiara Avogaro, in due occasioni distinte. Se vuoi trovare un punto in comune tra loro, la prima di cui ti accorgi quanto le incontri è che ti sorridono. E dopo, quando ti congedi da loro, sorridi tu.
Sono sufficienti poche parole per notare un secondo punto in comune. Entrambe hanno un sogno. Il termine “sogno” prende la sua origine dal latino somnium, ma dopo che trascorri un po’ di tempo con loro hai l’impressione che derivi direttamente dal nome proprio Chiara.
Spesso si pensa ai sogni come entità astratte irrealizzabili, che vivono solo nella nostra testa, ma i sogni veri sono progetti concreti. E questi progetti si edificano solo dopo averli profondamente desiderati. Il desiderio ci spinge a fare di tutto per rendere concreto il sogno. Sono i nostri sogni che, quando prendono i connotati di un progetto, ci aiutano a capire chi siamo, o muovere i nostri passi verso chi vogliamo essere. Raggiungendo la Luna, per esempio,oppure attraverso una start up sociale.
Ogni articolo di questa rubrica, Si può fare, è stato scritto per parlarvi di innovazione. A partire dalla cooperazione con Ping, la cooperativa sociale di Cuneo che offre spazi e opportunità alle realtà imprenditoriali che vogliono crescere, l’obiettivo di questi appuntamenti è esplorare gli strumenti, le competenze tecniche, le storie e i prodotti di chi ha cercato di portare al mondo qualcosa di nuovo.
Ma c’è un altro aspetto fondamentale tra i requisiti degli imprenditori e degli startupper di cui vi abbiamo raccontato. La loro ispirazione. Quella piccola luce che resta accesa, che sia essa una fiammella che resiste da anni o un’esplosione improvvisa, e permette di mettere in gioco sé stessi e la propria passione.
Quale miglior periodo di quello natalizio per regalarvi due storie, tentando di solleticare la vostra ispirazione, nella speranza che accendano, o alimentino, quella luce.
La prima è una storia come siamo abituati a pensarla, scritta in un libro. Ecco un assaggio da Un amore tra le stelle, di Catena Fiorello.
“Forse dipendeva dallo stile di lei, così stramba e indipendente. Libera e irraggiungibile come nessun’altra. Sì, era questo ad attrarlo con insistenza. E per definire B***** gli veniva in mente soltanto una parola: eroina. Una donna moderna e senza tempo, una curiosa combinazione di fascino, mistero e contraddizione. Da un lato dura e scontrosa, dall’altro buona e altruista…”.
Cosa c’è di particolare nella descrizione di questa donna così affascinante? Il nome che ho nascosto dietro gli asterischi, per permettervi di leggere senza filtri: Befana. La scrittrice ha ridisegnato l’amorevole sdentata vecchietta che ci porta i dolci su una scopa. E l’uomo così attratto da lei è quello che solitamente le ruba la scena durante le feste: Babbo Natale. Una favola natalizia che ci ricorda di non restare ancorati ai nostri punti di vista.
La seconda storia è scritta a mano in un quaderno a righe. La penna appartiene a M., una bambina di 10 anni. Ma non è lei l’autrice di Le renne aiutano Babbo Natale. Questa piccola fiaba, colorata dalle matite di disegni infantili e resa ancora più sincera da qualche errore grammaticale, è nata nella testa di A., coetanea e amica di M.
Mettere su carta la sua storia sarebbe stato quasi impossibile per A., perché i suoi arti non funzionano come dovrebbero. Ma le sue amicizie sì. E così, con le parole dell’una e le mani dell’altra, A. e M. hanno portato a termine la loro opera, in un esempio meravigliosamente semplice e spontaneo del concetto di teamwork, tanto citato in molti ambienti lavorativi. Ognuno mette a disposizione quello che ha, perché da soli non ci bastiamo.
Che queste due piccole storie facciano bene alla vostra ispirazione. Vi auguriamo un Natale pieno di idee. La rubrica Si può fare.
“Briciole” sono quasi sempre qualcosa di insignificante. Ciò che resta sul tavolo, o sul pavimento, dopo mangiato. La parte da buttare via o, al limite, da rifilare a qualcun altro, un contentino per i passerotti. Ma mille briciole fanno un pezzo di pane, e allora ognuna di esse acquista valore. Miliardi di gocce d’acqua fanno un oceano. Ed è proprio dalla comprensione di quanto ogni goccia può essere preziosa che nascono due idee rivoluzionarie, nella loro semplicità.
«L’acqua non ha forma propria, ma acquisisce la forma del recipiente che la contiene». È una delle prime lezioni di scienze della nostra vita, quando alle elementari ci raccontano della differenza tra liquidi e solidi. Diventa ovvio: i liquidi,come l’acqua, sono qualcosa che ha bisogno di essere contenuto. Di un recipiente che ci permetta di trasportarli, tenerli in borsa, usarli quando ci servono e averli sempre a portata di mano. Tendenzialmente, il recipiente è fatto di materiale inquinante. Si stima che ogni anno si aggiungano ai nostri oceani 8 milioni di tonnellate di plastica. Il conteggio attuale supera i 5 trilioni di pezzi di plastica, e secondo uno studio del World Economic Forum nel 2050 le acque della Terra accoglieranno più pezzi di plastica che pesci. Un pianeta che vive grazie all’acqua, rischia di essere sopraffatto dai contenitori che i suoi abitanti usano per l’acqua stessa. È davvero un circolo che non si può interrompere?
Per eliminare le bottiglie di plastica, la Skipping Rocks Lab, start-up con sede a Londra, ha pensato di liberare l’acqua dai recipienti, restituendole una forma più naturale: una goccia.
Si tratta di Ooho!, un progetto nato nel 2014, inizialmente pensato a fini sportivi, per permettere ai maratoneti di portare in gara scorte d’acqua senza ingombro. Attualmente, l’idea si sta sviluppando anche con lo scopo di ridurre l’impatto della produzione e dello smaltimento delle bottiglie usate per acqua, bibite e alcolici. Queste gocce sono racchiuse in una pellicola di origine vegetale, realizzata con alghe marine e cloruro di calcio.
La struttura molecolare di questa bolla, che ha una capienza di 250 ml, è simile a quella dei tuorli d’uovo: costruita per contenere un liquido e non permetterne la fuoriuscita. Per questo, il prodotto è semplice e sicuro da trasportare. Inoltre, l’acqua è contenuta in due pellicole: quella esterna, completamente biodegradabile, viene rimossa, garantendo l’igiene, mentre quella interna deve essere morsa per liberare il suo contenuto.
Queste nuove gocce d’acqua potrebbero portare benefici anche dal punto di vista economico: produrne una, infatti, costa solo 2 centesimi, anche se non è ancora noto il prezzo con cui verranno proposte sul mercato.
Il nome Ooho! nasce per ricordare la parola Eau, “acqua” in francese. I tre ingegneri spagnoli che hanno dato vita a questo progetto sperano, come si legge sul loro sito web, di «creare alternative prive di sprechi a bottiglie, piatti, bicchieri, qualunque-altra-cosa in plastica», e di diventare leader mondiali nella produzione di contenitori a base di alghe». È solo l’inizio, dunque. Se davvero arrivassimo ad utilizzare prodotti usa e getta senza componenti di plastica, cambieremmo non solo il modo di trasportare acqua e cibo, ma probabilmente anche il nostro modo di rapportarci a questi materiali e al nostro ambiente.
Immaginate di raccontare ai vostri nipotini di quando, per portare in giro l’acqua, c’era bisogno di scomodissime bottiglie, che poi andavano buttate via.
E dove andavano a finire tutte le bottiglie che buttavate via, nonno?…
Le gocce d’acqua per la Skipping Rocks Lab acquistano valore in quanto innovative e rivoluzionarie. Ma le briciole e le gocce possono diventare ancora più preziose, nelle situazioni in cui sono l’unica cosa disponibile. Le stime della Comprehensive Assessment of Water Management in Agriculture delineavano, già dieci anni fa, una situazione critica per quanto riguarda l’accesso all’acqua di buona parte della popolazione mondiale. Attualmente circa 1 miliardo di persone sono colpite da un fenomeno definito “Economical water scarsacity”, ovvero la mancanza di acqua potabile sicura, dal punto di vista qualitativo. Nei casi più gravi, questa condizione si accompagna alla “Physical water scarsacity”, ovvero la mancanza di quantità d’acqua sufficienti per la popolazione.
In moltissime aree dell’Africa sub-sahariana, l’accesso diretto all’acqua è una benedizione rara: per la maggior parte degli abitanti, le fonti disponibili vengono raggiunte dopo ore di cammino, al termine delle quali dei contenitori da circa 20 litri vengono riportati verso casa da donne e bambini, che li trasportano sul capo. Questo comporta una scarsa disponibilità non solo di acqua, ma anche di tempo da investire in istruzione e occupazioni utili.
“Hippo water roller project” è nato dall’idea di due ingegneri africani che hanno proposto, a partire dal 1994, una soluzione semplice, che può fare un’enorme differenza. La “Hippo water roller” è una cisterna che, quando è vuota, può essere trasportata sulle spalle, come uno zaino, mentre una volta riempita rotola, spinta attraverso un manico, fino a casa, riducendo tempo e fatica, e aumentando fino a cinque volte la quantità d’acqua che può essere trasportata in un viaggio.
Questo progetto ha attualmente raggiunto 50 mila persone in 20 Paesi. Un numero che può sembrare, in effetti, briciole. Così come può sembrare una briciola ognuno dei nostri tentativi di migliorare, di sviluppare un’idea innovativa, di risolvere problemi e crisi che sembrano – e sono – più grandi di noi. Ma ognuno di noi è una briciola, una minuscola goccia d’acqua.
«Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni.»
Pirandello, ne Il fu Mattia Pascal, sottolinea questo nostro essere «storie di vermucci». Ma proprio come i personaggi, occorre ricordare che, al di là di questa consapevolezza, «per fortuna, l’uomo si distrae facilmente. […] Il che vuol dire, in fondo, che noi anche oggi crediamo che la luna non stia per altro nel cielo, che per farci lume di notte, come il sole di giorno, e le stelle per offrirci un magnifico spettacolo.»
Ed è in virtù di questa distrazione, che ci fa sentire grandi e importanti, che vale la pena dare significato alle briciole. Alle idee che nascono piccole e insignificanti, a quanto poco è stato fatto rispetto a quanto c’è ancora da fare. Alle gocce d’acqua, quelle innovative ed ecologiche e quelle che semplicemente rappresentano una possibilità di vita, una speranza.
“Briciole” sono quasi sempre qualcosa di insignificante. Ma spesso sono tutto ciò che abbiamo. O almeno, sono ciò da cui possiamo partire, per costruire qualcosa di nuovo. Goccia dopo goccia.
È Michael Porter il protagonista della TED conference che vi proponiamo oggi in questa rubrica. Porter è un professore americano della Hardvard Business School , nonché uno degli ideatori della strategia manageriale.
L’opinione comune ci fa credere che il mondo dell’impresa sia una delle cause dei problemi e delle disparità sociali ed ambientali che in questo secolo stanno toccando apici mai visti prima. Siamo la società dei contrasti: contesti di povertà estrema coesistono a frangenti di prepotente ricchezza, una crescente coscienza civile convive ad episodi di mostruosa disumanità.
Essere cresciuti nella cultura della contraddizione, tuttavia, ci privilegia nel farci cambiare prospettiva: il mondo dell’impresa – dice Michael Porter – non è la causa, ma un potenziale strumento di risoluzione ai problemi sociali dei nostri giorni. Come?
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