Impressioni di ottobre
Il cielo è tappezzato di nuvole buie, dipinte dello stesso blu annegato di malinconia come quando d’inverno si pensa al mare.
Il cielo è tappezzato di nuvole buie, dipinte dello stesso blu annegato di malinconia come quando d’inverno si pensa al mare.
Parte venerdì 8 giugno il progetto “Cantiere Giovani”, una svolta nel panorama delle attività giovanili della nostra città.
Si tratta di un’iniziativa nata dal Comune di Cuneo e dalla Consulta Provinciale degli Studenti che ha come scopo la progettazione di tematiche di interesse sociale nella città. Come? Molto semplice: i ragazzi partecipanti verranno suddivisi in gruppi eterogenei, composti da studenti provenienti da diverse scuole secondarie, in modo da permettere uno scambio reciproco di conoscenze, punti di vista ed esigenze derivanti da mondi diversi. Il tutto messo a disposizione di un cambiamento della nostra città, che si concretizzerà in una serie di progetti che verranno selezionati insieme alle scuole ed integrati nei Piani dell’Offerta Formativa del prossimo anno scolastico.
È sempre più urgente, infatti, la necessità di noi giovani di sentirci protagonisti e parte integrante del territorio nel quale viviamo, voce accolta e ascoltata che mira alla trasformazione effettiva del contesto giovanile e sociale nel quale siamo –e saremo- chiamati a vivere.
Il progetto verrà introdotto con un primo incontro ad ingresso libero che si terrà venerdì 8 giugno 2018, presso l’Open Baladin in Piazza Foro Boario a Cuneo, alle ore 17.30. Avviato da Simone Priola, consigliere comunale delle politiche giovanili, il dialogo sarà moderato da Franca Beccaria. Durante il pomeriggio interverranno tre relatori esperti del settore delle politiche giovanili e che lavorano a stretto contatto con i giovani: Monia Anzivino, dottore in ricerca di metodologia della ricerca sociale ed attualmente ricercatrice postdoc sui temi legati all’istruzione terziaria e alla condizione giovanile; Francesco Lisciandra, vicepresidente dell’associazione GIOSEF-UNITO (giovani senza frontiere), che si occupa della mobilità internazionale, dei diritti umani e della partecipazione ed inclusione sociale; Lorenzo Rocchi, avvocato e giovane consigliere comunale di Prato, attivo nella sua città con il quale si intraprenderà un dialogo di confronto tra Prato e Cuneo, e sulla possibilità di manovra delle politiche giovanili all’interno della politica amministrativa di una città.
Seguirà poi la presentazione del report sul progetto Cuneo-Nordkapp realizzato da quattro giovani cuneesi che racconteranno la loro esperienza e il significato che ha rappresentato il viaggio nel loro percorso di crescita personale: l’esempio pratico di come viaggiare è un’opportunità di arricchimento.
A conclusione dell’incontro sarà offerto l’aperitivo ai partecipanti.
Verona, 11 marzo 2018
Un uomo si inginocchia sull’asfalto e posa una valigia davanti a sé. La gente gli passa vicino, devia per non urtarlo, procede veloce senza accorgersi della sua presenza, rallenta per osservarlo meglio, continua a camminare; nessuno si ferma.
Lui apre la valigia e, dopo aver tirato fuori uno specchio, alcuni travestimenti, un cappello, un colletto voluminoso e dei trucchi, la richiude. Posa gli oggetti su quel ripiano improvvisato e inizia a prepararsi.
Si china e intinge le dita nella tempera oro. Sistema l’angolatura dello specchio consumato, chiude gli occhi e si spalma il colore sul viso, poi sul collo e sulle mani. Li riapre per controllare il risultato, si saggia la pelle con le dita e muove i polsi fino a rendere elastico lo strato di colore. Si infila il colletto bianco, un bel sorriso divertito, un paio di pantaloni dorati e una camicia e rimette il resto nella valigia. Poi ci sale sopra e allunga la mano che regge il cappello verso i passanti.
Sta così, fermo e sorridente, per qualche ora. Sotto il sole del primo pomeriggio, in mezzo al chiacchiericcio della strada.
Quando qualcuno rallenta lui fa un inchino e sorride ancora di più. Ogni tanto qualche monetina tintinna cadendo sulle altre nel capello. E allora inchini ancora più profondi, fino a sfiorare l’asfalto con la mano.
Quando si fa sera, le strade diventano silenziose e il vento freddo, lui scende dalla sua valigia. Svuota il cappello nella mano e mette le monete in tasca, si toglie il colletto e i vestiti, li piega con cura e li posa, insieme al sorriso, nella valigia.
Un esperimento: prendere due città a caso nel mondo e confrontare alcune delle loro particolarità. Due città che non hanno nulla in comune, tranne me.
Cuneo, nel cuore del Piemonte, e Iringa, nel cuore della Tanzania centro meridionale, sono posti che ho abitato, luoghi in cui ho vissuto. E ora mi ritrovo a cercare un po’ di Africa qui in Italia, mentre, quando ero là, mi scoprivo spesso alla ricerca di un po’ di Italia in Africa. Dopotutto, prima di fare proprio qualcosa di molto diverso da quello
a cui si è abituati, si tende sempre a ricercare ovunque ciò che sa di casa. Qualcosa che ci faccia sentire appagati come sanno fare solo le montagne che incoronano Cuneo nelle limpide giornate invernali, quando la nebbia tenta di nascondere le cime innevate ed i raggi di sole la sfidano con arroganza. Camminando nel centro di Cuneo mi sento innanzitutto
molto sola. Ho i miei spazi. Posso muovermi liberamente, senza scontrarmi con qualcuno ogni tre passi. A Iringa questa sensazione si prova solo a qualche kilometro fuori dal centro città. La gente, in centro, si riversa in strada, e se deve passare non chiede il permesso. Semplicemente passa. E saluta. Da quando sono a Cuneo, accolgo sempre con grande stupore i saluti di chi non mi conosce, ma mi dice ciao. Se per sei mesi la normalità è stata accennare qualche parola in swahili per augurare una buona giornata, adesso la normalità è passare accanto alle persone, come se la loro vita non mi riguardasse. Come se non avessi bisogno di un loro saluto. Come se, ormai, sentire di appartenere ad una comunità cittadina fosse un concetto medievale.
Il mercato è il luogo in cui avviene la vita, in Africa. È il luogo massimo del ritrovo, è dove si incontrano gli altri.
I mercati hanno un luogo fisso, con le stesse persone negli stessi banchetti, sempre. I prodotti venduti sono cibo e, in alcuni casi, utensili per la cucina o vestiti, ma solo nei mercati più grandi. In quelli di quartiere o di villaggio si trovano soltanto frutta e verdura. Le verdure sono perfettamente ordinate una sull’altra, per comporre piramidi di pomodori o di carote. I frutti sono minuziosamente posti uno accanto all’altro, arancia su arancia, avocado vicino ad avocado fino a formare una composizione circolare in un cesto di vimini. C’è cura nei prodotti esposti. Devono essere accattivanti, e poi si può discutere del prezzo. Va contrattato, non c’è niente da fare. Per quanto poco tu possa conoscere la lingua locale, in questo caso lo swahili, i numeri sono la prima cosa utile da imparare per non essere in una situazione di svantaggio nei confronti dei venditori. Il caos è una prerogativa del mercato, sia esso a Iringa o a Cuneo. Ma il caos di Iringa è un caos coinvolgente. Ti senti parte della vita che scorre, ti senti riempito dai colori delle stoffe che indossano le signore che vendono i propri prodotti. Forse perché sei ospite, forse perché sei bianco e sei guardato da tutti, forse perché tutti sanno che hai più soldi di un comune venditore di piselli e vogliono che tu, quel giorno, compri da loro. E sentirsi parte della vita che scorre nel mercato ha un significato preciso. Vuol dire che il giorno in cui hai deciso di cucinare le melanzane alla parmigiana e fai la spesa nel mercato del quartiere – se così si può definire – in cui vivi, che proprio quel giorno è sprovvisto di melanzane, finirai con l’attirare l’attenzione di tutto il mercato per trovare l’unico banchetto che ha qualche melanzana da parte.
E va proprio così: i venditori iniziano ad urlarsi da un banco all’altro, chiedendo se qualcuno ha le melanzane quel giorno oppure no. E ti prendono letteralmente per mano e ti portano da un angolo all’altro del mercato-labirinto in cui sei finito fino a trovare il ragazzo che, secondo il vicino di banchetto del venditore a cui ti sei rivolto per primo, ha le melanzane. E così le compri, per altro andate anche un po’ a male, e puoi cucinarti la parmigiana quella sera stessa.
Ma anche il mercato di Cuneo ha il suo fascino. Attira persone da tutto il Comune, e non solo. I pullman di francesi che ogni martedì approdano nell’altipiano non mancano mai. E quindi si cammina tra i diversi banchi sentendo parlare un po’ italiano, un po’ piemontese e un po’ francese. Se penso al mercato mi vengono in mente le giornate estive dell’adolescenza, in cui andarci in bici era una specie di rituale di passaggio verso il mondo dei grandi. E provare vestiti su vestiti, tutti uguali da un banco all’altro, e non trovarne neanche uno che stesse bene. Passeggiare in via Roma scortati sui due lati dai banchi dei venditori trasmette un senso di protezione, nonostante anche lì ci sia del caos, ma è un caos piemontese, stazionario, ordinato, rispetto alla corrispondente versione africana. E se proprio si vuole evitare il contatto con la marea di gente che si riversa in via Roma nei martedì di sole autunnale, basta camminare sotto i portici. Vanto sabaudo, elemento tipico piemontese, porto franco per i camminatori seriali nei giorni di pioggia. Anche i portici sono un luogo di incontro, e sono quanto di più lontano esista da una città tanzaniana come Iringa. I portici nascono dall’esigenza di edificare abitazioni sopra le botteghe, sviluppando verticalmente la vita sociale, che andava a mano a mano crescendo, costruendo piani su piani negli edifici di via Roma, prima, e corso Nizza, poi.
Anche i mezzi di trasporto meritano un confronto. La prerogativa dei pullman nelle ore di punta, sia a Cuneo sia a Iringa, è l’essere sempre completamente pieni. Da non riuscire a muoversi e respirare. Nei pullman arancioni si sta schiacciati, ma si respira. A Iringa i pullman sono dei pulmini con nove sedili dietro e due davanti, di fianco al guidatore. I posti totali sono 12, autista compreso, ma mediamente si sta sopra in 25. Le regole della fisica non valgono per gli spazi africani. In posti dove mai avrei immaginato potesse starci un essere umano, gli africani riescono a farne stare almeno due e un sacco da 25 kg di patate. Ovviamente si rinuncia al proprio spazio vitale. E si rinuncia alla comodità e a qualsiasi possibilità di movimento. Se sei seduto, tre volte su quattro qualcuno ti appoggia sulle gambe una borsa oppure un bambino. Se sei in piedi, puoi fare lo stesso tu con chi è seduto, mettendo il tuo zaino sulle cosce del malcapitato vicino a te, senza chiedere niente. Si fa così. Molto spesso mi è capitato che fossero proprio le persone sedute a offrirsi di tenere la mia sacca oppure le mie borse della spesa. E le fermate esistono, ma se hai bisogno di scendere in un posto lontano dalle solite fermate, basta chiedere. L’autista si fermerà. E lo stesso concetto vale per quando si vuole prendere il pullman. Bisogna solo accertarsi che vada nella direzione desiderata, e poi è sufficiente un cenno con la mano per far fermare il mezzo di trasporto anche lungo la strada principale, dove macchine, camion e autobus sfrecciano piuttosto veloci. Più di una volta i pulmini, che in Tanzania si chiamano daladala, hanno fatto un pezzo di retromarcia per farmi salire. E per pagare il prezzo del trasporto si aggiustano i conti direttamente sopra. Infatti c’è sempre un ragazzo che si occupa di aprire e chiudere la porta, chiedere alle persone lungo la strada, urlando, se hanno bisogno di un passaggio, riferire ad alta voce le fermate principali, dicendo all’autista se e dove fermarsi. È sempre lui che chiede i soldi della tariffa, senza proferire parola ma soltanto usando il ticchettio delle monete che tiene in mano e che porta sotto gli occhi dei passeggeri, i quali conoscono quante monete devono lasciare e le tengono preparate in tasca o in un pezzo di stoffa nascosto nella gonna.
Ma anche i pullman arancioni o blu che girano per la provincia Granda hanno il loro fascino. Maestosi, un po’ scassati, pieni nelle ore di punta e deserti nel resto della giornata. Uno ogni ora, all’incirca. Sono nate e morte amicizie al loro interno, nei viaggi di ritorno a casa dalle superiori. Perennemente con l’ansia di aver dimenticato l’abbonamento, che, in realtà, viene controllato al massimo tre volte in tutto l’anno scolastico. Il timore di dimenticare lì sopra la sacca delle scarpe da ginnastica o il dizionario di latino dopo la versione in classe. Questi pullman finiscono per essere un rifugio per gli studenti, un vero e proprio momento rituale quotidiano. Insomma, sono molto più di un semplice mezzo di trasporto. E questo è molto diverso dal corrispondente tanzaniano, perché sotto l’equatore i pulmini non sono altro che un modo come un altro per arrivare più velocemente a casa, ma il mezzo di trasporto preferito restano i piedi.
*Questo articolo è stato tratto dal decimo numero del magazine di 1000miglia, scaricabile al link https://www.1000-miglia.eu/wp-content/uploads/2017/11/1000MIGLIA-MAGAZINE-NOVEMBRE-2017.pdf
Foto di Chiara Ragno e Alessia Actis
Cecilia Actis
Intervista a Giorgia Beccaria e Ayoub Moussaid
Venerdì 25 novembre.
Cuneo, come nelle migliori serate autunnali, è coperta da un lenzuolo di nebbia. Si vede poco per la strada, si va con calma.
L’appuntamento è alle 20 alla casa del quartiere Donatello. La serata è quella di “Arte Migrante”.
Arte Migrante è un movimento sociale, che poi non è nient’altro che un gruppo informale di persone, nato a Latina e spostatosi subito dopo a Bologna, dall’idea di un ragazzo che si chiama Tommaso Carturan. Lui, insieme ad altri suoi amici, ha pensato che ci fosse la necessità di creare uno spazio in cui persone che arrivano da diversi contesti sociali e culturali si potessero incontrare, ma in una verità di incontro.
E per fare questo si è pensato di utilizzare l’arte, perché è forse il più grande aggregante che l’umanità conosca. L’idea che sta alla base è che l’arte non appartiene solo agli artisti ma è qualcosa che ogni persona ha dentro di sé, ma non la tira fuori perché non ha uno spazio in cui poterlo fare. Quindi, fare Arte Migrante significa creare uno spazio libero in cui ti senti accolto, puoi esprimere e tirare fuori la tua artisticità.
Due anni fa questo progetto è sbarcato a Torino e da un paio di mesi è arrivato anche a Cuneo.
Io e mia sorella portiamo una torta salata fatta da nostra mamma nel pomeriggio. Volevo portare anche una bevanda ma me ne sono dimenticata. Mi scopro portatrice di un po’ di sano imbarazzo, quello che precede i momenti nuovi, in cui non sai bene dove stai andando ma comunque ci vuoi andare.
Siamo accolti dagli organizzatori, ragazzi cuneesi che hanno iniziato a partecipare ad Arte Migrante a Torino ed hanno deciso di proporlo anche nella nostra cittadina.
Due anni fa a Torino Arte Migrante è iniziato in via Nizza, per strada, nei posti dove c’era una situazione delicata. Veniva fatto per creare un ambiente di condivisone e, semplicemente, per stare assieme. Poi, da un anno, questo gruppo ha deciso di creare un incontro di Arte Migrante fisso, con una data, un orario e un luogo prestabilito. Abbiamo trovato un oratorio disponibile in via Ormea e abbiamo deciso che un venerdì sì e uno no ci saremmo incontrati.
All’inizio eravamo una cinquantina di persone, perché già il gruppo che aveva incominciato a trovarsi in via Nizza era numeroso. Quindi era ancora più facile far sì che il gruppo diventasse più grande. Adesso arriviamo a duecento persone a serata. Nel gruppo Facebook s101iamo più di mille, quindi i duecento non sono sempre gli stessi ma c’è un grande ricambio.
Arte Migrante ora ha un luogo fisso ma quest’estate ci siamo spostati dappertutto in Torino. Abbiamo girato ovunque, da Lingotto al Valentino fino in centro. Ha viaggiato e si è spostato da via Ormea per cercare altri posti in cui ce n’era bisogno. La gente spesso ci invitava nei propri quartieri e noi ci andavamo per far vedere che cos’è arte migrante, per stare tutti insieme. Questo ha aiutato a coinvolgere tantissima gente, ed è una cosa che a Cuneo già stiamo per fare. Il primo incontro l’abbiamo fatto al Donatello ma adesso stiamo pensando di spostarci. Il secondo incontro infatti sarà al San Paolo.
Nel primo salone troneggia una tavola imbandita di cibo: da una parte il salato e dall’altra il dolce. Al centro, nell’angolo che formano due tavolini attaccati, le bibite. Affidiamo la nostra quiche nelle mani degli organizzatori e proseguiamo verso la seconda sala.
Non c’è ancora molta gente. Salutiamo qua e là, ci presentiamo. Al centro della stanza, un gruppo di strumenti cattura la nostra attenzione: cajon, jambè, percussioni, chitarre. La serata inizia a prendere forma.
Mentre le persone continuano ad arrivare, alcuni di noi colorano lo striscione con la scritta “Arte Migrante” con tempere e pennelli.
Quando arriva il gruppo di Torino, la serata può incominciare.
Ci raccogliamo in un cerchio ed occupiamo tutto il salone. Al centro, come protetti, gli strumenti musicali ci osservano.
Scopro più avanti, parlando con gli organizzatori, che il momento del cerchio è un momento fondamentale. È lì che ci si conosce, è lì che ci si guarda tutti in faccia per la prima volta. Quella sera ognuno deve gridare il proprio nome e dar vita a un ritmo con mani, piedi, voce, in qualsiasi modo gli venga in mente. Si crea così una specie di armonia musicale di ritmi diversi. Quando tocca agli ultimi quasi non ci si sente più. È un caos ordinato in cui ognuno ha modo di presentarsi agli altri.
Finite le presentazioni, si torna nel primo salone e si mangia cena. Il cibo viene preparato e portato dai partecipanti per poi essere condiviso con tutti gli altri.
Il momento della cena è quello in cui si fa conoscenza, il clima è positivo e propositivo. I partecipanti sono italiani e non, cuneesi di origine cuneese e cuneesi di origine africana o mediorientale. Ci si conosce, si parlano lingue diverse, inglese, arabo, italiano. In quel momento ci si scopre e ci si riconosce tutti simili. E lo sottolineo perché in realtà non è così scontato. L’integrazione, che poi è l’obiettivo ultimo di Arte Migrante, prevede la conoscenza. E mi stupisce il fatto di non sapere, ad esempio, che cosa fanno il venerdì o il sabato sera i miei coetanei marocchini o egiziani a Cuneo. Invece quella sera eravamo tutti lì, facevamo la stessa cosa, avevamo voglia di scoprirci.
Mi trovo in difficoltà nell’esprimere l’atmosfera che si è creata perché sarebbero parole molto banali. Ma c’era un grande desiderio di incontro vero. Probabilmente perché non si hanno altri spazi in cui poterlo fare.
Solitamente siamo abituati a incontrare le persone che stanno ai margini della società soprattutto nelle istituzioni: a scuola o allo sportello del volontariato. Invece, quello che si vuole creare con Arte Migrante è uno spazio in cui le persone si possono incontrare senza filtri.
La seconda parte della serata si svolge nel salone degli strumenti musicali. Formiamo nuovamente un cerchio, ma questa volta ci sediamo sulle sedie o su alcune coperte stese per terra. È il momento in cui l’arte prende il sopravvento. Durante la cena, un paio di ragazzi passavano tra i presenti con un foglio di carta chiedendo chi voleva prenotare un momento in cui manifestare la propria arte.
E così quel momento arriva. Molti ragazzi africani si esibiscono in pezzi rap in qualche dialetto arabo. Le donne africane presenti, la maggior parte di loro proveniente dalla Nigeria, danza sulle note di canzoni in lingue mai sentite prima. Alcuni leggono delle poesie o dei pezzi di romanzi. Una ragazza legge un pezzo tratto da un libro di Harry Potter. Un ragazzo recita un pezzo di teatro. Poi, un canto piemontese si spande nell’aria. Infine, la serata si chiude con un’esibizione di jambè e percussioni di un gruppo di ragazzi che vive in un centro di accoglienza a Festiona: si fanno chiamare “I Valle Stura”. Ci si butta tutti in mezzo e si balla cercando di tenere quei ritmi così africani, così vivi.
La serata termina intorno alle 23. Ci salutiamo dandoci appuntamento al 23 dicembre e poi all’ultimo venerdì del mese a partire da gennaio.
Un grande punto di forza di Arte Migrante è proprio la sua contagiosità.
A Torino si sta espandendo in mille altre iniziative. Ad esempio, da Arte Migrante è nato un gruppo di teatranti amatoriali che si ritrovano e preparano dei pezzi da recitare durante la serata. Si è formato anche un gruppo di cantanti. Sono nati anche i pomeriggi migranti, grazie a un suggerimento sulla bacheca migrante. Nelle serate in via Ormea c’è infatti una bacheca con due colonne: CERCO e OFFRO. Ognuno può scriverci e lasciare un proprio contatto. Così si fa rete. Molti ragazzi hanno espresso la necessità di incontrarsi anche in momenti diversi dalla serata del venerdì. Così sono nati i pomeriggi migranti, in cui ci si trova a casa di qualcuno di noi, si parla italiano, si gioca, si beve un tè in compagnia. L’idea che c’è dietro è quella di aprire le case e incontrarsi nell’informalità e nella vita di tutti i giorni.
Questo percorso è appena iniziato a Cuneo ma è assolutamente promettente. Molte associazioni presenti nel territorio si sono rese disponibili nell’organizzare la serata. Un’idea per il futuro è quella di organizzare degli incontri di Arte Migrante in tutta la Provincia Granda. Un passo alla volta, ma con grande entusiasmo.
Concludo con le stesse parole con cui si è conclusa la mia chiacchierata con Giorgia e Ayoub, due degli organizzatori della prima serata di Arte Migrante a Cuneo:
Chiunque creda che sia essenziale per una comunità avere degli spazi liberi di espressione e ha voglia di spendersi per crearli è il benvenuto perché Arte Migrante è proprio uno di questi spazi.
Per rimanere aggiornati sui prossimi eventi, cercate su Facebook il gruppo “Arte Migrante Cuneo”.
Alla vigilia delle elezioni comunali, la mattina del 7 giugno i candidati sindaco hanno preso parte ad un dibattito davanti agli elettori dei Licei Classico, Scientifico e Magistrale di Cuneo.
Su invito dei rappresentanti d’istituto del “Pellico – Peano” i sette aspiranti sindaco si sono riuniti nel Centro Incontri della Provincia e, dopo essersi presentati brevemente, hanno risposto alle domande che i ragazzi avevano preparato.
Presentazione dei candidati
A rompere il ghiaccio è stata Maria Luisa Martello, ex preside, a capo di 3 liste civiche di cui una composta interamente da giovani sotto i trent’anni. Il suo programma si basa su una visione alternativa che guarda verso l’Europa e che si definisce progressista, inclusiva rispetto alle nuove realtà emergenti e aperta al dialogo.
È seguita la presentazione di Giuseppe Lauria, consigliere comunale da diversi anni. Per queste elezioni si presenta non più come esponente di destra, ma con tre liste civiche. Sostiene la necessità di un cambiamento rispetto alla precedente amministrazione, di cui non condivide la gestione dei fondi.
Il terzo candidato a presentarsi è stato Federico Borgna, appoggiato da cinque liste, tra cui due appartenenti al PD e ai moderati. Il sindaco uscente ha detto di riconoscersi in tre valori portanti: la libertà, eredità della resistenza partigiana, la solidarietà, che in questi anni ha cercato di rispettare evitando di tagliare fondi al sociale e il lavoro, creato attraverso la riqualificazione di Cuneo.
Per il M5S si candida Manuele Isoardi, con una lista composta da 23 persone. In una realtà in cui molti dipendenti perdono il lavoro, Isoardi sostiene la necessità di non lasciare nessuno indietro, di creare lavoro, attraverso l’efficientamentamento energetico e un programma per ridurre al minimo i rifiuti.
Isoardi è stato seguito dall’esponente di Casapound, Fabio Corbeddu. Il movimento, arrivato a Cuneo sei anni fa, si presenta con un programma che prevede un trattamento prioritario per gli italiani in qualsiasi genere di graduatoria e si propone di creare lavoro e valorizzare non solo Cuneo ma anche le frazioni.
Per la lista “Cuneo per i beni comuni” si presenta, invece, Nello Fierro, in politica da una decina di anni. Intende continuare il percorso di opposizione a Borgna iniziato da Garelli, ponendosi come obbiettivo quello di dar voce a chi finora non è stato preso in considerazione e ai giovani, traendo spunto dall’aiuto di tutti.
Infine si è presentato Giuseppe Menardi, già sindaco in passato. Si oppone all’amministrazione uscente, che, secondo il candidato ha preteso di mettere d’accordo tutti, senza considerare le caratteristiche principali della politica: il confronto e il dibattito. Se eletto, intenderà, quindi, interloquire con tutti, ma prendersi la responsabilità di decidere.
Question time
Dopo la presentazione i candidati hanno risposto a due domande ciascuno, estratte a sorte, nei tre minuti stabiliti per ogni intervento.
È stata affrontata la tematica dell’immigrazione, riguardo a cui la Martello si è detta intenzionata ad agire all’insegna dell’accoglienza, per creare una città multietnica, ma nel rispetto delle norme. Fabio Corbeddu, invece, ha dichiarato di essere contrario a questa retorica del fatalismo e di voler fermare l’arrivo degli immigrati.
Si è parlato molto di occupazione giovanile e i candidati hanno avanzato diverse proposte: Lauria intende risolvere questa problematica «dando le gambe» ai progetti dei giovani, sostenendoli nelle loro iniziative, mentre Isoardi si propone di far ripartire la piccola impresa e di creare occupazione attraverso un ripensamento dell’attuale modo in cui consumiamo. La soluzione che indica invece Borgna è quella di creare nuovi posti di lavoro rilanciando la città, attirando turismo e rendendo competitiva Cuneo dal punto di vista della nuova economia dematerializzata.
Parlando di futuro per i giovani non poteva mancare uno scambio di opinioni sul tema delle università. Nello Fierro ha sostenuto la necessità di creare offerte culturali anche all’esterno delle università cuneesi, e di potenziare quest’ultime, che sono ormai centri di alta qualità, attraverso dei progetti di ricerca.
In un clima da ultimi giorni di campagna elettorale, tra battute provocatorie e repliche tempestive, si è comunque creato un confronto stimolante. Seduti dietro al tavolo della Provincia, i sette candidati sindaco hanno dato prova di desiderare, al di là del credo politico, un dialogo e un contributo da parte anche dei giovani e di rispondere alle loro questioni con serietà.