“Da questa parte del mare” di Gianmaria Testa

TESTA, Da questa parte del mare, Einaudi, Torino 2016, pp. 102, € 12,00.

 

 A dieci anni dall’uscita del disco omonimo, ha visto la luce il «piccolo e intensissimo libro» di Gianmaria Testa, che fa precedere al testo di molte delle sue canzoni un racconto di natura autobiografica o una rapida riflessione scaturente dai ricordi e dalla ricerca di una vita. Ne nasce una «multibiografia di persone e di luoghi», come si può leggere nella breve quanto commossa introduzione dell’amico Erri De Luca. Soggetto del libro è la nostalgia che abita le migrazioni umane, quel «non dicibile» che è «la quota di umanità che tutti abbiamo in comune».

Da questa parte del mare è stato pubblicato nell’aprile del 2016, a meno di un mese dalla morte del cantautore-scrittore.

 

Ricorda la mia storia, di’ il mio nome

Ci sono Rrock Jakaj, Tinochika detto Tino, Babasunde (ma tutti lo chiamano Abdul, o Abdel). C’è Paola, moglie di Gianmaria, e poi Luigi, Matteo, Nicola: i suoi bambini. C’è Jean-Claude Izzo. Ci sono Erri de Luca, Fabrizio de Andrè, a braccetto con Beppe Fenoglio e Pellizza da Volpedo. E poi c’è un Gianmaria bambino, a fianco alla mamma sulle strade di Torino, o accanto al papà tra i solchi della terra.

Tutti meritano un tassello del libro, che sembra essere stata pensato per non lasciar scappare le loro storie, i loro nomi, «perché un nome è perduto per sempre, se nessuno lo chiama».

 

«Forse qualcuno domani dimenticherà

alla porta di casa il suo nome dimenticherà

perduto alla notte e perduto anche al giorno che arriva

perduto alla notte e al giorno che passa e consuma

perché un nome è perduto per sempre, se nessuno lo chiama.»

 

Se tu mi aspetti

Spesso, della vita degli uomini che ha incontrato, Gianmaria ricorda principalmente il punto in cui questa si è incagliata.È il territorio del non più e non ancora, di uomini che non hanno nessuno che li attenda, né nel luogo di partenza, né in quello di arrivo. È il territorio in cui le storie si fanno labili, sfilacciate, fumose come il ricordo.

 

«Ho viaggiato molto grazie alla musica, sono stato in paesi che mai avrei visto, ma è sempre stato il viaggiare privilegiato di chi è consapevole di essere atteso.»

 

Questo mondo è il mio

Uno degli elementi di indubbia forza del libro risiede nel sentimento di nostalgia che riesce a scatenare nel lettore nostrano: le origini contadine di Gianmaria fanno da sfondo a molti dei brevi capitoli che compongono la raccolta, e sono queste a dare implicitamente profondità alle vicende di uomini con nostalgie diverse dalle sue, ma ugualmente irrisolvibili.

Il lettore si sente a casa tra i canti in piemontese, le strade cuneesi, i seminatori di grano. E, anche se non sa perché, sente che questi assomigliano in qualche modo agli altri uomini che arrivano da lontano.

Forse anche per questo – per questo far sentire più che direDa questa parte del mare si conserva intatto dalla retorica o dal “già sentito”.

 

«Sono arrivati che faceva giorno

uomini e donne all’altipiano

col passo lento, silenzioso, accorto

dei seminatori di grano.»

 

 

Gianmaria Testa, nato nel 1958 a Cavallermaggiore, ha esordito come cantautore ottenendo il primo posto al Festival di Recanati del 1993; da quel momento ha realizzato nove dischi ed è divenuto celebre in tutta Europa, ove i manifesti dei suoi concerti sono stati spesso più celebri ancora che in Italia.

Come scrittore ha pubblicato per Gallucci Editore Ninna nanna dei sogni (2012), Ventimila leghe in fondo al mare (2013), Biancaluna (2014) e Il sentiero delle filastrocche (2015).

“L’arca” di Ester Armanino

E. ARMANINO, L’arca, Einaudi, Torino 2016, pp. 166, € 17,00.

Trama. Nadia è malata e ricoverata in una clinica chiamata Arca; suo marito Mario, sua sorella Teresa e suo cognato Alberto le ruotano attorno con le loro vite, in vari modi intrecciate alla sua; fuori la pioggia non smette di cadere per mesi, e Pietro, figlio seenne di Nadia e Mario, crede di star vivendo insieme ai genitori nell’Arca per antonomasia, quella di Noè, durante il Diluvio Universale.

Sorellanza, figliolanza e altre questioni familiari

Teresa è una sorella maggiore organizzata e attenta, ama il suo lavoro di infermiera nella clinica che si chiama Arca, ha due figli e un marito. Lei somiglia ad Ismene, Nadia è Antigone.

Tra loro si erge un segreto, un non-detto, uno spazio a cui il romanzo a poco a poco restituirà i colori.

Pietro ha sei anni, un pupazzo a forma di drago a cui manca un occhio, un amico coraggioso di nome Matteo e un barattolo dei pensieri, nel quale intrappola i più belli. Il barattolo è stata un’idea di sua mamma, che di lavoro fa l’artista giocando con il proprio corpo nello spazio.

Ora Pietro abbraccia quel corpo, appuntito e emaciato, che lentamente scivola via.

«Ma ora non ho paura ad esserti compagna nella tempesta… Sorella, non negarmi il privilegio di morire insieme a te.»

 

Il nome delle cose

C’è un anziano signore che abita la camera al fondo del corridoio: si chiama Giorgio, ma per Pietro è Noè.

Una notte, dal tetto dell’ospedale, Pietro e Noè guardano le stelle e danno a ciascuna il giusto nome perché «se le cose non le chiami per nome, non ti apparterranno mai».

Il romanzo, apparentemente dominato da nomi mancanti, caduti, sbagliati, ci instilla un dubbio: quale realtà è più vera, quella dei nomi giusti o quella ribattezza da Pietro?

Qualunque sia il nome vero delle cose, conoscerlo significa poterle incontrare davvero, poterle anche amare.

«[…] E sono qui perché quest’uomo conosce il mio nome.»

 

La vita che trema

La vita di Nadia, Mario, Teresa, Alberto e Pietro è colta nel suo vibrare nel profondo delle cose.

Il romanzo è la storia di uomini e donne tremanti sotto gli abiti, sotto la pelle, ancora più giù della carne; tremanti perché il dolore, la malattia, la paura e il coraggio fanno delle loro esistenze qualcosa di pronto a scatenarsi come un temporale sospeso per un filo al cielo.

Tutto resta, però, meravigliosamente sollevato, il romanzo sembra scritto sottovoce, le emozioni e le passioni lo percorrono col passo felpato di chi è al cospetto di un malato.

«Il cane è lì che la fissa e trema come quando aveva tre mesi e lei l’aveva trovato in quel campeggio. Trema come Nadia intrappolata sotto la giacca, come tutta quell’acqua sospesa lassù, l’attimo prima che cada.»

 

 

Ester Armanino ha 35 anni e vive a Genova, dove esercita la professione di architetto. Ha esordito nel 2011 con Einaudi, con il romanzo Storia naturale di una famiglia, vincendo il Premio Edoardo Kihlgren Opera Prima, il premo Viadana Giovani, il Premio Zocca e il Premio per la Cultura Mediterranea – sezione Narrativa giovani. Collabora con «La stampa» e pubblica racconti su antologie e riviste.

 

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