20 Ottobre 2019 | Music Pills
Molti conoscono Richard Benson come un chitarrista pessimo, un personaggio fastidiosamente arrogante e sempre pronto ad urlare incazzato come un orango in gabbia. Effettivamente, dall’analisi superficiale del comportamento di Benson questi elementi appaiono inconfutabili e non si può altrettanto negare che il suo successo nel web abbia posto le sue radici proprio nel suo modo grottesco di fare spettacolo. Quindi, se Richard Benson è in sostanza un fenomeno da baraccone, cosa dovrebbe spingerci a parlare nuovamente di lui?
In un pomeriggio di cazzeggio di fine estate l’algoritmo di Youtube fece apparire un video del buon Benson, precisamente uno spezzone del suo tutorial per chitarra elettrica girato per una distribuzione VHS della fine degli anni 90. Il video in sé non era una novità per me e come di consueto cominciai a scrollare i video correlati alla ricerca di qualcos’altro da guardare. Dopo qualche minuto di ricerca, sobbalzato tra un video e un altro, mi apparve una monografia bensoniana di più di mezz’ora, che scopro successivamente essere solo la prima di cinque parti. La sua visione completa mi ha introdotto a un Richard Benson sorprendentemente eclettico incoraggiandomi a rispolverare più particolari della sua storia. Per darvi una vaga idea del contenuto della monografia senza annoiare eccessivamente, ve ne fornisco uno stringente riassunto:
Richard Benson nasce da una famiglia di origini britanniche e sviluppa fin da ragazzino una passione sconfinata per la musica. Celebre è l’episodio in cui narra la scoperta dei Beatles a casa di una compagna di scuola, momento da lui considerato la genesi del suo amore illimitato per la musica rock. La gioventù di Richard si muove tra band e locali della scena romana anni ’70 (come Il Buon Vecchio Charlie) fino agli anni’80, decennio in cui gode di fama e partecipazioni a film e trasmissioni tv locali (l’immagine di copertina è tratta da una sequenza di Maledetto il giorno che t’ho incontrato di Carlo Verdone in cui interpreta il conduttore di Jukebox all’idrogeno, un’immaginaria trasmissione musicale). Tuttavia, gli anni ‘90 aprono la rovinosa caduta di Benson sia a livello personale (culminata con il tentativo di suicidio nel 2000) sia a livello di performance live, dove la percezione del pubblico si concede sempre di più ad un’ottica trash e denigratoria. Negli ultimi anni Venti grazie ad internet Benson allarga nuovamente il suo bacino di utenza amplificando tuttavia anche la sua fama di cantautore trash.
La parabola di Richard Benson, oltre a essere una storia affascinante, è esemplare sotto molti aspetti, per anni rimasti oscurati dalla percezione di Benson su internet. Nonostante i suoi crescenti disagi personali, Benson ha continuato negli anni a dedicarsi alla sua missione di vita: fare e divulgare musica. La sua straordinaria passione era già evidente negli anni d’oro della sua carriera attraverso la sua carriera didattica in quel di Roma e trasmissioni tv quali Ottava Nota in cui, con un linguaggio per l’epoca tecnico e avanzato, introduceva i suoi ascoltatori alle novità musicali internazionali e nostrane. La sua passione non smise di brillare nemmeno dopo la metamorfosi degli anni ‘90 in cui Richard cambiò sensibilmente il suo modo di fare spettacolo. Tutto ciò fu dovuto solo in parte a scelte personali dell’artista: i malori fisici (artrosi, alopecia) e psicologici (depressione) portarono a un suo generale deperimento. Nel giro di poco tempo non riuscì più a mantenere il personaggio bizzarro, ma comunque rispettabile, costruitosi negli anni precedenti e fu costretto a riplasmarlo secondo i canoni di una nuova e crescente moda: il trash. Fare schifo diventò rapidamente un imperativo per Benson e in alcune esibizioni arrivò anche a farsi lanciare cibo e oggetti addosso. Ancora non è chiaro quanto Richard abbia accettato consapevolmente la sua metamorfosi ed al momento risulta difficile avere conferme dallo stesso a causa del peggioramento del suo stato di salute mentale.
Un altro aspetto che rende Benson immortale e unico nel suo genere è il sempre vago confine tra persona e personaggio. Accusato di raccontare montagne di frottole, nel corso degli anni – proprio grazie allo stesso internet responsabile del suo massacro – sono emerse testimonianze che affermano quanto lui raccontò in interviste e trasmissioni (la sua origine britannica, le sue svariate donne e altri aneddoti sparsi). Nonostante qualche certezza in più, è ancora difficile definire un netto confine. Richard Benson è un uomo dotato di una sensibilità artistica fin troppo rara in Italia e nel suo scimmiottare la cultura rock lascia sempre una genuina scia di verità. Benson è un Andy Kaufman nostrano prestato al mondo della musica e simbolo di una controcultura il cui aspetto viene deriso poiché troppo difficile da accettare e comprendere. Capire Benson richiede infatti un enorme sforzo empatico con cui poche persone provano a confrontarsi, spaventate dalla loro mancanza di mezzi per farlo. Ed ecco che inevitabilmente si cede allo sfottò e al riso, le uniche meschine armi a nostra disposizione per difenderci dall’ignoranza dei sentimenti. La grande frode comica di Benson è un tesoro che è stato a lungo abbandonato a sé stesso e trafugato ripetutamente da chi non sapeva riconoscerne il valore. Se al medesimo destino dovessero essere lasciate anche altre sincere espressioni d’arte, come diceva il buon Richard, dovresti spaventarti.
24 Giugno 2019 | Music Pills
In un’estate segnata da repentini e spassosi cambi meteorologici, la vita di tutti i giorni non ci fa mancare gli ingredienti fondamentali per annoiarsi fino alla follia: il caldo, la città deserta, un pizzico di pigrizia e ancora il caldo. Come edulcorare questa squisita ricetta di mal di vivere se non con tonnellate di video su Youtube?
Musicalmente parlando, la quantità e l’eterogeneità dei contenuti su Youtube non è ancora paragonabile a nessun’altra piattaforma. Nel corso degli anni uno dei tanti elementi che han lentamente plasmato i miei indecifrabili gusti da music nerd è la qualità spaventosa di alcuni canali italiani e stranieri. Uno dopo l’altro, sono stati buone occasioni per apprendere cosa significa davvero avere talento.
Oggi, con questa ennesima lista, vi lascio una possibilità di dare una sferzata di musica e originalità ai vostri innumerevoli momenti di cazzeggio. Signore e signori, ecco quindi per voi una selezione di canali Youtube tra i miei preferiti in assoluto, accompagnata da alcune valide ragioni per cui potrebbe aver senso spenderci sopra qualche minuto delle vostre infinite giornate buche.
Come sempre, buona visione e buon ascolto.
Me and the boys (i ragazzi-meme)
Rob Scallon: questo ragazzo statunitense incarna la definizione di talento musicale alla perfezione. La sua dimestichezza con qualsiasi strumento e una sincera dose di ironia lo rendono un intrattenitore senza eguali.
Jared Dines: Altro ragazzo statunitense e polistrumentista. Dal background fortemente heavy metal e metalcore, Jared propone contenuti che spaziano dalle parodie dei cliché della scena metal a dettagliate descrizioni delle sue esperienze dal vivo. La sua allegra faccia da deficiente completa il tutto, in uno show sempre spassoso.
Davie504: questa volta ci spostiamo in Italia, dove troviamo il misterioso e ammiccante Davie504. Il canale interamente in lingua inglese si presenta come un gigantesco meme sul mondo del basso elettrico. Il suo notevole senso dell’umorismo è accompagnato da una sorprendente tecnica con lo strumento.
Kmac2021: proprio come i protagonisti di Trainspotting, questo grassoccio ragazzo scozzese sembra sempre annoiarsi parecchio e a forza di colmare le sue giornate con i meme, è finito per trasformarsi lui stesso in un meme. La sua tecnica tutto sommato mediocre rispetto ai suoi colleghi viene compensata da un impareggiabile talento comico.
Cover, ma di buon gusto
Un consiglio: per favore, dimenticatevi delle irritanti cover-girls con l’ukulele in cerca di attenzioni. Date spazio a chi lo merita davvero.
Anne Reburn: splendida ragazza statunitense dalle incredibili doti canore. No, non è l’annuncio di un sito porno, ma la schietta descrizione di una persona di grande e inconfutabile talento. La teatralità, le armonizzazioni vocali e l’ottimo gusto di Anne vi conquisteranno dalla prima visualizzazione.
Josh Turner: questo ragazzo si può definire con tranquillità un musicista di altri tempi. Estremamente professionale e preparato, propone cover di ottimo gusto interamente riarrangiate da lui o dai suoi amici-collaboratori.
Acoustic Trench: i suoi video sono tra i più freebootati di sempre su Instagram. Probabilmente, in qualche angolo recondito della vostra memoria è presente l’immagine di un cane che suona con il suo padrone. Ecco, si tratta proprio di quel duo scoppiettante. Tuttavia, aldilà di queste cosucce simpatiche, i video più belli di questo canale nascondono una malinconica vena di romanticismo.
Per imparare qualcosa (ogni tanto)
Suonare la batteria: Portato avanti da quello che ritengo un ottimo didatta italiano (Corrado Bertonazzi), questo canale offre gratuitamente spunti base per apprendimento della batteria insieme a video in cui illustra i tratti più peculiari dei batteristi più famosi.
Claudio Cicolin: Tra le centinaia di canali per imparare a suonare la chitarra, quello di Claudio Cicolin si è dimostrato finora il migliore. Le spiegazioni semplici ed esaustive di concetti teorico-pratici, cover e lezioni di storia della chitarra lo rendono il perfetto didatta virtuale.
30 Maggio 2019 | Music Pills
Per tipi tendenzialmente solitari come il sottoscritto, la musica è una manna dal cielo, qualcosa di irrinunciabile a qualsiasi ora della giornata. Tuttavia, tra i vari momenti di placido eccitamento si distingue sempre un apice in cui la pace con sé stessi si mostra più nitida per un istante. Personalmente vivo con ricorrenza quella sensazione nell’ebrezza della guida in tarda notte. Che siano i banali tragitti Boves – Cuneo (che caratterizzano la quasi totalità dei miei spostamenti in auto) o viaggi più intensi e duraturi, la musica in macchina a notte fonda è un must irrinunciabile per chi come me non sopporta la severità del silenzio. Intrappolato nella dicotomia tra necessità di solitudine e assuefazione da compagnia, ho stilato la classifica dei miei 10 personali album da erranti animali notturni, da ascoltare con uno scrauso stereo della macchina in un’anonima e deserta strada provinciale.
Come sempre, buon ascolto.
- Fast Animals and Slow Kids – Animali notturni: l’ultima uscita dei Fast Animals and Slow kids è stata concepita dagli autori stessi come un disco da mettere in auto durante la notte. Sebbene segni una separazione dai loro precedenti lavori, non lo si può considerare un disco non riuscito: ampi arpeggi di chitarra e testi d’amore fanno emergere un piacevole (e fortunatamente non ancora stucchevole) romanticismo.
Momento saliente: Radio radio
- Mac DeMarco – Here comes the cowboy: l’ultima uscita del paladino dell’indie rock è un disco scarno e meno ambizioso del precedente This old dog, ma comunque decisamente degno di nota. Qui Mac mette sotto i riflettori le sue ultime preoccupazioni quali lo stress, la solitudine e un sacco di altre cose spassose. È certo che vi terrà in ottima compagnia .
Momento saliente: Preoccupied
- Pink Floyd – Dark side of the moon: aldilà del successo commerciale e di tutte le storie che lo contraddistinguono, questo disco è forse la cosa più vicina al trapasso che si possa sperimentare. In macchina si manifesta in pura magia, connettendoti al mondo con sensazioni quasi lisergiche.
Momento saliente: The great gig in the sky
- Bruce Springsteen – Born in the usa: tra i dischi meglio riusciti di Bruce, contiene i suoni tra i più belli della storia del rock. Insomma, questo disco è il bello della vita che si manifesta e accompagnerà le vostre nottate in macchina tra momenti di esaltazione e di pura introspezione.
Momento saliente: I’m on fire
- Fast Animals and Slow Kids – Alaska: senza dubbio il disco più interessante della band di Perugia. Trasmette fin dall’inizio un’intensa angoscia per il futuro accompagnata da tentativi di ribellione a quello che pare il triste destino della nostra generazione. Se siete dei perdenti cronici come il sottoscritto, non potrete che apprezzarlo durante i vostri tragitti e farlo diventare uno dei vostri dischi preferiti.
Momento saliente: Il vincente
- Bruce Springsteen – Nebraska: non è facile descrivere la potenza di questo disco, specialmente se scaturisce da una voce, una chitarra e pochi altri strumenti. Il capolavoro probabilmente sta proprio in questo: trasmettere la solitudine in maniera sincera e tangibile interrompendo il silenzio con pittoresche immagini di vita quotidiana.
Momento saliente: Nebraska
- Milky Chance – Sadnecessary: nota tristemente al grande pubblico solo per un singolo radiofonico, questa band tedesca ci ha lasciato un disco d’esordio di rara originalità. Connubio perfetto tra melodie folk e beat elettronici, vi avvolgerà come un timido falò estivo nel buio gelido delle vostre riflessioni.
Momento saliente: Running
- Queen – The platinum collection: sulle capacità tecniche e artistiche dei Queen non c’è nulla che ancora non sappiate. Questa raccolta di tre dischi con i migliori brani della loro carriera smuove le corde giuste per cantare a squarciagola a improbabili ore della notte. Un modo dignitoso di utilizzare le vostre ultime energie.
Momento saliente: sono tutti momenti salienti, ma per quest’occasione Don’t stop me now
- MGMT – Oracular Spectacular: questo è un disco da ascoltare possibilmente in una tarda notte d’estate dopo aver fatto festa con i propri amici. La nostalgia vi tirerà un incredibile ceffone facendo riemergere i momenti felici in cui avete masticato involontariamente queste melodie. Nonostante i richiami al passato, le atmosfere psichedeliche conferiscono comunque un tono sufficientemente adulto a questa piccola perla.
Momento saliente: Kids
- I Cani – Il sorprendente album d’esordio dei Cani: tra i pionieri della scena indie italiana, questo disco è una piccola gemma. Dimenticatevi della schiera di smidollati e irritanti finti alternativi e lasciatevi trascinare da ballabili melodie punk e dalla voce di Niccolò Contessa, attento osservatore e narratore della scialba quotidianità moderna
Momento saliente: Le coppie
Ascolta la playlist:
20 Aprile 2019 | Music Pills
Oggi parliamo di cinema, ma non di quello impegnato e tecnicamente ineccepibile. Escludendo la sfilza di cinecomics degli ultimi anni e i cinepanettoni, il cerchio si restringe sul catalogo degli originali Netflix. Tuttavia, questa volta incredibilmente si tratta di un prodotto che nonostante i suoi limiti riesce a sorprendere. Il film in questione è The Dirt (2019), disponibile in lingua originale sottotitolato in italiano.
The Dirt è la storia dei Mötley Crüe, una delle band hair metal di punta di quei favolosi ed esageratissimi anni ‘80. Proprio questi due aggettivi ben riassumono la natura della band, dedita ad eccessi sfrenatissimi, a tratti quasi surreali. Il film si ispira all’omonima biografia della band e ne riprende i principali avvenimenti, aggiungendo un pizzico di finzione necessaria alla sceneggiatura: citiamo, ad esempio, la divertentissima idea della rottura della quarta parete per aggiungere velocemente dettagli del film difficilmente, o addirittura non, rappresentabili.
Il film riprende in un certo senso le intenzioni e la struttura di Bohemian Rapsody, biopic sui Queen uscito nelle sale lo scorso 29 novembre, regalandoci tuttavia un’esperienza maggiormente genuina e priva di molti filtri. Qui la band viene presentata in maniera piuttosto fedele alla realtà, nei pregi e nei difetti di ciascuno dei membri grazie anche alla discreta bravura del cast, tra cui spiccano Iwan Rheon e Machine Gun Kelly. Mentre Bohemian Rapsody ha voluto proteggere l’immaginario collettivo di Freddie Mercury evitando di esporre eccessivamente dettagli della sua vita privata, The Dirt mostra con fierezza la quotidianità dei Mötley Crüe composta essenzialmente di alcol, cocaina, sesso non protetto e scarsa empatia verso il prossimo.
Nonostante lo stile di vita farcito di comportamenti condannati dal pensiero comune, i protagonisti riescono comunque a suscitare sufficiente empatia al punto di farci invidiare la loro immensa libertà d’azione, non sempre priva di conseguenze. L’immagine della band si completa nel look androgino e sfrenatissimo, fatto di quintali di trucco, capelli cotonati e pantaloni di pelle attillati, tutti elementi che ancora oggi riescono a destare egregiamente scompiglio.
Sebbene i Mötley Crüe siano noti primariamente per i lori eccessi, bisogna riconoscere loro anche la discreta impronta che han lasciato nella musica di quegli anni. La band infatti ha collezionato la bellezza di 25 dischi di platino e altrettanti dischi d’oro. Il successo deriva sostanzialmente da una serie di fattori concomitanti favorevoli, come il groove preciso e potente di Tommy Lee, i riff robusti di Mick Mars, la voce di Vince Neil, che ricorda a prima vista un primo David Lee Roth, e la direzione artistica di Nikki Sixx. Insomma, possiamo dire che ognuno avesse qualcosa da mostrare.
La musica dei Mötley Crüe non aveva nessuna velleità di dimostrare una presunta superiorità artistica. Lo scopo era quello di colpire la pancia dello spettatore offrendo contenuti che esaltassero tutto ciò che la vita reale normalmente non può offrire. Talvolta gli eccessi raggiunsero più volte anche gli spettacoli sul palco: dalle bottiglie di Jack Daniel’s sgolate in pochi secondi alla famosissima performance di Tommy Lee chiuso in una gabbia a suonare un assolo di batteria a testa in giù, opportunamente assicurato, ovviamente.
Le cose andarono a gonfie vele per una decina d’anni, ma verso l’inizio degli anni novanta i Mötley Crüe, come tutta la scena hair metal del resto, furono travolti dall’impetuosa onda del grunge. La rivolta sfarzosa ed esagerata del metal fu rapidamente sostituita dal nichilismo e dal minimalismo stilistico del grunge e per tutte le band del panorama hair metal ci fu poco da fare. I Mötley Crüe cominciarono così il loro lento declino discografico. The Dirt non dimentica di mostrare anche questo aspetto, regalando esaltanti momenti musicali come non si vedevano dall’uscita di “Tenacious D e il plettro del destino”, di cui presto parleremo. Se per alcune scene non ricordasse la schiettezza visiva di Trainspotting, consiglierei la visione di The Dirt a qualunque ragazzino che si chieda cosa sia stata la musica rock e metal negli anni ‘80. Sia mai che a qualcuno torni voglia di imbracciare una chitarra e fingersi invincibile nella propria cameretta con lo stereo a palla.
29 Marzo 2019 | Music Pills
Eh sì, prima o poi doveva succedere. È giunto il momento per la nostra amata rubrica di parlare di qualcosa che ci scalda più dei gas serra in questi ultimi anni: le canzoni d’amore.
Le canzoni d’amore sono da sempre un pilastro del mercato musicale nazionale e nonostante la loro terribile banalità riescono sempre a spuntarla e a catturare l’attenzione delle nostre orecchie indifese. Dopotutto, la cosa non dovrebbe nemmeno sorprenderci. Che c’è di più banale dell’amore? Nulla probabilmente, ma è indubbio che ne siamo sempre completamente ossessionati e lo desideriamo in tutte le forme in cui si possa manifestare. La banalità dell’amore viene un certo senso mascherata dalla sua libertà di espressione (vera o presunta) e dalla sincerità con cui solitamente questo sentimento si manifesta. Nella musica questo è avvenuto molto raramente. La verità nei sentimenti amorosi è spesso edulcorata da enormi cliché narrativi, pronti a cullarci e a farci sentire compresi da qualcuno, sempre con lo stesso scopo: far percepire la nostra storia come qualcosa di straordinario e irripetibile. Ahimè, se è questo che state cercando, le canzoni d’amore non fanno al caso vostro (o almeno, non dovrebbero). Aldilà della propria identità, la storia si ripete sempre allo stesso modo, secondo uno schema di una prevedibilità sconcertante, tanto che sentiamo la necessità di renderlo speciale per nasconderci dalla sua scontatezza.
Nonostante tutto, nell’oceano immenso delle false sicurezze, vi sono sparse anche piccole gemme di originalità che trattano l’amore da prospettive realmente speciali o anche solo dimenticate. Ad esempio, posso citarvi un caso in cui l’amore in musica raggiunge un livello di raffinatezza ed elaborazione difficilmente eguagliabili. Sto parlando di Love of my life dei Queen. Qui, l’elogio alla propria amata sublima nella musica e nel canto di Mercury che mantengono magistralmente l’attenzione per tutta la sua durata del brano. Poco dirò sulla canzone poiché dopo anni e anni di recensioni sui Queen praticamente è rimasto nulla da raccontare. Come ogni opera dei Queen la canzone composta da Mercury deve la sua straordinarietà all’interpretazione di Mercury stesso e si manifesta come una delle inesauribili proiezioni del suo immenso talento.
Osservando l’amore da una visione completamente opposta troviamo invece Immanuel Casto, noto cantante di musica elettronica da sempre attivo per i diritti LGBT. Tra le sue svariate produzioni dai nomi sessualmente esilaranti, spicca il brano Alphabet of Love. Qui l’amore si fa carnale, buffo, esagerato ma estremamente attuale e reale. Come buona parte della musica di Casto, la risata è lo strumento fondamentale per abbattere l’invalicabile muro del pregiudizio e del perbenismo (come potrebbe dire ipoteticamente lui, distrutto “a colpi di dildo”).
Tuttavia, l’amore può essere ancora di più, inglobando tutto ciò che viaggia tra la feroce banalità e la magica casualità. Ce lo insegnano i Beatles, con il celebre brano All you need is love. Il titolo è già eloquente nello spiegare l’immenso potere dimenticato dell’amore, con un’accezione così ampia da risultare quasi religiosa. La semplicità del concetto si fa così folgorante che immaginarne tutte le manifestazioni pare impossibile. L’arrangiamento ricco di romanticismo e fiati completa una breve esperienza di orientamento verso la pace universale.
Insomma, le occasioni per combattere la piattezza politically correct dei singoli radiofonici certo non mancano e non mancheranno. Inoltre, mentre siete in attesa del nuovo messia dell’amore potete sempre gettarvi nella frustrazione e nell’odio quotidiano. Lì il mercato non ha mai conosciuto crisi ed è sempre ricco di succose (e merdose) sorprese.
24 Febbraio 2019 | Music Pills
Da poco più di una settimana è passata la festa di San Valentino e in un modo o nell’altro si è celebrato l’amore nelle sue molteplici forme. Tuttavia, dopo l’annuale e bulimica abbuffata d’amore si ricominciano a percepire nuovamente gli acidi conati del quotidiano che in modo subdolo ci consumano con lentezza. Svegliandoci un lunedì mattina, improvvisamente, quasi in modo Kafkiano, la nostra trasformazione è completa: siamo diventati delle farfalle che non gioiscono per la loro leggiadria, ma imprecano per la loro vita effimera. Per fortuna la musica ogni tanto si occupa anche della rabbia e di tutti i suoi surrogati aiutandoci a esorcizzare tutto ciò che ci fa sentire dei miserabili privi (o privati) di prospettive. Per l’occasione, ecco la mia personale top 10 di brani tracotanti di sentimenti da perdenti, di gocce che fanno traboccare il vaso e di schietto umorismo sulla vita.
Buon ascolto.
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La Macabra Moka – Radio fa
Cominciamo con un brano dei cuneesi La Macabra Moka. Le chitarre distorte, le dissonanze e una corposa base ritmica accompagnano le urla di Pietro (il cantante) in un amalgama vincente. La critica alla quotidianità culmina con uno sfogo sui singoli radiofonici ricchi di sentimenti perbenisti e poco genuini. Ideale per il lunedì mattina prima di andare al lavoro.
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Umberto Emo – Disco Infermo
In Disco infermo c’è tutto ciò che rappresenta una generazione di ragazzi incazzati già di partenza. L’arrangiamento si propone con sonorità che strizzano l’occhio ad un’allegra produzione pop creando un palpabile divario con il contenuto del testo ricco invece di imprecazioni e sfoghi personali. La produzione tragicomica degli Umberto Emo è qualcosa da conoscere sicuramente per sentirsi perdenti, ma meno soli.
- Bluvertigo – Iodio
Nel 1995 Morgan e i Bluvertigo scrivono un brano sulla pari possibilità di amare e odiare. Qui l’amore si presenta quotidianamente sotto mentite spoglie soffocando la rabbia che, per quanto negativa, è comunque necessaria al nostro equilibrio.
- Linea 77 – Inno all’odio
I Linea 77 in una fase ancora acerba della loro carriera ci regalano questa piccola perla. Inno all’odio è un brano che anticipa di una decina d’anni i temi che infestano la musica di oggi: la precarietà del futuro e la frustrazione di non essere sufficientemente adatti a reagire.
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Skiantos – Non ti sopporto più
Gli Skiantos sono i gran maestri del disgusto, i pesi massimi dell’ignoranza. Questo brano descrive senza fronzoli il momento in cui si sorpassa il limite della sopportazione e la nostra razionalità lascia le redini al caos.
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Verme – Va tutto malone
Pur con un solo album, i Verme hanno lasciato una traccia profonda nella musica underground italiana. Questo brano rappresenta forse al meglio la loro poetica: una lamentela verso chi ha sempre da sbuffare e trascina nei suoi problemi le persone più care.
- Black Flag – Nervous Breakdown
Questa canzone è l’esatta rappresentazione di quando uno perde le staffe e non ci vede più per un paio di minuti. Quando riapre gli occhi scopre che nella foga ha distrutto tutto ciò che lo circondava nel raggio di 10 metri e le imprecazioni hanno fulminato un paio di anziane signore per la strada.
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Descedents – Everything Sux
Il titolo è già eloquente e la rabbia anche qui sgorga come l’acqua da una sorgente in alta quota. Se siete credenti pregate di non incontrare mai il protagonista di questo pezzo: vi farebbe a brandelli.
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Fast Animals and Slow Kids – Come reagire al presente
Questo è forse il pezzo più violento di tutta la lista. In questo caso però la violenza è psicologica, dettata dalla rassegnazione ai propri fallimenti e dall’incapacità di aver reagito prontamente. Se ci aggiungete il resto dell’album (Alaska) potreste trarre piacere dalla musica, ma la vostra voglia di vivere toccherebbe i minimi storici incollandovi al letto in un vuoto esistenziale.
- Police – So lonely
Concludiamo con qualcosa di leggero. Questo squisito pezzo di reggae bianco descrive il ritorno alla solitudine e il senso di smarrimento che essa comporta. Nonostante il cantato incomprensibile di Sting questo rimane a mio avviso uno dei loro brani più divertenti.
Ascolta la playlist su Spotify: https://open.spotify.com/user/9e75aj8ource25qs4b9lmclev/playlist/73VjqR0qUPU27PA5iH7jVy