Sabbia a perdita d’occhio, tra le ultime colline e il mare – il mare – nell’aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord. La spiaggia. E il mare. Potrebbe essere la perfezione – immagine per occhi divini – mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità – verità – ma ancora una volta è il salvifico granello dell’uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un’inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore.
A. Baricco, Oceano Mare
Alla ricerca di chi?
Alla ricerca di che cosa?
Alla ricerca del mare nel mare.
Il pittore di Baricco ha la presunzione e il desiderio profondo di dipingere il mare con il mare. E la sua ricerca è continua: arriverà a dipingere innumerevoli tele, con l’obiettivo di avvicinarsi ogni giorno di più alla sua idea di perfezione artistica. Ognuno di noi ha bisogno di sogni per vivere.
Solo i giovani hanno di questi momenti. Non intendo dire i giovanissimi. No. I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti. È privilegio della prima gioventù vivere in anticipo sui propri giorni, nella bella continuità di speranze che non conosce pause né introspezione. Uno chiude dietro di sé il cancelletto della fanciullezza – ed entra in un giardino incantato. Là persino le ombre rilucono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha un suo fascino. E non perché sia una terra tutta da scoprire. Si sa bene che l’umanità intera l’ha percorsa in folla. È la seduzione dell’esperienza universale, da cui ci si attende una sensazione singolare o personale: un po’ di se stessi.
J. Conrad, La linea d’ombra
Alla ricerca di chi?
Alla ricerca di che cosa?
Alla ricerca del tempo indefinito dell’essere adulto.
E così che il Capitano di Conrad si ritrova a dover affrontare la linea d’ombra, che non gli permette di conoscere ciò che sta al di là, ciò che lo aspetta. Galleggio alla ricerca di un me stesso con il quale poter dialogare ma questa linea d’ombra non me lo fa incontrare.
Ricerca di un viaggio, che è attesa e domanda, feritoia e spiraglio, porta piccola da cui rientrano storie a fiumi.
Alla ricerca di chi?
Alla ricerca di che cosa?
Coraggio.
Domani andrò giù al porto E gli dirò che sono pronto a partire Getterò i bagagli in mare, studierò le carte e aspetterò di sapere Per dove si parte, quando si parte E quando passerà il monsone dirò: Levate l’ancora! Dritta, avanti tutta Questa è la rotta Questa è la direzione Questa è la decisione
(Humans, Like you: a Milano lo street art solidale di The Big Now in favore di Emergency, 17 luglio 2017, ASSOCOM.org)
C’è chi viaggia per passione.
C’è chi viaggia per lavoro.
C’è chi viaggia perchè la sua passione è diventata un lavoro.
E c’è chi viaggia per necessità, per salvezza.
Sono viaggi della speranza questi, attraverso il deserto e il mare, delle vere e proprie odissee che non sempre hanno un lieto fine. Sono viaggi alla ricerca di un posto migliore, dove la propria vita è al sicuro e non rischia ogni giorno di incontrare la morte. Si decide di partire, senza “se” e senza “ma”, qualunque cosa accada, perchè la Speranza è insita nell’uomo.
E chi intraprende questi viaggi sono uomini, donne e bambini, proprio come ognuno di noi, anche se spesso la loro dignità umana è messa in dubbio.
Sono “Humans like you”, che ricercano una vita migliore: perchè noi sì e loro no?
(HUMANS, LIKE YOU: la Street Art di The Big Now a Milano per Emergency, Fabio Casciabanca, 18 luglio 2017, NinjaMarketing.it)
“However long it takes us, we are okay.
To be or not to be: that is the question. And we will be, right?”
Essere consapevoli di ciò che accade attorno a noi e conoscere la realtà vissuta da questa umanità è il primo passo per poter aiutare e dare il proprio contributo.
E l’arte può essere un mezzo per far conoscere: il 15 luglio 2017 a Milano, nei pressi di piazza Duomo, otto artisti di strada hanno raccontato la tragedia umana dei migranti attraverso le storie di Emergency, con l’obiettivo di sensibilizzare e tenere alta l’attenzione sul tema.
Perché le storie e i drammi di ogni uomo, sono le storie e i drammi dell’intera umanità.
Ore 8.02. Partenza dalla stazione centrale di Tokyo. Destinazione: Kyoto. Attenzione signori, si chiudono le porte. Ci lasciamo alle spalle la grande metropoli, pronti per una nuova avventura.
Dal finestrino sfilano diversi paesaggi: campi, abitazioni, colline, foreste di bambù, grattacieli e poi di nuovo campi. A volte sembra che esista una città unica.
È questione di un attimo: gli occhi hanno giusto il tempo di percepire un’immagine che questa è già subito svanita. Viaggiamo ad alta velocità: 300 km/h. E in circa 3 ore riusciamo a percorrere una distanza pari a 400 Km. Il Giappone viaggia veloce.
Il battito del mio cuore è irrequieto, un misto di ansia e aspettativa. È in attesa di un nuovo piacere, di cui non conosce il retrogusto.
All’arrivo siamo avvolti da un’ondata di pendolari. Le persone, scese, si dirigono con sicurezza e decisione verso un’altra meta. Sembra che non ci sia tempo da sprecare.
Le scritte in giapponese non aiutano molto e così decidiamo di affidarci a una cartina di fortuna e alla guida della Lonely Planet, sperando di trovare la giusta direzione al primo colpo. Evidentemente dai nostri visi traspare una forte insicurezza, tanto che si avvicina a noi una signora che, con un inglese un po’ impacciato, ci domanda se può aiutarci con un sorriso sul volto. Sì, grazie, molto gentile. Stiamo cercando la Soy Guest House. Saprebbe indicarci?
Osserva con attenzione la cartina e l’indirizzo su Google Maps. Tranquilli, posso accompagnarvi io.
È puro stupore: ho incontrato la bellezza in questa donna, in modo del tutto inaspettato.
La seguiamo e ci facciamo guidare all’interno della città. Ci muoviamo tra strade affollate, tipiche di una grande metropoli, e piccoli quartieri che svelano la Kyoto più antica e tradizionale. Si mescolano il nuovo e l’antico e lentamente vengono alla luce tutte le sfaccettature di questa città del Sol Levante.
Osservo attorno a me: tutto è così diverso, tutto è così affascinante. Cammino con lo zaino sulle spalle in uno stato di perdizione: si susseguono case, negozi, supermercati, bancarelle, passanti, turisti, palazzi, templi dai colori vivaci e sgargianti. Mi faccio travolgere da questa umanità e rimango sospesa, a bocca aperta e con le braccia abbandonate.
Luna (così si chiama la nostra gentile accompagnatrice) ci rivela il suo amore per questa città: son nata e vissuta qui. Ho viaggiato molto in giro per il mondo ma Kyoto rimarrà sempre la mia casa. È qui che si trova il mio cuore.
Dopo poco arriviamo alla nostra destinazione e la ringraziamo enormemente per la disponibilità: Arigato Luna. Addio.
La guest house in cui trascorreremo qualche notte si rivela essere molto carina e particolare. La nostra camera dà su un piccolo giardino e ha un piano rialzato, ricoperto con tatami e su cui, per la notte, si può stendere un futon (tipico materasso della cultura giapponese utilizzato per dormire).
Posiamo i nostri zaini, ci rifocilliamo e siamo pronti a ripartire. Dopo aver consultato la guida, decidiamo di incamminarci verso Il Kijomizu-dera, uno tra i più frequentati ed interessanti templi buddhisti della città.
Si erge su una delle colline che abbracciano la città e che domina il bacino di Kyoto. Il complesso fu fondato nel 798 ma gli edifici attuali sono ricostruzioni del 1633. Oggi è uno dei siti più emblematici della città.
Veniamo subito accolti da un imponente edificio, lo Hondō, contornato da un vasto portico colonnato che si affaccia sulla collina. I colori sono intensi: arancio, rosso, verde. Ripresi anche sui kimono di alcune giovani ragazze che, come noi, si godono il fascino di quel luogo.
Il complesso è completamente immerso nella natura, il che lo rende ancora più suggestivo, e circondato da una miriade di statue e lanterne in pietra.
Ci spostiamo tra padiglioni e santuari, pagode e piccoli templi in legno, decorati con nastri o piccole bandiere colorate, in ricordo di preghiere espresse da qualche fedele. L’aria è impregnata da un odore dolceamaro: è incenso. Viene utilizzato durante le cerimonie religiose o acceso davanti ad immagini buddhiste. Dà un piacevole senso di rilassatezza.
Lungo il percorso incontriamo anche un anziano monaco che gentilmente ce ne offre alcuni bastoncini.
Ci ritroviamo così lungo le vie dell’antica Kyoto, costellate di negozi che vendono artigianato tradizionale e piccoli ristoranti con specialità gastronomiche locali. Queste si ergono lungo pendii più o meno ripidi, collegati da un’infinità di scale. Ci inoltriamo in questi vicoli e ci facciamo guidare dal vociare ininterrotto dei negozianti: quadri, teiere, ciotole, vestiti, statuine, cartoline. Sembra una festa, tutti sembrano preda dei preparativi. Ad un certo punto, il mio sguardo è catturato dal passaggio di una ragazza che subito si distingue dalle altre: è una geisha. Il suo viso è di un bianco pallido ma spiccano i suoi occhi, contornati da un ombretto rosso, come le sue labbra. I capelli sono raccolti in un’acconciatura complessa e, tra una ciocca e l’altra, si distinguono dei fermagli preziosi o dei boccioli di fiori. Il suo kimono è di un rosa tenue, con qualche sfumatura di rosso e bianco. Ha un passo sicuro, veloce, sembra quasi non voglia farsi notare ma è ingannata dalla sua stessa grazia. Posso fotografarti? Mi risponde con un cenno del capo e un timido sorriso. Arigato. Grazie. E come è comparsa, così sparisce velocemente.
Il sole è ormai quasi sceso all’orizzonte e il cielo si tinge di incantevoli sfumature arancioni e rosate.
Al termine di una scalinata, ci ritroviamo all’inizio del Tetsugaku-no-Michi, il cosiddetto Sentiero della Filosofia. Prende il nome da un famoso filosofo del XX secolo, Nishida Kitarō, che era solito passeggiare qui, perso nei suoi pensieri. Il percorso, fiancheggiato da un piccolo canale, si snoda fra una gran varietà di piante, cespugli e alberi in fiore che ci regalano una sfilata di colori. È molto tranquillo e ci lasciamo cullare dalla piacevole sensazione di benessere mentre un vento leggero ci accarezza.
Dopo poco più di mezz’ora, un intenso vociare ci fa capire che ci troviamo in una delle vie principali del centro città. I lati della strada sono costellati di bancarelle che si estendono a perdita d’occhio. Veniamo colpiti dalla quantità di teiere, ciotole, tazze, posate, vasi, tutti in ceramica decorata con splendidi disegni e motivi orientali. A causa della luce sempre più scarsa, vengono accese numerose lampade: come delle lucciole indicano il percorso ai viandanti.
È pura poesia.
Ci lasciamo trasportare, spinti dalla curiosità. Respiro a pieni polmoni questa sensazione di serenità e bellezza. E chiudo gli occhi. Sul mio viso nasce un sorriso e ’l naufragar m’è dolce in questo mar.
“Bazzico nel mondo. Nei viaggi coltivo idee, le idee mi fanno viaggiare”.
Ho i canali social ma non sono un blogger, né un social qualcosa, non sono uno youtuber né niente; non ci riesco proprio. Non mi piace rispettare astruse ed infondate regole. […] Desidero di più vivere e raccontare l’avventura, usare la mia creatività per cucire racconti di viaggio. Vorrei far vedere il più possibile di questo fantastico mondo.
Gabriele Saluci, storyteller, adventurer.
Sono venuta a conoscenza della storia di Gabriele per caso: su Facebook, tra le altre notizie, le foto dei suoi viaggi hanno attirato fin da subito la mia attenzione: Giappone, Cina, Islanda, Etiopia.
Incuriosita, ho visitato la sua pagina e ho scoperto le sue avventure incredibili, vissute in giro per il mondo: è riuscito infatti a fare della sua più grande passione il proprio lavoro e non smette di inseguire ogni giorno nuove mete.
Sembra proprio che il suo sia un chiaro esempio di Wanderlust (dal tedesco “gioia di camminare”), gene del viaggiatore.
Ho quindi deciso di fargli qualche domanda, per saperne di più.
E questa è la sua storia.
Quanti anni hai e da dove vieni?
Ho 27 anni e sono nato e cresciuto in Sicilia. A 19 anni ho deciso di andare via di casa per frequentare l’università a Torino, che è stata la mia base per diversi anni. Adesso vivo a Las Palmas, alle Canarie.
Sono un po’ siciliano, un po’ torinese e un po’ canario.
Da dove nasce questa tua “malattia” per i viaggi?
Ho avuto la fortuna di avere dei genitori insegnanti, per cui avevamo a disposizione ogni anno tutto il mese di agosto. Hanno deciso di sfruttare questo tempo libero per viaggiare in camper e così per 18 anni sono stato “sbattacchiato” per tutta l’Europa. Abbiamo macinato centinaia di migliaia di chilometri in decine di paesi diversi.
A un certo punto è arrivato il momento di lasciare i viaggi in famiglia e di buttarmi in avventure tutte mie: da 6 anni ormai vivo in giro per il mondo.
Adesso per me il viaggio, oltre a essere un bisogno e parte del codice genetico, è diventato uno stile di vita.
Come sei riuscito a trasformare la tua passione in un lavoro?
Questa è stata la parte più difficile, anche se col tempo tutti i pezzi che ho raccolto si sono messi a posto, quasi da soli.
È anche una domanda che tanti mi fanno ogni giorno: come essere pagati per viaggiare? La risposta è semplice: nessuno ti paga per viaggiare. Nei primi anni bisogna essere pronti a sacrificare moltissimo tempo e denaro. Diventare viaggiatori in effetti non è molto diverso dall’aprire un pub, solo che invece di investire in un nuovo frigo o nel bancone, si investe in esperienze, crescita personale e in capacità lavorative. Se la passione dura nel tempo e si trova il proprio equilibrio le cose vanno avanti. Quello che ho visto io è che tutti quelli che hanno iniziato con l’obiettivo di viaggiare gratis non sono arrivati da nessuna parte.
Ovviamente per farlo diventare un lavoro bisogna offrire qualcosa. Il mio consiste nel raccontare i viaggi e il mondo attraverso i video. Fin dalle prime avventure ho capito che bisogna trovare una propria strada e un proprio stile: certo, non si è mai da soli in questa specie di gara, ma quello che ti fa andare avanti è cercare di dare sempre il massimo in quello che si fa, mettendo a disposizione tutta quanta la propria passione.
Ogni anno è diverso quindi non penso che avrò mai il posto fisso, e di questo sono contento. Negli anni passati ho lavorato tanto per clienti molto conosciuti su internet, adesso lavoro per Rai3 con una parte di programma tutta mia al Kilimangiaro, l’anno prossimo chissà… ed è questo il bello.
E vivere in giro per il mondo come ha reso la tua vita?
Ogni progetto, ogni viaggio lascia qualcosa. Sicuramente si cresce tanto, ma si capisce anche che per comprendere come funziona veramente il mondo ci vogliono decenni passati a viaggiare, una curiosità infinita e tanta pazienza perché quando inizi a capire come funziona la faccenda, quel momento non è altro che l’inizio del percorso.
Studiare, leggere e informarsi sono fondamentali. Lo strumento del mestiere del viaggiatore è l’istruzione: è necessario avere degli attrezzi per capire il mondo, o per essere all’altezza nel mondo del lavoro. L’Università italiana ha tante cose che non vanno, ma sicuramente è un importante passo da compiere – soprattutto se fatta con cognizione di causa – per la propria carriera, che sia di viaggiatore o altro.
Come vivi questa “ricerca di libertà”?
Devo dire che riuscire quasi sempre a fare quello che si vuole è una delle cose più belle che si possano fare nella vita. Decidere quando, quanto e con chi lavorare, stabilire i propri tempi e assecondare la propria creatività è la ricchezza più grande. Sono stato fortunato ad averlo intuito prima di fini. Certo, lavoro tanto anche io, ma proprio perché so che ogni lavoro mi migliora è come se fosse tutto tempo dedicato a me stesso.
Ultimamente prendo troppi aerei, in questo mese sono già a quota quattordici voli.
In questo momento scrivo in aereo: ogni dieci cose belle di questo lavoro ce n’è una un po’ scomoda, ma ci si adatta.
Come ci si adatta a non avere una casa dove tenere le proprie cose e a traslocare ogni sei mesi!
Per quanto ci piaccia distinguerci dagli altri, sentirci individui ed esaltare l’espressione, la libertà e le esperienze che sono uniche per ognuno di noi, siamo tutti fatti della stessa pasta. Ridiamo e piangiamo allo stesso modo, impariamo parole e poi le dimentichiamo, incontriamo persone provenienti da luoghi e culture diversi dai nostri. La lingua ci avvolge con i suoi significati e la sua punteggiatura, spingendoci a varcare i confini e aiutandoci a capire le domande più complicate che la vita ci pone senza sosta.
Questo è ciò che ha fatto Ella Frances Sanders nel suo libro Lost in translation: cinquanta parole intraducibili dal mondo: Spero che questo libro vi aiuti a trovare alcune parti di voi stessi perdute nel tempo, che faccia riemergere ricordi piacevoli o permetta di tradurre in parole pensieri e sensazioni che non eravate mai riusciti a esprimere con chiarezza.
Avete mai visto boketto negli occhi di un uomo seduto in riva all’oceano o il resfeber che ha invaso il cuore di amici che si accingono a fare un viaggio dall’altra parte del mondo, verso una cultura sconosciuta? Ecco dunque un assaggio di parole che, chissà, potrebbero rispondere a domande che non sapevate di voler porre, o magari alcune che avete già posto.
Avanti, quindi, perdetevi nella traduzione!
Mångata, Svedese, sostantivo
La scia luminosa della luna che si riflette sull’acqua.
Forse non si fa più molto caso a questi attimi poetici e splendenti, ma il riflesso tremolante della luna, di notte, sull’acqua scura del mare, è senza dubbio uno spettacolo mozzafiato.
Gezellig, Olandese, aggettivo
Molto più che accogliente o piacevole: descrive il senso di intimità, calda e rigenerante, non necessariamente fisica, che si prova stando con le persone care.
Include tutto ciò che fa sentire davvero accolti, come un’atmosfera familiare, una bella conversazione, gli abbracci.
Meraki, Greco, verbo
Fare qualcosa con tutto te stesso: con passione, creatività e amore.
Se ci metti tutto te stesso, il risultato sarà eccezionale. Il concetto di meraki è chiaramente frutto della cultura greca, che esalta la passione guidata dalla ragione e il piacere delle piccole cose.
Pisan Zapra, Malese, sostantivo
Il tempo necessario per mangiare una banana.
Fika, Svedese, verbo
Trovarsi per un caffè, e un dolcetto magari, per prendersi una pausa e chiacchierare, in ufficio, a casa o in un locale; a volte si prolunga per ore.
La combinazione di caffè e chiacchiere è ottimale: spesso favorisce scambi, idee brillanti e colpi di genio a base di caffeina
Vacilar, Spagnolo, verbo
Viaggiare per il gusto di farlo più che per la meta.
Non sai bene dove andare? Perfetto! Dimenticati di cartina e programmi e lasciati guidare dal cuore.
Wabi-sabi, Giapponese, sostantivo
Bellezza dell’imperfezione, dell’eterno fluire delle cose.
Tratto dagli insegnamenti buddisti, questo principio dell’estetica giapponese si basa sulla ricerca del bello nelle imperfezioni e nell’incompletezza. Accettare la nostra transitorietà e l’asimmetria nelle nostre vite può guidarci verso un’esistenza semplice, ma più appagante.
Forelsket, Norvegese, sostantivo
L’indescrivibile euforia che provi quando ti stai innamorando.
Forse non l’hai ancora provato, o forse ti è già capitato molte volte. Le ricerche dimostrano che il forelsket è più frequente quando mostri apertamente i tuoi sentimenti.
Luftmensch, Yiddish, sostantivo
Vuol dire sognatore, letteralmente ‘l’uomo dell’aria’.
Hai la testa fra le nuvole e non hai nessuna intenzione di scendere sulla terra. Vivi nel mondo dei sogni: lontano dalla realtà, vicino all’irrealizzabile.
E se una sola parola ti permettesse di fare il giro del mondo?
Lasciatevi trasportare nella magica atmosfera di Parigi sulle note di “Si tu vois ma mère”. Sarà come annusare l’aria romantica e sbarazzina della città che ha ispirato e attratto da sempre gli artisti e gli innamorati di tutto il mondo. Ogni suo angolo, ogni suo ponte, ogni suo monumento è stato celebrato come una donna amata alla follia.
Non è una città tra tante, ma una città che entra nell’animo di chi la vive.
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