Siete sicuri che per scolpire serve lo scalpello? Dopo aver conosciuto Barba Brisiu la risposta è no, o almeno, non se si ha passione, immaginazione e grinta! Barba Brisiu è l’uomo dei monti, l’artista del legno più apprezzato nella zona e non solo, ma soprattutto è lo scultore….con la motosega. Una dimostrazione concreta e davvero originale di come un artista possa esprimersi attraverso tutto ciò che lo circonda, non importa se si va controcorrente, anzi, è proprio questo il bello dello “scultore motorizzato ” Barba brisiu
1) Come mai il nome “Barba Brisiu”? Questo nome deriva dal fatto che sono zio di tanti nipoti: “barba” in piemontese vuol dire zio e poi “Brisu” è il diminutivo piemontese di Fabrizio. Così mi hanno sempre chiamato i miei nipoti e allora è rimasto il mio nomignolo. Inoltre ho anche la barba e spesso in giro pensano che il mio nome derivi proprio da questo.
2) Da dove nasce la passione per la scultura? Sin da bambino ho sempre avuto la voglia di creare: costruivo anche con il dash e il pongo mentre giocavo. Poi crescendo sembrava che perdessi tempo con le mie costruzioni, non avevo la possibilità economica di seguire corsi di scultura e nemmeno di comprarmi gli scalpelli…Finché mia madre mi regalò una motosega per potare gli alberi e io la usai per scolpire, scoprendo che non era una mia invenzione ma esisteva già questa tecnica.
3) Qual è stata la sua prima opera? La prima scultura l’ho fatta proprio grazie a quella motosega, a Beguda, trasformando un albero tranciato dal vento in un “custode del bosco”: uno gnomo stilizzato che all’epoca mi sembrava un’opera fantastica. Oggi non c’è più perchè si era deteriorato ma ne ho tenuto un pezzo che conservo a casa.
4) Quanto tempo impiega per “dare vita al legno”? Non c’è un tempo calcolabile: dipende molto dall’ambiente, dal pezzo di legno, dall’ispirazione. Con la motosega si fa velocissimo e ci impiego decisamente meno degli scultori tradizionali.
5) Ci descriva brevemente i passaggi. Per prima cosa sento quali sono i desideri della persona che mi commissiona il lavoro, anche se non mi costringono mai, e mi lasciano la possibilità di interagire con il pezzo di legno. Una volta capito questo cerco di studiare l’ambiente in cui verrà messa la scultura, ciò aiuta ad ispirarmi. Dopodichè c’è una sorta di comunicazione con il legno: come se parlasse e mi suggerisse cosa fare, mi spiega i suoi pregi e i suoi difetti. Così posso iniziare il lavoro: comincio immaginando le proporzioni e mi aiuto molto con la collaborazione del legno. Tutto è un susseguirsi di creazioni spontanee nate sul momento, ecco perchè non c’è mai una scultura uguale ad un’altra.
6) Cosa vuole trasmettere con la sua arte? Quello che mi piace e mi rende orgoglioso è il fatto che trasmetto la voglia di essere bambini sempre che è la cosa più seria. Questo perchè i bambini trovano sempre il modo di risolvere tutto senza farsi tanti scrupoli e problemi. Faccio sempre questo esempio: c’è una platea di gente e nel mezzo un bambino e un adulto, si chiede a entrambi di disegnare su un foglio bianco un lupo. L’adulto comincia a disegnare un lupo bravo ma poi si ferma e pensa: “Non lo posso fare bravo perchè magari qui è pieno di allevatori che non credono che il lupo sia bravo, anzi…”, così prova a disegnarlo cattivo ma prima pensa: “Ma ci sono sicuramente anche gli animalisti qui intorno che mi possono dire qualcosa!”. Dopo mezz’ora il foglio resta bianco. Al contrario il bambino ha già disegnato il lupo alla sua maniera e perciò tutti lo applaudono. Quello che voglio trasmettere è proprio la voglia di essere bimbi e anche far capire che nella nostra zona c’è tanta gente in gamba con molte capacità ma che spesso incontra sul suo cammino un muro. Purtroppo c’è questa mentalità sbagliata che non agevola la voglia di fare dei giovani ma se si trasmette la tenacia e si va contro corrente, si arriva ovunque nella vita. Il mio lavoro è come un gioco per me, però mi pagano per giocare e questo perché ci ho provato. Bisogna buttarsi: se uno non ci prova non succederà mai niente.
7) Ci parli di lei. Ha sempre solo fatto lo scultore? No, tutt’altro! Ho iniziato come geometra, poi mio padre si era ammalato e avevo dovuto prendere il suo posto da fabbro per sette anni in Liguria, dove aveva una società. Però non mi piaceva, sentivo il richiamo delle montagne e infatti sono tornato, mi sono sposato e ho ripreso l’attività di geometra. Nel frattempo sono anche stato operaio alla Pirinoli dato che quel lavoro da cantiere mi stava un po’ stretto. Così ho fatto l’operaio per dieci anni in un’azienda edile occupandomi di ingegneria naturalistica. Poi un anno e mezzo fa non ce l’ho più fatta e me ne sono andato, stanco di quel mondo di lavoro dove ci si guadagna da vivere stando seduti e compilando carte. Dunque ho scelto di rendere la mia passione per la scultura un vero e proprio lavoro e devo dire che funziona davvero molto bene.
Perché ha scelto di vivere a Tetto Aradolo a 1000 metri di quota? Anche qui è stata una concomitanza di eventi. C’è sempre stata l’idea di andare in un posto che mi rispecchiasse e appena ne ho avuto la possibilità, l’ho colta al volo. Lassù siamo proprio fuori dal mondo: quando apriamo le finestre di casa vediamo le due vallate, Gesso e Stura, oppure i caprioli e mi sento davvero a casa.
E’ credente? Sono credente…ruffiano! Nel senso che lo sono quando ne ho bisogno anche se so che non è una cosa giusta. Penso che essere credente non sia così semplice: per esserlo davvero bisogna avere moltissima fiducia ma sono troppi i contrasti, troppi dubbi, troppe ingiustizie… Sono certo che c’è qualcuno lassù che mi aiuta nel momento del bisogno, so che non posso dargli delle colpe che non può avere, però la questione della fede è seria e mi danno fastidio quelle persone che fingono di essere credenti quando conviene loro (come chi vuole a tutti i costi proteggere il crocifisso nelle scuole, ma che poi non lo guardano mai). Uno deve essere convinto di quel che crede. Inoltre credo che la vita sia tanto grigia, né bianca, né nera: non esiste il vero bene e il vero male, ma un insieme di sfumature.
Ha figli? Se sì, ha trasmesso loro la sua passione? Ho tre figlie: 19, 16 e 13 anni, le più belle sculture che ho fatto! A mia figlia di 16 anni ho trasmesso la passione della scultura, alla figlia più piccola ho trasmesso la tecnica e la passione per il legno ma non la poesia dello scolpire e la più grande fa Agraria. Quindi penso di aver suggerito loro l’interesse per il nostro territorio e del nostro modo di vivere. Certo, sono moderne e vivono come i giovani (chitarra elettrica, moto…), comunque la passione c’è sicuramente e viene interpretata da loro in maniera differente.
8) Spostiamo l’attenzione sulla città di Cuneo. Cosa ne pensa della città? Ci dica quali sono secondo lei i pregi e i difetti. La città vera e propria non la conosco bene ma solo marginalmente, non avendoci mai vissuto. Più che altro sono curioso: non so come sia la vita qui, so solo che tutte le comodità che ci sono rendono gli abitanti un po’ troppo ben abituati. Vedo la città con gli occhi da “muntagnin” (montanaro) e l’unica cosa che vorrei è il rispetto da parte di tutti, cittadini e non. Credo che la città non abbia una sua identità perché sono i cittadini che la creano. Infine posso dire che Cuneo mi sembra una città abbastanza ordinata e ho tanto rispetto del sindaco: lui sì che vede oltre e ha una marcia in più!
Lei pensa che ci siano dei giovani nella zona interessati alla sua arte e che desiderino impararla, nonostante la loro vita sempre più tecnologica e virtuale? Sicuramente ci sono e alcuni sono già attivi. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, la questione della tecnologia è proprio ciò che mi avvantaggia nel far capire che il mio metodo di scolpire è abbastanza irrazionale. Nel mio lavoro tutto è il contrario di tutto, a volte mi trovo ad utilizzare bombolette spray come i giovani e per questo i ragazzi ne sono attirati: si rendono conto che con qualsiasi strumento possono esprimersi.
9) Cosa ne pensa della digitalizzazione di oggi? A me piace tantissimo. Io paragono Internet ad un martello: se il martello viene adoperato per piantare un chiodo, allora è lo strumento che ci vuole; se viene adoperato per fare del male, diventa un’arma. Dunque dipende da chi lo usa e da come lo usa. Internet è quello che mi ha dato visibilità perchè si può comunicare con il mondo in un istante, mentre una volta era tutto più complicato.