Ci sono un sacco di feste.
È una delle prime cose che ho pensato iniziando a leggere. Ma L’incendio di Cecilia Sala è molto di più. È un racconto corale straziante e verissimo che si pone l’intento di narrare la storia attraverso la vita di ragazzi che stanno diventando adulti, che stanno cercando di capire chi sono in alcune delle aree più calde del mondo: Iran, Ucraina e Afghanistan. Cecilia Sala – giornalista de Il Foglio, reporter di guerra e voce del podcast Stories – ci porta in un viaggio attraverso tre incendi che bruciano il mondo, con lo sguardo di una generazione. La sua generazione. La generazione dei ventenni. Un reportage di incontri, fatti e conversazioni dove la festa ha a che fare anche con la guerra. Perché la festa ha a che fare con la vitalità e quindi in qualche modo anche con la guerra. “Fare festa è un modo di conoscere le persone in un senso non stereotipato”, dice Cecilia.
L’intreccio tra fatti storici e narrazioni personali aiuta a entrare in diretta negli incendi che stanno devastando queste popolazioni e riguardano anche il nostro futuro. Si inizia con l’Iran, dove i rave nel deserto sono celebri. Il clero e il governo li conoscono e li tollerano da decenni. Tra le violenze e le proteste ci sono feste di musica techno dove la droga è molto più facile da trovare che il gin. Per gli ayatollah i ventenni iraniani sono la generazione perduta che ha innescato una protesta senza precedenti. Tra le figure di questa generazione troviamo Sadira che vive a Teheran e fuma sigarette rollate, parla quattro lingue e vuole lavorare per il suo governo al ministero degli Esteri, anche se lo detesta. Poi c’è Forouzan che ha i capelli ricci, studia elettronica ed è stato uno dei primi a scrivere dappertutto il nome di Masha Amini, ragazza uccisa perchè indossava male il velo. Questo fatto ha scatenato un’ondata di proteste inedita, condivisa anche da Nabila: campionessa di kick boxing, giovane donna lesbica ma fedele alla Repubblica Islamica, che ha definito “un’onta collettiva” la morte di Masha Amini. Poi c’è Masoumeh Ebtekar, una donna colta, la più potente dell’Iran; ai cui occhi occidentali colpisce che per viaggiare fuori dal paese ha ancora bisogno dell’autorizzazione scritta di suo marito, che conta meno di lei. Lei a Cecilia ha risposto: “non riesco a capire come facciate a emozionarvi tanto per la prima donna vicepresidente degli Stati Uniti nel 2021, Kamala Harris, quando qui io sono stata vicepresidente per la prima volta nel 1997”.
In Ucraina, invece, le feste sono in locali sotterranei di Kyiv collegati con tunnel a luci viola. È qui che Cecilia si incontra con Kateryna, che le ripete che non vuole vivere sotto il peso di questa minaccia rimandando tutto, preferisce affrontarlo e manifestare la sua idea di libertà piuttosto che vivere nel mondo delle verità capovolte. Le storie dei giovani ucraini ci parlano di una generazione che non apprezza Zelensky come comico e quasi mai gli ha dato il suo voto, perché lo riteneva un «megalomane approssimativo» che non conosceva nulla della Storia dell’Ucraina né tantomeno dei suoi rapporti con Mosca. L’Ucraina è un paese più digitalizzato dell’Italia e i ventenni che lavorano nel settore tech sono tanti. Tra questi c’è Vova che non ha mai finito gli studi ma ha creato un’app per smartphone che permette a tutti di partecipare a piccoli cyber-attacchi contro siti russi. Dice: “Noi portiamo in Russia una guerra più contemporanea e senza spargimenti di sangue: una guerra di nervi”.
Infine c’è l’Afghanistan. Un paese dove i ventenni che sono nati lì e hanno costruito la loro vita, lo hanno fatto su un modello incompatibile con quello dei talebani. Come Zarifa Ghafari, che da grande voleva fare la politica, questo prima del fatidico 2021. A 24 anni è la sindaca più giovane del paese a Maidan Shar. Tutti i giorni per andare a lavoro passa su una strada controllata da talebani e il suo autista preme sull’acceleratore. Il suo motto: “ far studiare una classe di ragazze vuol dire salvare dieci generazioni di afghani”. Ci sono donne magistrate che hanno messo in carcere i talebani che fino all’agosto del 2021 erano dei terroristi, quando sono risaliti al potere per loro è stata la fine. Così come anche le donne che hanno chiesto il divorzio, vendute da bambine, sono state riconsegnate ai loro aguzzini. Una cosa che non sapevo e mi ha colpito molto è che in Afghanistan c’è una fiorente industria cinematografica e la televisione locale trasmette il cartone Burka Avenger in cui una ragazzina, grazie al suo burqa, diventa invisibile e può combattere contro un politico locale che vuole far chiudere la scuola. In questo modo geniale gli autori si sono dati la possibilità di insinuarsi con successo anche nelle case e nelle famiglie più tradizionaliste, non sembrando una minaccia ma essendo di fatto una minaccia.
Con questo libro Cecilia Sala ha mostrato ancora una volta la sua capacità di adottare un punto di vista abbastanza neutrale, lasciando che siano i fatti a raccontare la storia. Frasi brevi, stile narrativo preciso e coinvolgente che smorza un po ‘ i toni sensazionalistici a cui siamo abituati dai giornali. Conoscere da più vicino questi giovani cittadini del mondo, i loro sogni e le loro speranze mi ha fatto allargare il mio piccolo orizzonte. Mi ha fatto capire che in fondo, sì, viviamo vite lontanissime in contesti diversi ma forse siamo anche piuttosto simili: siamo giovani che cercano un posticino nel mondo.
Quando si parla di generazione perduta io, in realtà, nell’entusiasmo inspiegabile di questi ventenni ho percepito solo tanta voglia di trovare una strada nuova.