3 Dicembre 2015 | Vorrei, quindi scrivo
Si è appena conclusa la Conferenza del Clima di Parigi organizzata con lo scopo di raggiungere un accordo per salvare l’ambiente dalle destabilizzazioni climatiche. Tra i tanti discorsi di chi avrebbe potuto fare molto (ma non vuole), il discorso del Presidente di uno Stato che molti di noi nemmeno sanno piazzare precisamente sulla mappa ha rivelato il segreto per “salvare la Terra”. Si tratta di Rafael Correa, presidente dell’Ecuador.
Egli ha denunciato come le (false) proposte di chi ha portato al disastro attuale non tengano conto di una basilare realtà: la crescita all’infinito è “indesiderabile e impossibile”. Indesiderabile perché un aumento del PIL non corrisponde a un aumento della felicità. Impossibile perché non è materialmente fattibile crescere continuamente, siccome “la tecnologia e la scienza ampliano i limiti, ma non li eliminano” e dobbiamo tenerne conto, altrimenti il conto per noi e per l’ambiente sarà salato.
Correa ha avuto il coraggio di dire ciò che molti governanti del Nord del mondo si rifiutano di accettare, cioè che “è impossibile una crescita infinita in un pianeta dalla risorse finite”, per citare il teorico della decrescita felice Serge Latouche.
Cosa propone l’Ecuador? Garantire il libero accesso ai “beni comuni” per evitare un consumo superfluo dei beni ambientali, firmando un trattato vincolante per tutelare i beni naturali. È molto importante l’aggettivo “vincolante” perché fino ad ora i trattati internazionali sul clima sono stati “non vincolanti”, come quello firmato a Montreal nel 2005 che rappresenta la “base di partenza” per la COP21. La proposta di Correa è quella di introdurre una Corte Internazionale di Giustizia Ambientale per condannare i crimini ambientali.
Perché non condannare il “debito ecologico” se si condanna quello pubblico? Questo è il presupposto di Rafael Correa il quale afferma nel discorso che: “Nulla giustifica l’esistenza di tribunali che proteggono gli investimenti o che obbligano a pagare i debiti finanziari, ma possibile che nessuna corte possa giudicare i crimini ambientali?” E aggiunge che si tratta della “logica perversa dalla privatizzazione dei guadagni contemporaneamente alla socializzazione delle perdite.”
L’attacco ai meccanismi finanziari è forte e pienamente coerente con la storia politica di Correa. Infatti, nel suo primo mandato presidenziale, ha dichiarato parte del debito pubblico del suo paese “immorale”, e quindi detestabile perché realizzato dalla precedente dittatura, pagando ai creditori il 30% del valore nominale dei titoli invece che la totalità.
L’Ecuador non è stato il solo stato del Sud America che negli ultimi anni ha cercato una via indipendente e lontane dalla politiche neoliberiste di Washington e Bruxelles. Sempre rimanendo nell’ambito delle conferenze sul clima, Chavez nel 2009 ha affermato una grande verità, riferendosi al rapporto fra finanza e ambiente, con la frase: “Se il clima fosse una banca, lo avrebbero già salvato.”
Forse è ora anche per l’Italia di sganciarsi dal pensiero dominante e pensare soluzioni innovative e originali per salvare l’ambiente che, soffocato dal paradigma della crescita economica illimitata, è in salute più che precaria.
Federico Musso
29 Luglio 2015 | Vorrei, quindi scrivo
Scienza delle soluzioni immaginarie.
SCIENZA, eppure non si parla di nessun scienziato o ricercatore, ma di puri e semplici volontari provenienti da diverse realtà dell’associazionismo giovanile cuneese.
SOLUZIONI, perchè quando vengono a mancare i principali fondi istituzionali, per esempio, sorge evidentemente un problema; e per ogni problema ci vuole una soluzione. IMMAGINARIE, perchè impegnarsi a trovare i soldi per fare in modo di portare anche quest’anno incontri, laboratori, concerti, mostre e djset in un paesino di montagna come Valloriate è un’impresa tutt’altro che facile.
Tutto questo è il Campeggio Resistente.
Non avevano assolutamente intenzione di fermarsi proprio adesso, giunti all’ottava edizione, i ragazzi del Campeggio Resistente che, di fronte a difficoltà economiche di organizzazione, si sono lanciati nel crowfunding (http://langheroeromonferrato.net/italia/i-ragazzi-1000miglia-crowdfunding-finanziamento-collettivo) per far partecipare tutti gli aderenti ad una colletta che porterà ad offrire anche quest’anno lo spazio tenda e l’ingresso ai concerti gratuiti oltre ad un esiguo contributo per i pasti giornalieri.
Il festival ha un solo obiettivo: fare cultura nel senso più profondo del termine.
C’è Valloriate, un caratteristico paese immerso tra le montagne. Uno scenario naturale splendido, immerso tra le montagne, fa da cornice a quattro giornate all’insegna della buona musica, dell’arte e del teatro, di incontri e di dibattiti con ospiti di rilievo. Si parlerà di Ucraina, Grecia, migranti e tanto altro ancora provando sempre a cercare delle “soluzioni immaginarie” che favoriscano il confronto e la partecipazione.
A Campeggio Resistente i campeggianti vivono insieme agli artisti e agli ospiti in un clima vivace, divertente, attivo. Un’ occasione per fare e vivere cultura, un’ opportunità unica di scambio e di condivisione. I ragazzi di Campeggio Resistente sono cresciuti così, guidati da questo solo spirito di amore per la cultura, in modo totalmente volontaristico e spontaneo, attirando sempre più partecipanti, edizione dopo edizione.
Anche la scelta della location, Valloriate, un paese nel cuore nelle montagne che circondano la città di Cuneo non è casuale, ma dettata dalla precisa volontà di valorizzare il territorio che ci circonda sostenendo rapporti con enti, aziende turistiche, imprese e produttori locali al fine di creare una rete di collaborazione locale.
Tutto questo è Campeggio Resistente.
Da giovedì 30 luglio a domenica 2 agosto a Valloriate (CN).
Vuoi sapere il programma completo? Fai un salto su http://www.campeggioresistente.com/programma/ .
Sei interessato a sostenere economicamente il Campeggio Resistente? https://www.produzionidalbasso.com/project/campeggio-resistente-2015-1/
Per il resto… Ti aspettiamo al Campeggio!
10 Aprile 2015 | Vorrei, quindi scrivo
“Come riuscirò a tenere accesa l’attenzione di un liceale alla mia prima lezione?” potrebbe chiedersi un neo-professore che ha appena ottenuto una cattedra a tempo determinato o una sostituzione fortuita, arrivata magari dopo mesi passati a casa senza lavoro. Una sfida che i più coraggiosi raccolgono ancora ogni giorno, nonostante siano anni che mettono piede in un decadente edificio scolastico qualunque. I docenti più fortunati sfruttano l’attinenza di argomenti inerenti alla loro materia con fatti e problemi legati all’attualità per stabilire dei collegamenti che aiutano a sviluppare la lezione su molteplici fronti; come accade sovente nelle ore di filosofia, storia, italiano ecc. Ma, se foste nei loro panni, parlereste ancora di “fortuna”? Mettere a disposizione degli studenti tutti gli strumenti per far sorgere in loro dubbi e scavare a fondo nelle loro coscienze potrebbe da un lato contribuire notevolmente alla formazione di un concetto di partecipazione e cittadinanza (valori che sembrano ormai sconosciuti alle nuove generazioni), ma allo stesso tempo rischierebbe facilmente di evidenziare lo stato di apatia in cui ristagna la maggior parte dei giovani al giorno d’oggi. Non c’è nulla che possa creare un sentimento di sconforto maggiore della mancata partecipazione e presa di coscienza, come testimoniano gli occhi delusi di un professore davanti agli sguardi vuoti di ragazzi che non alzano la mano per esprimere la propria opinione.
D’altronde, chi non si è posto almeno una volta la domanda: “Cosa interessa davvero a un ragazzo di diciotto anni?”. Raggiunta la maturità legale, quando ognuno dovrebbe oramai essere pronto a prendersi le proprie responsabilità civili ed ad avere un ruolo attivo nella società, nella maggior parte dei casi mancano le basi per la costruzione di un individuo cosciente e responsabile. Default dell’educazione ricevuta o cattivo impiego dei mezzi di informazione? Se una classe di liceo venisse rinchiusa per una settimana in una stanza con alcuni viveri ed un computer con accesso ad internet, quanti si preoccuperebbero di verificare le notizie dei giornali sui fatti del mondo, oltre a navigare sui social networks?
Scappare anche solo per un istante dalla routine di tutti i giorni, che ci riserva tranquillità e abitudini consuete, è ciò che spaventa di più un giovane liceale come me. Vorremmo tutti poterci occupare solo degli affari che ci riguardano, senza rendere conto a nessuno delle nostre azioni. L’indifferenza verso tutto ciò che sta al di fuori della finestra ci porta inesorabilmente a trascorrere ogni giorno della nostra preziosa esistenza in uno stato di apatia che attenua pian piano tutte le emozioni fino a renderci impassibili di fronte a qualsiasi atrocità ci capiti sotto gli occhi. In questo caso, si può realmente parlare di “vivere”?
Lasciarsi tormentare da dubbi apparentemente senza soluzione o da domande che ci rimbombano nella testa come: “In quale modo posso contribuire al benessere del Mondo?” è un passaggio fondamentale per riuscire a sentirci davvero “vivi”. Ognuno può trovare le questioni che più lo tormentano provando a prendersi anche solo una piccola pausa dal frenetico ritmo quotidiano, spegnere la luce e pensare a quali sono i suoi reali interessi. Per il resto, un’informazione ampia ed attendibile è fondamentale solo nel caso in cui venga opportunamente completata da una conoscenza del mondo che ci spinga a scoprirlo da vicino.
Abbandonare la tranquillità della vita quotidiana per intraprendere un viaggio attraverso le diverse culture e i conflitti che alimentano le vicende globali, ma soprattutto attraverso noi stessi, è il primo passo per poterci “lasciar tormentare” e infrangere finalmente il vetro di apatia che ci intrappola.
8 Aprile 2015 | Vorrei, quindi scrivo
Luglio 2014 – Esco di casa rabbrividendo, sfilo per le silenziose strade del centro e appena fuori dalle mura cittadine trovo la tramontana che mi accompagna leggera nel mio abituale tragitto mattutino. Ad accogliermi sono le consuete facce allegre dei bambini, pieni di vitalità a qualsiasi ora del giorno e della notte, pronti ad iniziare una nuova giornata colma di attività insieme. Come mi sia venuta in mente questa idea di fare l’animatore non lo so, in Francia per di più, non parliamone. Una catena di occasioni mi ha travolto in questa avventura e non mi ha lasciato il tempo di riflettere sulle mie scelte.
<<La vera felicità è quando non ti chiedi se sei veramente felice>> mi disse una volta un amico e, solo adesso che mi ritrovo senza pensieri ad apprezzare ogni giorno come un’esperienza unica, capisco a fondo le sue parole.
Mi sento parte di un progetto che coinvolge ogni persona che mi circonda, ogni vicolo desolato di questo posto, ogni minimo misterioso anfratto che ogni giorno mi induce a proseguire il mio cammino, anzi, la mia corsa, spinto dall’impulso della curiosità. Così ogni volta che rientro dal lavoro la voglia di tornare a casa diminuisce con l’avvicinarsi della porta d’ingresso, perché rinchiudermi in una stanza buia quando là fuori c’è un mondo tutto da scoprire? Cambio direzione e mi infilo in strade sconosciute, attacco bottone con estranei e mi faccio trasportare nel mondo della spensieratezza per il puro gusto di soddisfare la mia irrefrenabile voglia di non perdermi nessun istante di questa meravigliosa città.
Ma oggi c’è qualcosa di nuovo ad attendermi. Le strade del centre-ville sono interamente tappezzate da cartelloni di ogni forma e grandezza, curiosi personaggi mi vengono incontro per lasciarmi tra le mani una colorata pubblicità del loro spettacolo e un insolito affollamento di valigie turistiche scombussola i ritmi provenzali della città: il Festival del Teatro di Avignone ha ufficialmente inizio. Il più vasto panorama teatrale europeo, che offre più di 900 rappresentazioni e raccoglie nella città francese migliaia di persone si tiene ogni anno nel mese di luglio e cambia completamente la faccia e i ritmi di vita di questa città. Non solo immense code fuori dai piccoli teatri che spuntano ad ogni angolo, ma anche spettacoli di strada di artisti da tutto il mondo contribuiscono a trasformare l’atmosfera in un misto di esuberanza e vitalità che travolge in primo luogo gli abitanti oltre agli immancabili turisti. Mi perdo nei giorni seguenti abitualmente tra gli sguardi intensi della gente e cammino fino a ritrovare la via di casa.
Quando ho modo di sedermi di fronte ad un palco, che io sia in un teatro per pochi intimi o un semplice punto in un’enorme sala colma di gente, sempre le stesse emozioni risalgono la mia colonna vertebrale e mi coinvolgono appieno nello spettacolo. Guardando gli attori che interpretano personaggi di ogni tipo e mestiere, il ricordo mi trasporta alla mia infanzia, ai tempi in cui il mio futuro rimaneva un’incognita costante ma in cui avevo ogni giorno un’idea quasi ferrea di cosa sarei diventato da grande. <<Mamma, da grande voglio fare il pompiere! L’astronauta! Il medico! Lo scienziato!>>, vorrei vedere cosa ne penserebbe adesso il bambino che voleva cambiare il mondo, osservando quello che sono diventato e le scelte che ho attuato finora. Sicuramente però vorrei avere ancora il coraggio di quel bambino, che seguiva fino in fondo le sue intuizioni e i suo sogni senza lasciarsi sgualcire dal pensiero altrui, per non lasciarmi sfuggire le occasioni che la vita costantemente mi propone. Ritrovo questa spensieratezza e determinazione negli occhi dei fanciulli con cui faccio l’animatore ogni giorno e immancabilmente mi assale il pensiero che senza quella vena di intraprendenza infantile probabilmente non sarei qui in questo momento. In quante esperienze mi sarei realmente buttato, se mi fossi fatto condizionare dalla mente chiusa della società d’oggi? E cosa avrebbe pensato a quest’ora quel bambino che aveva come motto la frase di E. Roosevelt “il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”? I suoi occhi me li porto dietro ancora oggi, e nascondono nel profondo tutte le speranze di un ragazzo che inseguirà affannosamente tutte le avventure possibili, pur di riuscire a realizzare i sogni di un curioso bambino.
29 Marzo 2015 | Vorrei, quindi scrivo
Immagina di avere un appartamento extra-lusso a New York e un lavoro da giornalista al Rockfeller Center… Tu rinunceresti a questo per vivere in un monolocale di una via dimenticata di Kyoto?
Oppure a una carriera luminosa da biochimico per andare sull’Himalaya?
Così ha fatto Pico Iyer che ora vive in Giappone con la moglie e i figli; mentre Mathieu Ricard a venticinque anni si è rifugiato in Tibet, accolto dai monaci buddisti.
Perché sono fuggiti dallo stile di vita occidentale?
A Pico è venuto in mente di rallentare la sua vita quando era seduto su un taxi che attraversava New York. Era mezzanotte e aveva appena finito di lavorare. Pensò ai mille impegni che svolgeva ogni giorno, ma pensò a quanto poco tempo dedicava a se stesso. E ha preso la drastica decisione.
Spesso ci sentiamo inadeguati anche noi: la nostra lista delle cose da fare è sempre piena, ma ci sembra che la vita ci scivoli via dalle mani.
Ci sentiamo vuoti e cerchiamo di riempire l’anima con cose sempre nuove: il nuovo I-Phone, il nuovo vestito di Zara. Ma la sensazione di felicità rimane per poco tempo. Ci sentiamo come una bolla di sapone. Riflette i colori dell’arcobaleno,suscitando meraviglia dal bambino che l’ha soffiata, però essa scompare dopo pochi secondi …
E se invece di riempirci ci svuotassimo? Mathieu e Pico hanno messo in pratica questa pazza idea, invertendo il paradigma dominante.
Mathieu Ricard risiede da quarantacinque anni in una comunità monastica in Tibet, mentre Pico continua a lavorare come giornalista, ma non possiede né TV, né connessione Internet, né cellulare.
Minimo comune denominatore? Tutti e due credono nel potere della tranquillità.
In che senso tranquillità? Stare spaparazzati sul divano a guardare “The Big Bang Theory”?
No. Tranquillità, per loro, significa restare fermi e non pensare ad altro se non al momento presente. Quante volte cerchiamo di riempire i tempi morti controllando Whatsapp o scorrendo la bacheca Facebook ?
E se invece provassimo a lasciarci trasportare dal semplice nostro respiro e da cosa sentiamo in quel momento? Momento che non ritornerà più e di cui non troveremo mai il gemello perché ogni momento è sempre diverso e unico.
La prossima volta che vuoi sentirti meglio ascolta te stesso in silenzio, seguendo il consiglio di Ricard e di Iyer. Forse è più efficace del rumore della pubblicità.
Federico Musso