26 Marzo 2015 | Vorrei, quindi scrivo
La redazione di 1000miglia ha iniziato a collaborare con la testata online langheroeromonferrato.net . La nuova testata online langheroeromonferrato.net dedica uno spazio settimanale a 1000miglia dove cercheremo di raccontare il mondo giovanile che viviamo quotidianamente. Dalla scuola al rapporto con i genitori, dai modi in cui passiamo il nostro tempo libero fino alle possibilità che ogni giorno incontriamo, ma anche le difficoltà e le ossessioni di un giovane al giorno d’oggi, senza dimenticare come le si possono superare.
In questi giorni è possibile visitare langheroeromonferrato.net e leggere le presentazioni di ogni componente della nostra redazione in cui ognuno si racconta dicendo quali sono i principali temi che affronterà nei prossimi articoli. Commenti, condivisioni e appunti sono i benvenuti: scrivete alla nostra casella di posta 1000miglia1000miglia@gmail.com o lasciate un commento al fondo dell’articolo.
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3 Marzo 2015 | Vorrei, quindi scrivo
Lui e lei sono due compagni di classe liceali.
Lui non vuole passare alla storia come la generazione delle spunte blu di WhatsApp. Lei si chiede perché il problema maggiore di sua mamma sia la foto profilo di WhatsApp.
Lui non vuole essere chiamato “bamboccione”. Lei si chiede perché si preferisce un “Mi piace” ad un abbraccio.
Lui si cerca negli occhi degli altri. Lei si guarda allo specchio per guardarsi dentro.
Lui si mette in gioco. Lei si chiede qual sia lo spazio dei giovani.
A volte non si sa che cosa accada, che cosa succeda. Si sa solo che sia Amore che scelse. E ciò che fa Amore non ha eguali, non può essere contrastato. Va accettato, va vissuto. Per stare al passo delle scelte di Amore è amare.
È come il più che incontra il meno. Si sono sempre cercati loro, ora si sono uniti. C’è un mistero. Non si sa nulla, lo si chiama Amore. I due si accettano per quello che sono, compresi i difetti. Si donano l’uno all’altro. Si completano. Si amano.
Anche se lei non risponde appena visualizza il messaggio, lui sa che lei c’è. Anche se la mamma ogni tanto manca di attenzione, lei sa che lui c’è.
Lei lo ama per le sue idee e gli bacia la fronte perché crede di donare affetto ai suoi pensieri. Lui la abbraccia, racchiudendo in quel gesto lei per quello che veramente è: le sue esperienze, la sua storia, le sue idee.
Lui si trova nel suo sguardo innocente. Lei sa che le sue pagine interiori lui le sta sfogliando, sottolineando e ammirando ogni minimo dettaglio.
Lui ha la forza per non mollare nei progetti in cui si è tuffato. Lei ha capito che l’adulto è l’adolescente di oggi. Guarda Facebook e WhatsApp. Cambia idea ogni momento ed è geloso degli altri. L’unico spazio che le rimane sembrava essere la notte, ma grazie ad Amore con lui ha capito che il suo spazio è la vita.
27 Febbraio 2015 | Vorrei, quindi scrivo
L’alba del pescatore solitario. Foto di Paolo Julius Sceusa
Il pescatore stava allamando delle larve di mosca alla lenza secondaria.
Ormai sono 17 giorni che non riesco a catturare una preda che mi soddisfa. L’unica ragione che mi spinge ad alzarmi tutte le mattine all’alba, a prendere i pochi attrezzi che mi servono e a partire alla volta del blu ignoto era il ricordo della sensazione provata quando ho catturato il mio primo pesce impegnativo. Ahhhhhh che bel ricordo. La sensazione di sentirsi capaci. Mi ricordo quando dopo un’ultima tirata ero riuscito ad issare il pesce a bordo. La sua bellezza era rara: le squame riflettevano la luce del sole ad intervalli irregolari, che seguivano il confuso dimenarsi del pesce fuori dall’acqua. Quel giorno sono tornato col sorriso cucito sul viso e il cuore pieno di soddisfazione.
Ma mentre penso al passato mi pungo con l’amo. Accidenti che scemo. Mi metto il dito in bocca e continuo a trafficare con la lenza secondaria. Ma non sono concentrato, perché il desiderio di riavere a che fare con un avversario all’altezza mi porta continuamente a lanciare sguardi curiosi alla lenza primaria. La guardo con attenzione e mi immagino di vedere la punta della canna incurvarsi verso il mare. Una volta, due volte, quasi come fosse un inchino fra la canna e il pesce prima dell’inizio di una danza mortale. Ma all’improvviso realizzo: non me lo sto immaginando! La canna si sta muovendo! Dannazione, al diavolo la lenza secondaria! La getto lontana da me e mi fiondo sulla canna primaria. La punta si è mossa varie volte già, ma sono state tutte toccate molto leggere. Ci vuole un affondo più marcato per poter cominciare a combattere con il pesce. Ma il pesce non si fida, ha visto numerose volte i suoi simili venir ingannati e distrutti in quella maniera.
Gli occhi del pescatore brillavano mentre scrutavano la punta della canna.
Finalmente la punta si inchina con violenza e come risposta io do un bello strattone alla canna, portandola verso di me. Ora io e il pesce siamo connessi, siamo una cosa sola. L’emozione inizia a salire, come sarà? Riuscirò a vincerlo? Riuscirà a raggiungere le mie aspettative?
Tolgo la canna dal suo sostegno ed inizio a girare la manopola del mulinello. Diamine se è forte! Mi tocca allentare la frizione, altrimenti tutto questo suo tirare finirà per spezzare la lenza. E’ pieno di energie e sento che si prende metri e metri di lenza. Ma ad un certo punto si ferma, forse stanco e lì capisco che è il mio turno. Inizio ad avvolgere la lenza col mulinello e ci metto il massimo dell’impegno. Passano i minuti, le decine di minuti, le quarto d’ore: la lotta è fantastica, l’adrenalina più alta che mai. La sensazione di essere in sintonia con esso è rinfrescante.
Sono di nuovo io a tirare, ad avvolgere il filo così che la distanza fra me e lui diminuisca, ma ad un certo punto la canna si inceppa e un’improvvisa virata del pesce fa curvare l’attrezzo così tanto che per pochi centimetri non graffia il pelo dell’acqua. Riesco a raggiungere la leva della frizione e la sgancio; il pesce prende corda e tutto si salva.
La paura che la lenza si spezzasse allagò il cuore del pescatore: non voleva perdere questo pesce.
Piano piano con più tenerezza, il nostro scontro continua. La mie gambe si sono fatte molli; mi ricordo che devo respirare e con calma espiro ed inspiro. Cautamente inizio a riserrare lentamente la frizione, sempre cercando di non bloccarla troppo. Non vorrei che la lenza si spezzasse. Ormai è il mio pesce. La mia immaginazione lo dipinge come una perfetta macchina da nuoto, col corpo affusolato, la linea centrale nera e le squame argentate come gioielli reali. Tramite la tensione della lenza posso percepire i suoi movimenti che sono affascinanti, potenti. Fra tutti i pesci, sono contento, anzi felice di aver allamato proprio questo.
Ormai la nostra danza continua da qualche ora e sento che non siamo più distanti. Forse ci separano cinque metri, forse dieci.
L’angolo che il filo forma con la superficie del mare inizia ad ampliarsi e questo significa solo una cosa: il pesce si sta sta stancando e sta cominciando a risalire verso il pelo dell’acqua. Ricomincio ad avvolgere il mulinello e poi succede. Il pesce fa un balzo fuori dall’acqua. E tutta la mia fantasia si concretizza in quel momento. Il pesce esiste, è lì. So quanto dista da me. Ho scambiato uno sguardo con lui. Voleva vedermi e mi ha visto. Forse mi ha detto “Complimenti bella lotta” o magari mi ha insultato. Poco importa.
Il nostro legame è saldo e io lo voglio portare a casa. Riavvolgo, riavvolgo.
Lui si gira, scoda. La lenza si tende all’estremo..
La lenza si spezzò e il pescatore cadde sulla sua schiena.
Apro gli occhi e vedo il cielo. Dico “Sì stai tranquillo capita”. Ma questo pesce significava molto per me. Mi sento come un bambino a cui è caduto il gelato appena comprato. Spiazzato, triste e anche un po’ arrabbiato. Ma è colpa mia? O è colpa sua? Non mi sembrava di aver esagerato con la tensione della lenza. Dannazione era importante per me. Poco fa ero immerso in un duetto soddisfacente, ora sono solo e confuso e dolorante. Chi me lo fa fare di rialzarmi e riprovare se è probabile che tutto ciò riaccada? Il cielo diventa sfocato, la barca va alla deriva e io, immobile, raccolgo i pezzi che si sono rotti.
Domani sarò di nuovo a pescare.
Stefano Lomartire
14 Febbraio 2015 | Vorrei, quindi scrivo
fonte: eosarte.eu
Si chiama Yusuf. E’ nigeriano e a causa del terrorismo di Boko Haram ha perso suo fratello minore otto mesi fa. Suo padre è morto di colera e la mamma cerca di allevare al meglio gli altri tre figli, lavorando nella notte come sarta e educando i figli durante il giorno giorno. La situazione si è fatta sempre più insostenibile e, quando ha perso il lavoro per la sua fede e non riusciva più a portare il pane a casa, ha preso la decisione di fuggire. Di scappare perché è venuta meno la sua dignità come uomo, sperando che in altri luoghi si ricordassero che, a prescindere dal colore e dalla fede, anche lui è un essere umano. Yusuf è sbarcato a Lampedusa da due giorni. Come ha incontrato le forze di polizia nel centro di accoglienza si è lasciato andare, sfogandosi in un monologo interiore di una delicatezza fortemente toccante.
“Ho pagato 1800 dollari per la traversata. Sono stato rinchiuso in un capannone in Libia tre giorni, ammassato, senza acqua nè cibo. Poi di corsa su una zattera a motore, stipato con altre 160 persone. Il mare era molto mosso. Ora posso dire troppo. Faceva molto freddo. Ora posso dire troppo. In tutti noi, che non siamo nè ladri né persone cattive, c’era tanta speranza. Ora posso dire troppa. Sono partito dalla Nigeria con un fratello morto in un attentato. Sono arrivato in Italia con 130 fratelli morti assiderati. Mi stupisce pensare che entrambi siano morti in un viaggio alla ricerca della speranza: spirituale e terrena.
Sono triste e desolato perché sono partito senza niente, ora niente mi rimane se non me stesso. E se la mia povertà non mi consente di alzare la testa, la mia dignità non mi permette di abbassarla. Ma cosa faccio ora? Sono consapevole che in un momento come questo per il vostro paese posso essere un di troppo, ma in altri stati forse no. Però sono certo di essere un “eccesso”, se così si può definire un uomo, solo a livello economico, perché per tutti coloro che hanno un cuore non posso essere altro che un fratello da accogliere. Un uomo con due occhi, una bocca, un naso, nato dal rapporto d’amore tre due persone come tutti, in cerca di vita e dignità umana. E queste due cose non si imparano dal maestro di scuola o di ballo, ma alla scuola del cuore. E per fortuna ognuno ne ha uno, quindi può sempre imparare.
Se non c’è posto per me, ditemelo, non accusatemi. In Nigeria non c’era spazio per me, non rispeditemi indietro come un pacco arrivato rotto o fallato. Sono intero e pieno di vita. Indicatemi un altro luogo dove andare. Per il momento, però, accoglietemi per quello che sono e suggeritemi cosa fare. Mai come in questo momento ho bisogno di te, fratello bianco. Non a livello economico, ma a livello umano. Perché anche se non ho un conto in banca e uno stipendio, ho una dignità da ritrovare e una vita da scrivere. Per il resto mi basta un tozzo di pane e un bicchiere d’acqua.
Forse per i pochi che governano il mondo io e la mia storia non siamo altro che una goccia nell’oceano. In realtà questa goccia è una persona che ha un cuore. E al cuore non si comanda, anzi, tutto quello che esce da qui è contagioso. Per questo sono convinto di potercela fare.”
Luca Lazzari
Il racconto è frutto della sola immaginazione di me scrittore. E’ una semplice riflessione sullo stato d’animo di un immigrato, inconsapevole e ignaro, come me, di tutte le dinamiche politiche, economiche e di interesse che si nascondono dietro il traffico di persone umane.
30 Dicembre 2014 | Vorrei, quindi scrivo
Tutto questo tempo a chiedermi
cos’è che non mi lascia in pace .
Tutti questi anni a chiedermi
se vado veramente bene,
così, come sono.
Così un giorno
ho scritto sul quaderno:
“Io farò sognare il mondo!”.
E la verità è che:
ho aspettato a lungo
qualcosa che non c’è,
invece di guardare il sole sorgere.
Ed era solo voglia di avere gloria.
E non sapevo più chi ero,
io che, sono unico.
E miracolosamente non
ho smesso di sognare.
E miracolosamente
non riesco a non sperare.
E se c’è un segreto
e’ fare tutto come
se vedessi solo il sole.
E non
qualcosa che non c’è.
Cerca te, che vali.
Uno studente – (Qualcosa che non c’e’ – Elisa)