9 Novembre 2014 | Vorrei, quindi scrivo
Vi ricordate quando da bambini scambiavate le figurine dei calciatori con i vostri compagni per poter terminare per primi l’album? E voi ragazze, quante volte vi sarete attaccate al cappotto della mamma, supplicandola con occhi dolci, per un nuovo pacchetto di braccialetti? E nel caso in cui il colpo non andava a buon fine, si ricorreva sempre alla nonna che, dopo poco, cedeva pur di vedere la propria nipotina soddisfatta.
Poi uno cresce, si distacca dalla massa venendo a conoscenza del fatto che in fondo non è male essere se stessi. Si scopre che il mondo è bello perché vario e, con l’avvento di quel bizzarro periodo detto adolescenza, si inizia a spaziare fra collezioni di monetine da un centesimo, scarpe mozzafiato, autografi, linguette di lattina e chi più ne ha più ne metta. Personalmente, in quanto a collezioni, non sono mai stata una grande fortuna per tutte quelle aziende che si occupavano di figurine e braccialetti perché, fossero stati tutti come me, avrebbero fatto fallimento ben presto. Crescendo non ho mai avuto passioni sfrenate e, forse, nemmeno la costanza per collezionare qualcosa che veramente mi piacesse. Vorrei però specificare che parlo di beni materiali: non ho cassetti pieni di francobolli provenienti dal mondo intero né quaderni con ritagli di pubblicità di bibite, ma ho un angolo nella mia mente dedicato ad una collezione iniziata di recente.
D’ora in poi sarò per voi la collezionista di sorrisi.
Quest’estate ho avuto a che fare con una persona alla quale il mondo, per certi versi, stava voltando le spalle. Un giorno gli chiesi un favore, gli diedi un consiglio, quello di collezionare bei momenti, di collezionare sorrisi. Forse, anche se per poco, in tutto quel marasma di brutte cose, avrebbe potuto trovare un momento di pace.
Iniziò così, per caso, la mia collezione. Da un consiglio la feci mia, non mi dispiaceva come idea. Scoprii ben presto che un sorriso non era solo il movimento di 12 muscoli facciali, ma era uno scrigno prezioso che racchiudeva emozioni e parole non dette. Divenni più attenta alle persone, non solo a quelle che mi stavano abitualmente accanto, ma anche a coloro i quali incrociavo per la strada, nei negozi, alla fermata dell’autobus. Mano a mano incominciai a fantasticare sulle storie che stavano dietro quei sorrisi spontanei: chissà, magari quel ragazzo con fare baldanzoso tornava dal bar con gli amici dopo aver assistito alla vittoria della sua squadra del cuore, quell’anziano elegante si stava avviando verso la casa di un familiare per un pranzo con i nipoti, il bambino per mano alla mamma era diretto verso il parco giochi e la signorina distratta che attraversava le strisce pedonali rientrava dopo un paio d’ore trascorse con un amico speciale. Grazie alle mie osservazioni iniziai a differenziare i sorrisi veri da quelle smorfie false e forzate che di spontaneo non avevano nulla. Potrà sembrare strano, ma quando esci di casa, cielo grigio, cinque ora di lezione che ti attendono, auto che ti sfreccia a 5 centimetri e ti sporca il nuovo paio di jeans appena indossati, litigata fresca con i tuoi, una giornata persa insomma, un sorriso incrociato per strada può salvarti.
Iniziai, quindi, a preservare anche il mio di sorriso. Perché no, magari avrei potuto sollevare la giornata di un perfetto sconosciuto seduto accanto a me sul treno. Poi mi sentivo meglio, un sorriso distende i muscoli, ti fa avvertire un certo formicolio lungo tutto il corpo, dona energia ed allegria. Non lo percepisci anche tu?
Come sostiene una mia cara amica il sorriso non è una torta di mele, non è uno sfizio a fine pasto, è il bicchiere d’acqua senza il quale non si sopravvive. Proseguendo la mia collezione di sorrisi fra una persona a cui è stata data una bella notizia, una che ha fatto la scoperta del secolo, una che ha ricevuto un abbraccio inaspettato, una che ha preso un bel voto di greco, una che ha trascorso un buon fine settimana in compagnia, una che è soddisfatta delle proprie scelte ed un’altra ancora che è contenta della vita, credo che per me i sorrisi non siano più il solo bicchiere, ma equivalgano ad una bottiglia da un litro e mezzo d’acqua, minimo.
Eppure di gente assettata ed a bocca asciutta se ne vede. Volti imbronciati, volti stanchi, volti cupi, volti sfiniti, volti privi di vita, volti assenti.
Vorrei che tu non fossi fra questi, vorrei che tu fossi uno di quelli che vada ad arricchire la mia collezione.
Iniziamo così, pensa a qualcosa di bello.
Anzi no, che cosa dico? Pensa a qualcosa di stupendo, di elettrizzante, di speciale, un qualcosa da ”WOW”.
Pensato? Sei pronto?
Se l’immagine è potente al punto giusto ti renderai conto che ora, sì proprio in questo momento, stai sorridendo.
Magari starai anche ridendo.
Sfogati, quei sorrisi inaspettati stupiscono, fanno bene. Non ti senti meglio?
Parti da qui, da questo tuo sorriso.
Come diceva Charlie Chaplin, ”un giorno senza sorriso è un giorno perso”.
Eleonora Sarale
5 Novembre 2014 | Vorrei, quindi scrivo
Ci sono parole che non vanno sprecate, vanno prese e accostate all’immagine che si vuole esprimere solo se questa è degna di tale significato. La parola è l’anima di un discorso, è emozione che non può essere sprecata. È sentimento che colpisce chi ascolta, che penetra chi la fa sua fino nel profondo.
Innumerevoli sono stati i discorsi fatti in questi giorni: Renzi-Ue, Jobs Act, caso Cucchi, comportamento della polizia alle manifestazioni,… Eppure molte parole sono state scritte solo a rigor di cronaca. Per riempire uno spazio bianco che altrimenti sarebbe stato vuoto.
Parole parole parole… A volte perfino prive di dignità. Cosa potrebbe dire Stefano Cucchi se fosse ancora qui? Non lo sapremo mai. Possiamo fidarci solo di quanto è riferito dalla famiglia, dai testimoni e dalla magistratura. Invece tutti ne parlano, accusando l’uno o l’altro.
Non pretendo di decifrare cosa sia successo e fare giustizia, ma credo che il rispetto e la dignità siano parole da accostare a queste situazioni. Quindi uno spazio bianco in più è una scritta in meno, soprattutto da chi non è chiamato in causa, possono portare a una degna riflessione su un caso che chiede solamente tanto rispetto, non urla da stadio.
Perché a volte è inutile fare gli indomabili per qualche giorno e poi tacere per sempre. È utile tacere, riflettere e ridare dignità a un qualcosa, che in qualunque modo sia andato, non deve più ripetersi.
Avere a cuore un qualcosa non vuol dire solo provare passione, quel furore che non fa più ragionare, ma anche amore: farlo proprio e portarlo dentro con sè. E anche se non grida fuori da ognuno di noi, è fondamentale che stia dentro.
Le parole giuste, come in questo caso, portano anche al giusto comportamento. Infatti non tutto deve essere rumoroso, confusionario o esagerato. Perché, come dice un detto cinese, fa rumore un albero quando cade, non una foresta quando cresce.
Luca Lazzari
26 Ottobre 2014 | Vorrei, quindi scrivo
Ogni giorno ha un significato diverso se vissuto da essere umano. Non che il giorno da persona umana abbia durata differente rispetto a quello vissuto da un cane, ma l’uomo in quanto tale sa amare, patire (come veniva inteso nell’antica Grecia: ira e furore che portano all’azione), gioire. Sa fare proprio il giorno che vive. Ma troppo spesso se ne dimentica.
Quasi ogni data è ricorrenza di una festività, di una celebrazione per qualche conquista di diritti o di sviluppo che la gente umana si è guadagnata nel tempo. Con lotte, rivoluzioni, movimenti silenziosi e azioni di gruppo. Digiuni, ma anche forza di pensiero e speranza per il prossimo futuro. Perchè ci si metteva in gioco per migliorare le proprie condizioni di vita con la convinzione che un sacrificio oggi sarebbe stato un regalo per i propri figli.
Per ricordare la bellezza e la grandezza di queste vittorie vorrei fossero istituiti i giorni del “non cambiamento”.
Il 9 maggio si celebra la festa dell’Europa. Immaginiamo di organizzare una “festa della non-Europa”, dove tutto quello che è stato costruito a livello europeo è sospeso per 24 ore: reintroduzione dei confini nazionali; reinserimento di tariffe doganali; annullamento delle leggi sulla tutela dei consumatori, sulla protezione degli animali, sulla sostenibilità ambientale e via dicendo.
Il 20 novembre è la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Pensiamo a un giorno in cui lo studio non è più un diritto. Zappare la terra a sette anni ed essere in ferma militare mentre si frequenta la scuola media legge. Un giorno dove non essere amati da mamma e papà sia la normalità.
Per non parlare del 25 aprile, festa della Liberazione e del 2 giugno, festa della Repubblica. Vorrei un giorno in cui fascismo e monarchia, con le loro conseguenze, fossero con noi. Non per masochismo, ma per apprezzare maggiormente la mia vita quotidiana. Queste sono poche date simbolo che ci ricordano la bellezza e la virtù di poter vivere nel 2014.
Eppure per noi ogni giorno è così noioso, così monotono e così inutile che quasi non ha senso di essere vissuto. E questo è il male peggiore che stiamo facendo ai nostri antenati che con determinazione speravano in un futuro migliore per noi. Forse sì, non tutte queste conquiste sono definitive o tanto apprezzate da essere indispensabili alla quotidianità come potevano sembrare ieri, ma certamente sono da ricordare perchè sono state fatte pensando a noi, al nostro benessere.
Noi che scelte stiamo per compiere? Che mondo vogliamo lasciare? Di certo ognuno di noi ha qualcosa che vuole cambiare. Come?
Intanto iniziamo a vivere l’oggi, magari con gratitudine, per scrivere il domani.
Luca Lazzari
12 Ottobre 2014 | Vorrei, quindi scrivo
Camminando a testa alta, guardando negli occhi chi si incrocia per strada, si possono fare due scelte: sfidare il passante o scorgere le gioie e paure che pervadono dalle sue pupille. A meno di istinti violenti è preferibile la seconda possibilità, anche se farsi carico dei sentimenti degli altri probabilmente non spetta a noi. Eppure ogni tanto incontrare qualche occhio turbato può essere un’ottima cura per ricordarci che siamo uomini, animali capaci di stupirci della nostra esistenza.
Rimanere meravigliati è tanto più difficile quanto maggiore è il livello di normalità. Ad oggi la nostra esistenza si sta trasformando in un’ordinaria vita condotta dall’assioma del benessere. Una legge oltre i pilastri economici e sociali come comunismo e capitalismo, ma che è ormai così dentro al nostro essere che regola il nostro modo di essere, di agire, al solo scopo di stare meglio noi, nel nostro egoismo. Si potrebbero elencare infiniti esempi di questo comportamento e ognuno di noi, analizzando se stesso, trova certamente proprie espressioni di tale atteggiamento. L’obiettivo comune di ognuno è diventato il soddisfarsi, il nascondere i propri difetti a discapito del proprio stare bene. L’omologarsi alla normalità per non distinguersi, per non essere se stessi. L’aspirare al copiare l’altro anziché sviluppare se stessi, i propri talenti che ciascuno possiede.
Fedor Dostoevskij scriveva che sarà la bellezza a salvare il mondo. La bellezza è copiare l’altro o essere originali? È indagare se stessi per provare a scoprire i propri pregi e difetti o assumere quelli altrui? La bellezza è marchiata dal copyright, dall’originalità: non è espressione di cose già esistenti. E ognuno di noi è espressione del proprio copyright, della propria originalità. Come si fa a spiegarci che tra gli 80 miliardi di esseri umani che hanno calpestato il suolo non ce n’è uno o una come me stesso? Come si fa a farci credere che si è la propria biografia, ma che soprattutto la propria autobiografia?
È allo stesso preoccupante e speranzoso pensare al domani. L’unica certezza è che saremo noi a incontrarci con il nostro prossimo futuro e se non proprio in prima persona, magari il nostro figlio o nipotino. Eppure il domani è già qui, perché si inizia a costruirlo ora. Meglio un domani col copyright e il certificato di eccellenza, in cui ognuno trova posto perché esprime la sua bellezza o un domani dove non c’è posto per tutti, perché si è la copia dell’altro? La speranza è che siamo noi, oggi, a scegliere il domani per tutti che vogliamo.
Luca Lazzari