3 Maggio 2019 | Vorrei, quindi scrivo
“Una sola cosa allora volevo: tornare in Africa. Non l’avevo ancora lasciata, ma ogni volta che mi svegliavo, di notte, tendevo l’orecchio, pervaso di nostalgia”. É così che Ernest Hemingway racconta del Paese che tanto l’ha ammaliato. Una Terra selvaggia, antica e viva. Io non ho mai visto l’Africa. Tutto ciò che so è tramite i libri e i documentari, ma si è risvegliato un desiderio in me, di conoscere, vedere con i miei occhi e provare a capire.
Così ho deciso di entrare a far parte della grande famiglia di IOP, con volontari da tutto il mondo e di mettermi in gioco per contribuire, nel mio piccolo, a dare una mano al prossimo. Non so se sia stato un sogno rivelatore o semplicemente un pensiero uscito all’improvviso dal cassetto, ma l’idea di partire per un viaggio lontano era così bella in quel momento, che ho deciso di assecondarla.
IOP è una ong che opera nel villaggio di Ilula, nel cuore della Tanzania. É una Terra sorprendente, che rispecchia i colori della sua bandiera, verde come le foreste tropicali, giallo come la savana, blu come le isole e nero come l’Africa Nera.
IOP sta per Ilula Orphan Program Italia, il villaggio si trova a circa 400 km da Dar Es Salaam, il Centro è un orfanotrofio dove sono ospitate una trentina di bambine e ragazze con alle spalle un passato e delle storie difficili, ma che stanno ricominciando da zero, crescendo in una piccola isola felice.
Per raggiungere il Centro è necessario prendere un bus da Dar (sono circa 8-10 ore di viaggio). L’orfanotrofio è gestito sia da volontari sia da gente locale. Mette a disposizione delle stanze semplici, ma confortevoli, con energia elettrica e acqua corrente. La giornata del volontario è intensa, dal lavoro nell’orto al testing dell’HIV, dalle attività nella scuola materna IOP alle visite alle Foster Family, dall’andare a trovare i ragazzi sostenuti a distanza per raccogliere foto e notizie aggiornate al dare una mano alla casa dei polli, tinteggiare alla High School, aiutare in cucina o insegnare l’inglese alle ragazze dell’orfanotrofio.
Insieme a me partono moltissime altre persone. “Ti innamorerai e non vorrai più andartene” è quello che mi ha confessato Giulia Mellano, sostenitrice IOP e innamorata dell’Africa. Tutti i volontari hanno un forte spirito di iniziativa e di partecipazione, prima di partire vengono organizzate molte attività per raccogliere i fondi e si da il via a dei progetti per poter portare avanti ciò che accade a Ilula.
Alcuni esempi sono lo Sponsor Program, programma di sostegno a distanza per i bambini, per lo più orfani, le cui famiglie non potrebbero permettersi di mandarli a scuola, e il Fondo Sanitario, che permette di raccogliere fondi per garantire ai bambini l’accesso a tutte le strutture sanitarie e alle cure di cui hanno bisogno.
I volontari si mettono in gioco, organizzano incontri per far conoscere l’associazione, il programma e ciò che si cerca di fare e portare avanti a Ilula ogni giorno.
Quest’anno, tra le tante attività, si sta organizzando una serata dedicata allo yoga della risata.
Domenica 26 maggio dalle 17 alle 19 nella palestra “CH4 sporting club” a Torino, ci sarà una lezione di yoga tenuta da Stefano Passarella, a cui tutti possono partecipare. L’obiettivo è quello di portare “un sorriso per Ilula” e condividere insieme una serata dedicata alle bambine dell’orfanotrofio. In seguito alla lezione ci sarà un piccolo rinfresco e un banchetto da cui sarà possibile acquistare i prodotti IOP. I soldi raccolti fanno parte di un fondo per l’orfanotrofio. Inoltre i volontari potranno intervenire, parlare delle loro esperienze e far conoscere l’associazione e Ilula.
È una bella iniziativa, per una buona causa. Il volontariato è una prestazione gratuita della propria opera, e dei mezzi di cui si dispone, a favore di persone che hanno importanti necessità e bisogno di aiuto e di assistenza.
Per poter diventare volontario bisogna abbandonare i propri schemi, essere consapevoli di andare incontro a realtà delicate e diverse dalle nostre, essere consapevoli del fatto che a volte sarà difficile capire perché tante cose funzionano in una certa maniera piuttosto che in un’altra. Bisogna essere flessibili, pronti ad adattarsi ad ogni situazione, non lamentarsi e cercare di essere energici al 100% tutti i giorni. Essere volontario vuole anche dire mettersi in gioco e dare il meglio di sé, scoprire mondi nuovi, capire quale importanza dare alle cose e anche le priorità che ciascuno di noi vuole avere.
Il Comitato di IOP scrive sulla sua pagina online:
“Ti sentirai inutile, l’utilità di questo viaggio la capirai al ritorno, e forse ci sarà bisogno di tornare, e poi tornare, e ogni volta capirai di non aver ancora capito nulla. Stai per fare un’esperienza bellissima da tutti i punti di vista, che ti darà tantissimo e al tuo ritorno riderai della malaria, dei vaccini, delle banane in umido di cui non ne potrai più, dell’acqua scarsa e di tutto il resto. Ti rimarrà invece la grandezza di quello che hai vissuto.”
14 Aprile 2019 | Vorrei, quindi scrivo
Quando si parla di censura si pensa a realtà lontane dalla nostra, storicamente o culturalmente. Avere questa visione è, però, un errore. Lo sapevate che la parola “mestruazioni” viene ancora oggi censurata da molti media? Tra cui quei social, su cui, io credevo, le persone potessero ormai liberamente parlare anche di argomenti considerati tabù.
E’ proprio di tabù che si è parlato il 26 marzo alla Scuola di Management ed Economia a Torino. “Disruptive Content” è il titolo dell’evento organizzato dal Marketer’s Club, un’associazione di studenti appassionati di marketing, comunicazione e management che si distingue per la pianificazione di corsi di formazione, collaborazioni e incontri con aziende e professionisti e per l’organizzazione di eventi volti a preparare gli studenti al mondo del lavoro.
Quest’anno il Marketer’s Reaction ha avuto come protagonista la pubblicità scomoda, tematica sempre più centrale negli ultimi anni. Tra gli obiettivi della giornata quello di mostrare come grandi marchi abbiano dovuto promuovere prodotti legati a tematiche difficili da affrontare nella quotidianità in maniera semplice ed elegante. Tali marchi si sono evoluti nel corso degli anni, modificando le strategie di marketing e cercando di rompere preconcetti.
Il primo ospite, Davide Dalle Crode, è Amministratore di Intimaluna SRL. Ha fondato la società insieme a la Bottega della Luna, un gruppo di donne che affrontano da sempre i discorsi più scomodi dell’intimità femminile. Crea partnership con le migliori aziende in Europa che trattano argomenti affascinanti: mestruazioni, perineo e sessualità.
Il secondo ospite, Paolo Schirripa, è responsabile commerciale di Giubileo.
Entrambi gli ospiti sono a stretto contatto con realtà delicate e difficili da promuovere: il primo ha parlato di sesso, giochi erotici e coppette mestruali, il secondo di onoranze funebri.
Partecipando all’evento ho apprezzato la semplicità e la leggerezza con cui questi temi sono stati affrontati, non perché banali, ma perché quotidiani. Ambedue i relatori hanno messo a loro agio gli ascoltatori, trattando gli argomenti in modo chiaro e naturale.
Il “tabù”, in polinesiano, si riferisce a un’interdizione, infrangerlo è considerata cosa ripugnante e degna di disprezzo da parte della comunità. In alcune culture trasgredirlo significa essere condannati a morte. Oggi il termine viene utilizzato in maniera più superficiale per indicare quegli argomenti di cui la gente fa fatica a parlare liberamente, come il sesso o la morte. Per questo il Marketer’s Club ha voluto dimostrare come alcuni discorsi possano venir trattati in pubblico senza imbarazzo, secondi fini o vergogna.
Schirripa ha spiegato come Giubileo ha da sempre escluso la pubblicità personalizzata per evitare di invadere la sfera emotiva del cliente: è quest’ultimo che si rivolge direttamente a loro nel momento del bisogno. Il nome dell’azienda è entrato nella mente delle persone grazie al passaparola. Il relatore ha detto, scherzando, che come il nome “Lessie” viene utilizzato per identificare tutti i Border Collies, il nome “Giubileo” viene ormai utilizzato per le onoranze funebri.
Sempre parlando di forme pubblicitarie, è vero che all’estero la mentalità è diversa rispetto a quella italiana, molto legata alle tradizioni e alla religione. Dalla Crode ha spiegato come il mercato di sex toys estero è cresciuto negli ultimi anni e che aziende come Fun Factory, in Germania, non hanno difficoltà a promuovere i propri prodotti in maniera naturale. La stessa promozione in Italia deve essere revisionata: si ricerca un approccio diverso con il consumatore, di farlo ridere, forse perché non si riesce a prendere l’argomento sul serio o perché si ha paura di offendere.
Nel 2004 Sara Magrini e Laura Brugnoli hanno pubblicato un libro intitolato “Io e la mia coppetta”, in cui danno tutte le informazioni su come funziona una coppetta mestruale. É stata una novità nel nostro paese, che però ha fatto scalpore… e non parliamo di secoli fa!
Nel 2015 Kiran Gandhi ha tagliato il traguardo della Maratona di Londra con i pantaloni sporchi di sangue, pensare di correre con del cotone incastrato tra le gambe le sembrava assurdo. Il dibattito globale che è seguito le settimane seguenti ha dimostrato quanti pregiudizi ci siano ancora. La maratoneta ha dichiarato: “Per me, il problema insito nella nostra incapacità di parlare con sicurezza del nostro corpo, sta nel fatto che non possiamo decidere cosa sia meglio per noi. Inoltre, il cammino verso soluzioni migliori è ancora più impervio per le donne perché nessuno vuole parlarne.”
Eppure mi chiedo, perché Rocky Balboa con la faccia coperta di sangue è un eroe, mentre Kiran Gandhi con i pantaloni leggermente macchiati a causa di una funzione fisiologica deve provare vergogna?
Si spera che in un futuro tanti argomenti che vengono ancora oggi considerati proibiti verranno trattati in maniera più naturale, per contribuire alla formazione di una società più moderna e open-minded.
27 Febbraio 2019 | Vorrei, quindi scrivo
La senti la puzza di bruciato, l’odore di gomma sciolta a causa del caldo? Non è immaginazione, il mondo intorno a te si sta surriscaldando e se non agisci in fretta presto andrà a fuoco.
Il cambiamento climatico è un fenomeno che esiste e riguarda tutti noi. Le cause che lo provocano sono molteplici, iniziamo da qualche dato che fa venire la pelle d’oca: servono migliaia di tonnellate di petrolio e vengono emesse milioni di tonnellate di CO2 per produrre una bottiglia di plastica.
Secondo alcune statistiche negli ultimi 10 anni è stata prodotta più plastica di quanto si sia fatto nel secolo precedente. La metà dei prodotti sono usa e getta, ma essendo la plastica indistruttibile, dove finisce quando viene gettata? Ricopre terre e oceani. Il WWF, ha stimato che oggi vi siano più di 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani e che nel 2050 avremo, in peso, più plastica che pesci.
Tali rifiuti, a causa dei raggi ultravioletti, del sale e delle onde del mare, si disintegrano in piccoli pezzi di microplastica, ricca di veleno tossico, che viene poi ingerita dai pesci che mangiamo.
Avete presente i braccialetti della 4Ocean? Semplicissimi: uno spaghetto bianco in cui sono infilate perle di vetro trasparente. 4Ocean è un’associazione nata negli Stati Uniti il cui obiettivo è ripulire gli oceani. Le bottiglie raccolte vengono riciclate e usate per costruire un braccialetto. Per ogni bracciale venduto 4Ocean rimuove il corrispettivo di un chilo di immondizia.
I volontari sono riusciti a raccogliere circa 40 mila chili di rifiuti dalle spiagge e dalle acque di USA, Caraibi e Canada in meno di un anno: non male come iniziativa.
Altro fenomeno che contribuisce al cambiamento climatico è il greenhouse effect.
L’anno scorso Paul Nicklen, fotografo di National Geographic, ha ripreso un orso polare morente alla disperata ricerca di cibo in Somerset Island, isola dell’arcipelago artico canadese. Ha commentato dicendo “This is what climate change looks like” e ha ragione.
I gas che vengono rilasciati nell’atmosfera creano una bolla attorno alla Terra: più CO2 viene emessa, più la bolla si irrobustisce e trattiene il calore, portando il nostro pianeta a temperature elevatissime.
Nel momento in cui le temperature si alzano, i ghiacciai si sciolgono: ciò modifica l’habitat e la salute degli animali, ma è anche la causa scatenante di moltissimi disastri ambientali. In futuro molte aree dovranno essere abbandonate perché diventate invivibili.
Ansia? É giusto essere consapevoli di ciò che sta succedendo in modo da poter intervenire e cercare di rimediare. C’è ancora speranza, la stessa che i volontari di 4Ocean vogliono trasmettere.
Il 20 agosto 2018 Greta Thunberg, sedicenne svedese, ha dato il via alle sue proteste contro il cambiamento climatico sedendosi davanti al parlamento svedese in compagnia di un cartello su cui c’era scritto “Skolstrejk för klimatet”: sciopero scolastico per il clima.
In un primo momento nessuno le aveva prestato attenzione, ora migliaia di adolescenti seguono il suo esempio e scendono in piazza per ricordare a tutti le responsabilità in materia di cambiamento climatico. Greta è la promotrice dello sciopero internazionale degli studenti per il clima indetto per il 15 marzo ed è riuscita dove organizzazioni enormi come Greenpeace hanno fallito.
“Se usare i combustibili fossili minaccia la nostra esistenza, come è possibile che continuiamo ad usarli? Perché nessuno parla dei pericoli del cambiamento climatico che è già in corso? E che 200 specie animali si estinguono ogni giorno? Sento la gente dire che il cambiamento climatico è una minaccia alla nostra esistenza, però tutti vanno avanti come se niente fosse”.
L’Unione Europea si è mobilitata per prendere provvedimenti. Tra gli obiettivi c’è quello di ridurre entro il 2050 le emissioni di gas a effetto serra dell’80-95% rispetto ai livelli degli anni ’90 e di incoraggiare investimenti in tecnologie verdi.
Ognuno di noi, nel suo piccolo, può darsi da fare. Volete qualche consiglio? Eccone alcuni:
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investire di più nei mezzi pubblici e nella mobilità ciclabile;
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scegliere energia rinnovabile o diventare soci di cooperative che la immettono sul mercato;
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evitare l’usa e getta, preferire il riusabile;
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avere cura dell’ambiente, supportando l’agroecologia e rispettando gli ecosistemi vitali del pianeta;
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comprare frutta e verdura locale, di stagione e biologica. Per i più coraggiosi eliminare carne e latticini provenienti da allevamenti industriali.
La crisi del clima è un’emergenza che non ammette soluzioni sfumate, bisogna intervenire ora, collaborare ogni giorno e prevenire: noi giovani più di tutti dobbiamo renderci conto che se non si fa qualcosa subito il nostro futuro, quello dei nostri amici, dei nostri figli e dei loro nipoti è a rischio. Come ha esplicitato Greta Thunberg: “Voglio che passiate all’azione e facciate come si fa in qualsiasi emergenza. Voglio che facciate come se casa vostra stesse andando a fuoco. Perché sta andando a fuoco”.
13 Febbraio 2019 | Vorrei, quindi scrivo
«Una start up è come un gruppo musicale. Cerchi un batterista e qualcuno dice: ‘Ah, io andavo a scuola con uno che suonava la batteria’. A quel punto, il tuo futuro si lega a doppio filo a quello delle persone con cui ti ubriacavi al bar dell’università o giocavi dopo la scuola».Garry Tan, fondatore di un fondo di capitali di rischio, descrive così la nascita di una start up: servono un paio di amici, una bella idea, un pò di talento (e di fortuna) e i compagni del liceo diventano manager o, nell’altro caso, rockstars famose in tutto il mondo. Basta pensare all’analogia della nascita tra aziende come Microsoft e Apple e band come i Rolling Stones e i Beatles.
Ogni membro ha una propria personalità: punti di forza e debolezza devono sposarsi al meglio, in modo da costruire un rapporto equilibrato e, soprattutto, durevole nel tempo. La provocazione e il menefreghismo di Jagger, l’equilibrio e la capacità di mediazione di Harrison sono stati elementi fondamentali per costruire un gruppo, una squadra con un obiettivo comune: fare musica e spaccare il mondo.
E che dire di caratteri come quelli di Jobs o Gates? Ambiziosi, geniali e precisi, il primo arrogante, il secondo filantropo.
É quindi evidente come in una squadra ci siano equilibri che si creano e che spesso traballano e come ogni membro debba accogliere le diversità e contribuire al raggiungimento di una dinamica interna. Ovviamente l’unità e la stabilità del gruppo non sempre vengono sviluppate in maniera pari da tutti i membri: c’è sempre una personalità più forte e meno disposta alla democrazia, eppure questo disequilibrio viene spesso considerato un vantaggio: «nelle band che sopravvivono a lungo spesso si trova un accordo sul non essere d’accordo. Le persone che non si sopportano possono trovare modi interessanti per andare avanti» (Internazionale n.1289).
Ne deriva che in ogni gruppo ci sia una soglia di tensione che rappresenti un livello ottimale di conflitto, fino a quando questo non diventi incontrollato e la band si distrugge. É forse il caso degli Stones e del loro successo infinito: sono riusciti a trovare una quadratura tra le diverse personalità, non hanno mai avuto paura ad osare, nè a litigare tra loro, affrontando più apertamente i disaccordi e arrivando anche e spesso ai pugni. Al contrario, per i Beatles l’amicizia e la sincronia sono sempre stati fondamentali, erano “quattro parti di un’unità” come aveva dichiarato McCartney e Jagger li definiva «il mostro a quattro teste»: addirittura si tagliavano i capelli nello stesso modo e si completavano le frasi a vicenda durante le interviste. Questa armonia non è mai esistita negli Stones, ma il rapporto da “nemici-amici” tra loro creatosi è stato più efficiente siccome la band si esibisce tuttora sui palchi in giro per il mondo, mentre i Beatles sono fuori gioco da anni.
Pur essendo caratterialmente così diverse, entrambe le celebri band inglesi hanno raggiunto a un certo punto l’apice del successo. Tale traguardo è anche stato guadagnato grazie ad una chiara e volontaria divisione delle diverse responsabilità: una personalità come quella di Mick Jagger non poteva che incarnare il ruolo del leader.
È curioso come da un punto di vista economico il cantante, pur sapendo poco di business, sia anche stato «un brillante uomo d’affari», come lo ha definito Robert Greenfield, biografo degli Stones. La rockstar ha infatti dichiarato: «I don’t really count myself as a very sophisticated businessperson. I’m a creative artist. All I know from business I’ve picked up along the way».
É quindi più che lecito paragonare una band musicale ad una start up. Le rockstars non sono altro che i fondatori di un’azienda, che con il loro talento danno origine a delle idee, le sviluppano e trasformano il sogno di una vita in realtà. Anche senza un’adeguata esperienza o preparazione (e in molti casi senza soldi), si ritrovano catapultati dal garage in cui è nato il progetto ad un’impresa complessa, se non addirittura ad un marchio globale che genera un enorme flusso di ricavi.
Una start up, che sia più democratica o dittatoriale, deve rappresentare i valori del team, coordinare in maniera efficace le attività, garantire un fluido e corretto scambio di informazioni . Tutti i membri della squadra hanno delle responsabilità riguardo agli obiettivi ed è importante che tutti si sentano soddisfatti e motivati, in modo da non creare un ambiente noioso e apatico. Inoltre conviene concentrarsi su ciò che unisce piuttosto che su ciò che divide, dando vita ad un rapporto sano e trasparente.
Capire come un gruppo di persone diventi più della somma delle sue parti e riuscire a tenerlo insieme è fondamentale, sia per una rock band sia per un’azienda.
Bisogna avere un obiettivo comune, sforzarsi di superare i propri limiti e, a volte, riuscire a scendere a compromessi senza però mai farsi calpestare e soprattutto osare, perchè come dicono gli Stones «you can’t always get what you want, but if you try sometimes you get what you need».
3 Gennaio 2019 | Vorrei, quindi scrivo
Avete mai sentito parlare di Giorgio Perlasca? Pochi sanno chi fosse perché era un uomo estremamente modesto a cui non piaceva né apparire in televisione, né essere intervistato dai giornalisti. Enrico Deaglio scoprì la sua incredibile storia e scrisse La banalità del bene, la RAI programmò una fiction e Perlasca divenne così un personaggio pubblico. La sua storia è così straordinaria che molti l’hanno messa in dubbio. Io ve la voglio raccontare.
Giorgio Perlasca era un commerciante padovano che, quando si trovò a Budapest nell’inverno del 1944, riuscì a salvare la vita di migliaia di ebrei. Pur essendo stato in passato un fascista entusiasta, l’8 settembre 1943 dovette nascondersi nell’ambasciata spagnola a Budapest perché ricercato dalle SS in quanto italiano. Resosi conto di ciò che lo circondava, si finse console spagnolo e, decidendo di rischiare la propria vita invece che mettersi in salvo, protesse oltre 5000 persone in edifici che lui fintamente dichiarò sotto la tutela della Spagna, stato neutrale guidato da un governo filofascista per il quale aveva combattuto nella guerra civile spagnola. I nazisti, per paura di provocare un incidente diplomatico, accettarono le sue condizioni e gli permisero di dar ricovero a molti il cui destino sarebbe stato, altrimenti, il lager. La maggior parte delle persone che ospitò giunse incolume alla fine della guerra. L’incipit del libro di De Aglio è una domanda: come potè affrontare una situazione così difficile con tanta naturalezza e buona volontà. E Perlasca rispose nel modo più semplice: “Lei, che cosa avrebbe fatto al mio posto?”.
Questa domanda mi ha fatto riflettere molto: io come mi sarei comportata?
Sono una minoranza le persone che rischierebbero la propria vita per tentare di salvare quella di sconosciuti, senza garanzia alcuna né di salvare sé stessi né gli altri. Di fronte a grandi o piccoli pericoli è più facile rendersi complici del male che del bene, per ignavia o per semplice paura. Non tutti hanno l’animo dell’eroe. Eppure non obbligatoriamente l’atto eroico deve avere le caratteristiche del mito. L’eroismo spesso si manifesta con il compiere azioni abituali che rispondono però a una morale di fraternità. Perlasca ebbe l’intuizione, il coraggio e la capacità di compiere l’azione giusta, pericolosa e rischiosa che però cambiò la sorte di molte vite innocenti, strappandole ai “treni della morte”.
Raccontare questa storia porta ad una profonda riflessione interiore, ci fa ragionare sulle nostre azioni ed esaminare la nostra coscienza. Non so se avrei avuto il coraggio di Perlasca, non so come avrei reagito e cosa avrei fatto. Forse perché tutto dipende dalle circostanze, dalla situazione, dall’epoca, dalle proprie esperienze, conoscenze ed etica. In fin dei conti non si sa mai cosa potrebbe succedere, a volte possono nascere comportamenti straordinari e spontanei senza neanche ragionarci su, in maniera “banale”e casuale, come nel caso di Perlasca.