15 Settembre 2017 | Stappapensieri
La domanda di Erich Fromm è molto attuale e provocatoria, come rivelano le case sature di beni di consumo e il fatto che povero è comunemente chi non possiede. Una risposta grintosa a Fromm potrebbe venire da quelle giovani coppie che, vivendo insieme in un monolocale, dimostrano quanto l’essere, in fin dei conti, sia migliore dell’avere. Non a caso si dice Due cuori e una capanna e non Due cuori e una casa, perché quando si è felici il possesso passa inevitabilmente in secondo piano.
Sebbene spesso a parole si concordi con questa visione, accade a molti di trovare nell’accumulo di oggetti la cura per il proprio spirito malato: non sono rare le persone sofferenti di depressione o semplicemente molto tristi che trascorrono le loro giornate errando per i centri commerciali della città. Questo avviene perché tante realtà che circondano l’uomo moderno non sono che un divertissement; si compra e si tende a non pensare a come realmente sta il proprio spirito, si preferisce essere risucchiati dall’orda di chi prende d’assalto i negozi ai primi di luglio. Anche se ormai si è quasi trasformato in una mera espressione retorica, il celeberrimo imperativo Conosci te stesso mette in guardia dal lasciarsi fagocitare da tutte le distrazioni che gravitano intorno all’uomo; prima ancora di Cristo, i Greci avevano compreso che l’esperienza umana più complessa e più forte è proprio indagare se stessi.
E allora, mentre queste città parlano di benessere, di oggetti da comprare e nelle pubblicità tutti sono felici perché possiedono, ci si ricordi che chi scriveva L’essenziale è invisibile agli occhi aveva intuito bene: tutto quello che è visibile diventerà polvere.
22 Aprile 2017 | Vorrei, quindi scrivo
La figura della donna proposta dai media è spesso oggetto di polemiche e contestazioni: si delinea astutamente il profilo di una donna che è serva della famiglia, ma anche maga che seduce con il potere ipnotizzante del suo sguardo.
Se di questo si vuole incolpare qualcuno, però, chi bisogna attaccare? In un certo senso, i media sono invisibili, e allora è essenziale porre l’attenzione sul fatto che quelle donne, senza costrizioni, accettano di rendersi paradigmi di quel modus vivendi. L’attrice della pubblicità è infatti responsabile dell’immagine che dà di sé, perché è lei che decide liberamente di prostituirsi (dato che di questo si tratta, di vendere se stessa e di calpestare la sua dignità). Dal momento che ognuno è responsabile in una certa misura del prossimo e che essere consapevoli delle possibili conseguenze delle proprie azioni è un dovere morale verso gli altri, in quanto donna, quell’attrice dovrebbe rinunciare ai suoi quindici minuti di celebrità per salvaguardare la propria immagine e quella di tutte le altre donne come lei. Se, da un lato, è necessario educare l’universo maschile al rispetto della donna, dall’altro è fondamentale raddrizzare la concezione distorta che, in molti casi, la parte femminile ha e dà di sé.
2 Marzo 2017 | Stappapensieri
«No man is an Island» («nessun uomo è un’isola») scriveva saggiamente John Donne nel 1624. Al contrario, l’epoca attuale è profondamente segnata da un pericolosissimo individualismo, come dimostrano i muri che si vogliono erigere, le minacce da parte di emergenti potenze mondiali, l’enorme sfiducia diffusa nei confronti delle unioni internazionali, la diffidenza nei governatori. Tuttavia, è dannoso credere che si possa andare avanti ognuno per la sua strada, perché, come ci insegnano l’essenzialità dell’esportazione volta al progresso economico, l’importanza delle collaborazioni politiche in campo commerciale e ideologico e l’arricchimento portato da miscele di diverse culture, viviamo negli e degli altri. Per natura, per l’essere umano è fondamentale vivere nella collettività ed essere dipendente dai suoi simili. Per spiegare l’interdipendenza tra i membri di una società, Hegel, massimo esponente dell’idealismo tedesco, identificava nel desiderio di riconoscimento un bisogno primitivo dell’uomo: l’essere umano, in effetti, cerca senza sosta non tanto l’approvazione, quanto la considerazione dell’altro. Come un bambino, egli mendica attenzioni, talvolta lo scontro, perché ciò che gli preme è essere visto. L’io si fa nel tu e la rinuncia, per orgoglio, indifferenza o convinzione di autosufficienza, a questo desiderio elementare produce infelicità, una delle principali cause della chiusura in se stessi.
La costruzione di relazioni personali e internazionali è un’impresa soprattutto in questo tempo, in cui l’altro è presentato come un pericolo e non come una miniera d’oro. Non ci si illuda, però, di bastare a se stessi, perché ognuno è parte di un insieme. Siamo figli per tutta la vita, mai siamo creatori di noi stessi.