“Dipingere è un mezzo per farti conoscere e per conoscere gente”
L’arte è tutto: da sempre è considerata una terapia, un modo di esprimersi, un appagamento per gli occhi e per l’anima… Sarà per la sua azione catartica, sarà perché l’uomo ha bisogno di bellezza, sarà perché è parte di ognuno senza distinzione, sarà perché non ha età… Ce lo dimostra Riccardo Balestra, pittore cuneese che da autodidatta ha appreso l’arte della pittura e la porta in giro con costanza e con passione.
In che modo si è avvicinato ed appassionato alla pittura?
Io ho cominciato per caso circa trenta anni fa quando un giorno, in mutua dal lavoro, ho deciso di dipingere: mi sono comprato una dozzina di colori e pennelli e ho iniziato. Proiettavo le diapositive di Venezia contro il muro e dipingevo. Questi miei primi quadri non li ho mai esposti e li ho tenuti. In seguito non ho più dipinto preso dal lavoro e dalla famiglia, fino a quando sono andato in pensione e ho ripreso in mano il pennello, ho frequentato un corso di pittura a Cuneo senza ambizioni e ho visto che i miei risultati erano discreti e mi sono iscritto ad un’associazione iniziando ad esporre. In pratica sono un autodidatta in tutto e i miei quadri si evolvono a seconda del momento e delle esigenze: dai paesaggi sono passato alla figura…
L’arte per lei è un lavoro?
No, non posso considerarlo un lavoro perché se non fosse per la pensione faticherei…La mia visuale dell’arte è un po’ diversa rispetto ad altri: è una passione ma è anche un’affermazione personale. Questo perché io non mi sono mai risparmiato e ho sempre dato il massimo in ciò che faccio per arrivare a degli obiettivi e dei traguardi personali. Quindi dipingere è una tra le attività che faccio: lavoro intorno alla mia casa, al giardino, vado in montagna… Comunque dipingendo ho sempre puntato a farmi conoscere e all’affermazione: dipingere è un mezzo per farti conoscere e per conoscere gente, anche se è un mondo non facile, in cui c’è molta concorrenza.
Perché predilige la figura femminile nei suoi quadri?
Se devo essere accompagnato, voglio una donna accanto, è fisiologico! Credo che le donne e gli uomini siano uguali ma comunque ci siano delle differenze a livello di discorsi. Mi sono orientato sulla figura femminile perché mi piaceva, ma c’è stato un percorso prima che mi ha portato alla mia tecnica attuale che sta andando bene. Un conto è dipingere qualcosa e poi doverti inventare una scusa sul motivo della scelta, un altro è puntare su soggetti specifici con cui sai di andare sul sicuro. All’inizio avevo dipinto anche donne nude ma ho notato che la figura intera è più complessa e sei molto più criticabile, senza togliere il fatto che destava scalpore tra i bambini e mi dava fastidio. Allora ho dipinto solo più visi e donne o bambini in base alla collana che vado a presentare.
Sceglie modelle in carne ed ossa o è tutto frutto della sua fantasia?
Né uno, né l’altro: io scelgo figure in Internet. A volte penso che la mia sia diventata una mania, nel senso che appena vedo qualche immagine che mi interessa, sui social o sulla mail, la metto da parte e creo un archivio in base alla dimensione e al tipo di quadro. Ho uno schedario solo per paesaggi, uno per visi e così via, li metto su cd o su chiavetta per poi utilizzarli come soggetto di pittura.
Tra i grandi pittori, ha un pittore che preferisce e a cui s’ispira?
Di storia dell’arte io ne so poco e non mi appassiona. Però ho un file word in cui inserisco tutti i pittori che mi interessano, sia famosi, sia meno. L’unico pittore da cui ho preso spunto è Andy Warhol.
Spostiamo l’attenzione sul personale. Chi è Riccardo Balestra oltre ad un artista?
Sono un tuttofare! Sono sempre stato abbastanza autonomo e mi piace ragionare con la mia testa e non sentire il parere degli altri. Ad esempio, ho passato tre anni a lavorare per costruirmi casa mentre lavoravo, poi, una volta in pensione ho cominciato a dipingere a ad andare in montagna (ho fatto tutti i 3000m che ci sono in zona!). Ancora oggi mi dedico alle mansioni della casa che unisce me e la mia famiglia.
Dove vive e con chi?
Vivo a San Pietro del Gallo con mia moglie e due figli di 37 e 34 anni. Loro non dipingono, hanno provato ma non sembra faccia per loro… ma mai dire mai.
Quali sogni nel cassetto ci può svelare?
Ne ho pochi perché sono uno molto pratico e penso che alla mia età sia difficile averne: se si è vissuti nelle nuvole, allora si hanno ma se si è vissuti sulla terra, hai molta esperienza di vita. Se parliamo di sogni in ambito artistico, posso dire di essere arrivato al dunque, ho la strada chiusa alla mia età e continuo con la mia pittura.
E’ vero che si interessa molto all’astrologia e ai segni zodiacali?
Sì e no. Ho realizzato delle elaborazioni grafiche ma la mia è stata una scusa per portare avanti il discorso delle donne e per dipingere qualcosa di nuovo. Non sono esperto: se mi chiedono il mese e il segno, io non lo so! Con i quadri realizzati dei segni zodiacali ho allestito una mostra e ho scelto di abbinare un volto di un personaggio famoso femminile al segno zodiacale a cui appartiene. Comunque, anche se non sono appassionato, ne ho trovato dei riscontri positivi e ho scoperto curiosità e verità interessanti. Dovrei proprio cercare una persona esperta che sappia spiegare lo zodiaco durante una mia futura mostra e anche un bel luogo dove allestirla, devo pensarci…
A proposito di pittura. Quali sono i tempi e le tecniche di realizzazione?
Le tecniche sono semplici: olio su tela o olio su tavola. All’inizio preferivo la tavola perché era più facile reperirla e limitare le spese. Solitamente non guardo le ore di lavoro dall’intelaiatura all’asciugatura del quadro ma un’opera di misura 50×60 cm può richiedere circa 25 ore, però dipende…Vado a occhio!
Riguardo alle donne che occupano la maggior parte delle sue opere, quanto è diversa la donna oggi rispetto a quella del passato?
È una domanda che non mi sono mai posto. Ritengo mia moglie una donna del passato perché è un po’ all’antica… Riguardo alla donna moderna credo che ci sia un limite: non deve essere troppo in vista o troppo superficiale se questo vuol dire essere moderne. A me piace la donna interessante, anche non bellissima ma interessante dentro.
Perché esiste ancora la disparità di genere secondo lei?
La disparità esiste da una parte per colpa degli uomini ma dall’altra anche per colpa delle donne: il femminismo esagerato incentiva troppo questo discorso. Faccio l’esempio delle quote rosa: sinceramente, se una donna fa politica come tutti gli altri, senza modifiche alla legge, potrebbe essere votata lo stesso! È una forzatura! Certo, è logico che la donna ha impegni famigliari non indifferenti e fa fatica però anche l’uomo lo farebbe al posto suo. Se devo dirla tutta, c’è un tipo di donna che non mi convince molto ed è quella donna che vuole vivere sempre sopra alle righe, far festa, truccarsi sempre e che magari usa l’uomo per divertirsi e nient’altro…
Infine allarghiamo lo sguardo al cuneese. Cuneo è una città aperta?
Non so, ho poca esperienza però credo che a Cuneo si facciano molte cose ma non sul piano artistico ed espositivo, c’è poca organizzazione e un po’ di menefreghismo.
Ci indichi i pregi e i difetti del cuneese
Non sono all’altezza, dovrei fare il confronto con altri posti e io ho girato poco: la mia vita è casa- mostre locali. Del cuneese mi piace la montagna, anche altro ma non ho il tempo di godermelo.
Se dovesse dipingere una zona di Cuneo, quale dipingerebbe?
Non lo so, non faccio più paesaggi. Fosse stata una volta, avrei sicuramente dipinto Viale degli Angeli. Mi piacerebbe dipingere Cuneo vista dall’alto con la Bisalta sullo sfondo, vista da Madonna dell’Olmo, così da vedere il ponte e tutto il profilo.
Lo sport può cambiare la vita e può diventare la vita stessa, come nel caso della “principessa delle nevi” cuneese: Marta Bassino. Una ragazza normale che ha reso lo sci la sua passione nonché il suo lavoro. Da bambina allenata dal padre, è riuscita a diventare una delle sciatrici più conosciute e promettenti sia nella zona, sia a livello internazionale, partecipando addirittura ai giochi olimpici invernali di Pyeongchang. Nonostante il successo, Marta rimane con i piedi per terra e la sua determinazione e la sua semplicità le si leggono in faccia.
Scopriamo insieme chi è Marta Bassino in questo slalom di domande e risposte!
Come ti senti quando scii?
Quando scio sento molte sensazioni e quella che sento di più è la sensazione di libertà che provo anche al di fuori delle gare, quando scio in campo libero. Mi piace sentire me stessa, i miei piedi, gli sci sulla neve e quella sensazione di velocità che il vento sulla faccia mi fa provare.
A che età hai iniziato? Ti ricordi ancora quel giorno?
Allora, non mi ricordo perché ho delle foto in cui avevo meno di due anni e avevo già gli sci ai piedi! Ho iniziato a sciare ad Entracque con mio papà che è maestro di sci e che ha insegnato ai miei fratelli e a me. Mi ricordo che vedevo il mio fratello maggiore sciare e volevo copiarlo e così ho iniziato. Dopo Entracque per un periodo ho sciato a Lurisia e di quegli anni ho alcuni ricordi e poi sempre a Limone.
Quante gare hai già vinto e a quante hai partecipato?
Mmm..questo non lo so! Cioè, da piccolina vincevo spesso le gare provinciali, poi man mano sono salita di livello. L’anno che ho partecipato alla Coppa Europa ho vinto a Sestriere, poi ho vinto i mondiali junior a Jasna ma ancora nessuna vittoria di coppa del mondo…
Ti definiscono “principessa delle nevi” per via della tua maestria sugli sci, ma pratichi altri sport?
Adesso no, perché è tutto concentrato sullo sci e sulla preparazione atletica d’estate: tra palestra, campo d’atletica per la corsa, bici e tennis. Ma non sono “altri sport”, poiché mi servono come preparazione per lo sci. Comunque da piccola ho praticato ginnastica artistica fino alla seconda media e mi ha dato le basi per gestire il mio corpo.
Parlaci di te. È’ vero che ti identifichi in Dory, il pesciolino de “Alla ricerca di Nemo”?
Ah, ah,ah! Sì, mi hanno soprannominata così perché sono un po’ smemorata: non mi ricordo tutto precisamente (vedi la domanda sul numero di gare). C’è chi sa tutto e si ricorda tutto di tutti ma io proprio no, sono un po’ sbadata ogni tanto e quando mi chiedono qualche cosa di preciso io rispondo: “Non mi ricordo!” e da lì è nato il nomignolo di Dory.
– Com’è stata la tua infanzia? Hai rimpianti o nostalgie?
No, sono contentissima della vita che ho fatto finora, non la cambierei per nulla al mondo, anche se spesso mi dicono che ho rinunciato a tante cose (uscite con amici…) e ho fatto sacrifici. La mia non è una vita normale, perché sto via da casa per molto tempo, però io non la cambierei mai e così è fin da bambina: ho sempre sciato come fosse un divertimento e non un obbligo. Ancora oggi mi porto dietro questa filosofia, perché credo che la passione nasca dal divertimento e poi, come nel mio caso, è diventata un lavoro sempre e comunque divertente e mai pesante.
– Come ti descriveresti, sia fisicamente che emotivamente?
Mi piaccio: sono bionda, sono una ragazza normale… Di carattere sono molto solare, di buon umore, un po’ distratta quando esce fuori la Dory che c’è in me. Sono anche timida, infatti all’inizio ho fatto molta fatica a relazionarmi con le telecamere e scappavo dai giornalisti, poi con il tempo ho imparato che se ti intervistano, ad esempio dopo una gara, vuol dire che sei andata bene ed è un buon segno!
– Se ti dico studio, scuola, cosa mi rispondi?
Ho studiato a Limone al liceo sportivo e sono molto contenta di aver scelto quella scuola e di essermi impegnata a portare avanti lo sport e lo studio. Devo dire un grazie enorme alla mia scuola che mi ha permesso di conciliare il tutto, cosa che non sarebbe possibile altrove a causa delle tante assenze, invece lì i professori mi capivano e mi lasciavano il tempo per recuperare.
Adesso non ho più intenzione di studiare poiché voglio dare il meglio con lo sci: la carriera sportiva non dura tantissimo. Tra una decina di anni, se avrò voglia, tornerò a studiare. L’unica cosa che mi sento di studiare ora è l’inglese perché mi serve molto e ho il rimpianto di non averlo studiato bene prima.
– Quali sono i tuoi punti di riferimento sia sportivi, sia personali?
Ho molti riferimenti personali di cui mi fido ciecamente, in particolar modo due: uno è Marco Giordano, il mio preparatore atletico privato che mi conosce da quando ero piccola e forse mi conosce meglio di come mi conosco io e sa come sto appena mi guarda in faccia. L’altro è Fabrizio Martin, l’allenatore di squadra che è stato il mio allenatore in comitato. Se ho dei dubbi chiedo a loro che sono le mie basi dal punto di vista sciistico e personale. Infine, non posso non dire che mio padre è il mio punto di riferimento da sempre, essendo papà e allenatore sempre disponibile.
Una domanda di gossip: sei fidanzata?
Sì, sono fidanzata e da poco viviamo insieme e stiamo bene.
Cosa hai riscontrato di diverso nella tua carriera sportiva dagli esordi fino ad oggi?
In me non è cambiato niente, sono sempre uguale. È’ cambiato un po’ l’interesse per me: se “vai forte” la gente ti segue dal punto di vista mediatico, degli sponsor…Quindi adesso io vivo di sponsor legati allo sci, ai social…
Ti spaventa il successo a soli 22 anni?
No. Devo dire che sono abbastanza fortunata perché mi hanno sempre insegnato a stare con i piedi per terra e quindi vivo la realtà.
Spesso gli atleti a livello agonistico vengono incitati ad andare oltre i propri limiti anche attraverso l’ausilio di sostanze energizzanti o droghe: è il caso del doping. Tu cosa ne pensi? Perché nel mondo dello sport è così diffuso?
Allora, questo è un argomento interessante di cui ci sarebbe un mondo da dire. Si sa che il doping si usa nello sport: io ho letto un libro di Hamilton, gregario di Lance Armstrong che mi ha aperto un mondo sul doping. In questo libro, che altro non è che una confessione dello stesso Hamilton, si parla di ciclismo che è uno degli sport che necessita di più resistenza e quindi si fa di tutto per riuscire a gestire la fatica. Il mio sport, invece, ha una grande componente tecnica e dunque se non sai sciare, anche se fai uso di doping, non vai da nessuna parte. Tornando al libro, la cosa che mi ha colpito di più è la descrizione della fatica di accettare i propri limiti e il desiderio di andare oltre ad ogni costo. Ricordo un capitolo in cui Hamilton descrive la sensazione di essere superati durante una gara da alcuni ciclisti che sembrano avere una marcia in più. Allora inizi a chiederti cosa succede e perché…Le possibilità sono due: o smetti o ti droghi. Personalmente, io sono contro il doping anche se so che nel mio sport è presente. Forse è quasi meglio non pensarci, non farsi abbattere da quelli che sembrano più forti e continuare per la tua strada. Certo, so che il doping potrebbe cambiarmi tanto specialmente nell’allenamento, come quando in una mattina facciamo dieci giri sul ghiacciaio a più di 3000 m di altitudine: è impossibile fare i giri tutti con lo stesso tempo e la stessa velocità, mentre con il doping si fa ma non è normale…
Come gestisci la fatica? Qual’è la tua arma vincente?
Come gestisco la mia fatica? Beh, faticando! Ah ah ah! Continuando ad allenarmi sempre.
Riguardo a questo, il doping non mi è mai stato proposto, anche perché siamo controllati attraverso un sistema anti-doping: io devo dire ogni notte dove dormo e in qualunque momento potrebbero arrivare e farmi un controllo. Quelli che si dopano non so come facciano e fatto sta che su questo argomento c’è davvero tanto da scoprire e tanto mistero. Io cerco di non pensarci e continuo ad essere contro nonostante tutto.
Ora parliamo di Cuneo e del cuneese. Ti piace Cuneo?
Molto! Cuneo è bellissima, soprattutto via Roma di adesso, tutta ristrutturata!
– E Borgo San Dalmazzo?
Sì, sono contentissima di vivere a Borgo nella casa della mia famiglia. Ho sempre detto di voler vivere qui, non più in su di Borgo perché a me piace il caldo. Andavo a scuola a Limone ma per me era già troppo montagna.
Comunque sono orgogliosa di essere cuneese!
Con quali aggettivi descriveresti il cuneese? E i cuneesi?
Ehmm…Beh, siamo fortunatissimi a vivere qui: abbiamo la montagna a pochi passi, le Langhe a un’oretta, il mare a qualche ora di viaggio (ci vuole sempre di più con i semafori e tutto quanto…un incubo!). Nonostante tutto il cuneese è in una posizione favorevole.
I cuneesi…Credo non ci sia differenza tra i cuneesi e altri abitanti. Forse la differenza è di più per quanto riguarda il nord e il sud.
Sappiamo che i tuoi fans sono molti, così tanti da formare un Fan Club ufficiale. Come è nata quest’idea? Sei felice dell’affetto che dimostrano i cittadini nei tuoi confronti?
L’idea del Fan Club l’hanno creata grazie a Bruno Moncalero, l’attuale presidente del club, che è molto amico di mia zia, mentre io non lo conoscevo. Una sera ci siamo incontrati, ero piccola, prima ancora della coppa del mondo e lui mi ha colpita perché sapeva tutto di me. Ricordo che mi faceva domande sui miei tempi senza che io sapessi rispondere, invece lui sapeva veramente ogni mio tempo e ogni mia gara! Da lì è nata l’idea di creare un Fan Club che tuttora ha tanti iscritti e per me è bellissimo sapere che c’è tanta gente che mi segue, che tifa per me, che viene a vedermi gareggiare…E’ importante sentire il calore di casa!
Parli il dialetto?
Lo capisco ma non so molto parlarlo. Ci provo, anche perché i miei nonni parlavano in piemontese, i miei fratelli lo sanno parlare bene mentre io parlo principalmente in italiano.
Ultima domanda. E’ vero che odi farti intervistare? Dunque…ci odi?
Ah ah ah! Sì, come ho detto non amo le interviste…Ma non vi odio ah ah ah!
“Credo che sia giusto portare le conoscenze personali agli altri e per gli altri.”
Questo mese si va al Polo Sud, grazie al racconto dell’esperienza intrapresa da Giorgio Giordanengo, ingegnere e ricercatore robilantese. Nel 2016 ha avuto la possibilità di trascorrere un periodo tra i ghiacci dell’Antartide, grazie ad un progetto sulla meteorologia spaziale, in compagnia di monitor, sonde, attrezzi tecnologici e…pinguini! Giorgio ci racconta il suo lavoro con passione e con un enorme sorriso ci parla della sua carriera, dell’esperienza vissuta e della sua vita. Tra le tante risate, scopriamo un mondo nuovo e rimaniamo affascinati dal suo racconto, ma soprattutto dalla modestia con cui narra, tipica di un uomo che ama il suo lavoro e che non ha paura di sperimentarsi.
A quando risale la tua passione per l’ingegneria?
Dalle elementari: mi sono sempre piaciute le materie tecniche. Ho scelto di fare l’ITIS indirizzo elettrotecnico e dopo la scelta più adeguata era quella di continuare in quell’ambito, così ho frequentato la triennale di ingegneria a Mondovì che adesso non c’è più, poi sono andato a Torino per la specializzazione in telecomunicazione. La tesi l’ho fatta all’estero, in Canada, sulla navigazione satellitare e una volta tornato non ne volevo più sapere di studiare. Così ho iniziato a lavorare in Alenia aeronautica (aerei militari) per due anni, per poi essere richiamato al Politecnico per entrare nel mio attuale gruppo di ricerca e tuttora sono sette anni che lavoro nell’ambito dei campi elettromagnetici e delle antenne. Non solo: nel frattempo mi hanno chiesto di fare il dottorato di ricerca e così ho preso anche quello.
Avresti mai pensato di raggiungere livelli così alti nella tua carriera?
Non so. In realtà non ci penso mai: io inizio, intraprendo cose nuove e poi vedo come va. Diciamo che per ora sono soddisfatto, ho sempre fatto quello che mi piace fare e nonostante il lavoro sia tanto, non mi pesa, è la passione quello che serve.
Come è nata l’idea del progetto di ricerca che ti ha portato al Polo Sud?
È nata un po’ per scherzo (come quasi tutto!). Praticamente abbiamo partecipato a un bando del Miur con un gruppo che conoscevamo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma che studia l’alterazione dei segnali satellitari. Così si è deciso di iniziare un progetto tramite il gruppo nazionale di ricerca in Antartide che stanzia dei soldi ogni anno per le ricerche. Io e il mio gruppo stavamo sviluppando una tecnologia per stazioni di monitoraggio generiche che fossero controllabili, consumassero poco e richiedessero l’intervento umano. Tale idea è piaciuta molto, essendo trasferibile in Antartide, dove le condizioni sarebbero state ideali. Allora abbiamo scritto il progetto nel 2014, è stato finanziato ed è stato messo in pratica nel 2016. Personalmente, sono partito di mia volontà anche perché nessuno ci voleva andare e non c’era concorrenza, allora io mi sono proposto subito!
Quanto è durata la permanenza?
Per quanto riguarda la permanenza ed il viaggio, sono stato circa due mesi (dal 17 novembre 2016 al 6 gennaio 2017).
Il viaggio è stato tutto sommato corto, in aereo: si va fino in Nuova Zelanda in aereo, poi si prende un altro aereo militare adatto per l’atterraggio sul ghiaccio, e si atterra direttamente sulla base in Antartide. Il ritorno è stato decisamente più lungo siccome siamo atterrati prima sulla base francese, poi in elicottero abbiamo attraversato il mare ghiacciato, per prendere poi una nave e viaggiare dieci giorni e ritornare…Questa è stata la parte più brutta!
Ci puoi descrivere brevemente in cosa è consistito?
Io sono andato giù per montare una stazione di monitoraggio della cosiddetta scintillazione ionosferica, cioè l’alterazione nell’atmosfera dei segnali satellitari. Quindi dovevo montare un apparato fuori dalla base, a mezzo chilometro circa, affinché funzionasse in uno spazio “remoto” mandando i dati direttamente alla base, in maniera autonoma. Questo è stato il primo obiettivo che ho realizzato affiancato ad un altro ragazzo dell’ INGV già stato al Polo sud. Noi due eravamo in totale autonomia e le nostre giornate erano abbastanza monotone: a scandirci il tempo, in mancanza della notte, era l’ora dei pasti e nel mezzo lavoravamo dal lunedì al sabato. La domenica era dedicata alla pulizia e il pomeriggio era libero tra passeggiate, relax, film, chiamate a casa con Skype. Certo, la monotonia si è fatta sentire, per il resto non ho avuto nessuna delusione, nemmeno il freddo dal momento che la temperatura di -20, -25°C era secca e non umida come da noi; comunque dovevamo restare idratati e coperti sempre.
Quale è il tuo più bel ricordo di questa esperienza?
Beh, forse quando ho visto i pinguini. È stato unico e impressionante, non te lo immagini finché non lo vedi dal vivo! Erano pinguini Adelia (quelli comuni e piccoli) e pinguini Imperatore.
Descrivici il Polo Sud con cinque aggettivi.
Freddo, immenso, unico, isolato e disabitato (per tutto l’anno ci vivono 1000 persone, ma non ne ho incontrate, gli unici sono stati piloti, soprattutto neozelandesi).
Spostiamo l’attenzione sul personale.
Dove vivi attualmente? Vivo tra Torino e Robilante. A Torino per lavoro ma cerco di tornare spesso nel mio paesino. Appena posso scappo da tutto il traffico torinese e vengo a sciare nella mia zona.
Sei sposato? Hai figli? No entrambe.
Il tuo sogno per il futuro? Il mio sogno sarebbe quello di tornare in Antartide oppure mi piacerebbe portare questa esperienza al Polo nord dove sarebbe più facile, dato che il centro di ricerca sarebbe sulle isole norvegesi: sempre isolato, ma meno dell’Antartide.
I tuoi pregi e i tuoi difetti? Ahahah! Sono puntiglioso, preciso, critico verso me stesso e di conseguenza verso gli altri. Sono uno che si dà da fare per tutti senza problemi. Ad esempio, adesso sto lavorando per installare il wifi per tutti a Robilante e mi sta occupando molto. Credo che sia giusto portare le conoscenze personali agli altri e per gli altri.
Sappiamo che hai vinto il bando internazionale sulla meteorologia spaziale, di cosa si tratta?
Era l’oggetto del progetto che abbiamo vinto e grazie al quale sono andato in Antartide. Prima ho accennato alla scintillazione ionosferica, l’analisi dell’alterazione della ionosfera che permette di condurre studi sulla meteorologia spaziale (space weather). Non è il meteo come lo intendiamo noi, ma è la previsione di come si evolverà l’atmosfera nel tempo, con previsioni anche a ungo termine. Questo perché gli effetti della scintillazione ionosferica non sono visibili sulla vita normale ma, ad esempio, al seguito di una tempesta solare si creano problemi riguardo la trasmissione dei satelliti con ripercussioni sui segnali, le telecomunicazioni e i navigatori satellitari (soprattutto in aereo). Dunque con la meteorologia spaziale si lavora specialmente sulle situazioni critiche e di sicurezza che riguardano le comunicazioni e la navigazione.
A proposito di meteorologia, sistemi a basso consumo, tecnologia e comunicazioni, qual è la tua opinione sull’innovazione scientifica?
Credo che si debba sempre innovare: l’innovazione scientifica è importantissima, con i suoi pro e i suoi contro. L’esempio più banale è Facebook: utilissimo, inclusivo, ti permette di riallacciare i contatti e sentire gente dall’altra parte del mondo; dall’altra c’è tutto il problema della sicurezza dei dati, basti pensare ai recenti scandali…
Cosa ne pensi del cambiamento climatico strettamente connesso allo sviluppo?
Premetto che io non sono un esperto di clima. Però, da ciò che ci raccontavano al Polo sud, il cambiamento climatico, specie agli estremi del globo, è palese. Infatti, rispetto a dieci anni fa, il ghiaccio è rientrato molto e lo si può vedere. Comunque, che tutto questo sia dovuto solo o in gran parte all’uomo è in discussione, poiché ci sono state fasi nella storia dove si verificarono situazioni simili. Dunque può darsi che ci sia una doppia congiuntura: da un lato il naturale processo climatico, dall’altro l’accelerazione causata dall’uomo. Sicuramente il cambiamento climatico è in atto, anche se magari non lo subiremo noi, chissà.
Pensi che il progresso porterà l’uomo ad avere una vita migliore?
Il progresso porta quasi sempre ad un miglioramento, poi dipende sempre dall’uso che se ne fa. La bomba atomica è l’esempio più estremo che ci mostra a che punto può arrivare il progresso se usato male: dall’uso utilissimo in medicina nucleare, all’uso micidiale in guerra.
Dal mio punto di vista il progresso serve, pensiamo ai passi avanti fatti in medicina o in biotecnologia, togliendo molte barriere. Però, se usato male, può portare all’incomunicabilità anche tra persone sedute vicine ed è assurdo! Bisogna cercare di farne un buon uso.
Parliamo ora di Cuneo.
Come giudichi la città? Cuneo è Cuneo. È una città che aspetta, è poco attrattiva rispetto ad altre più piccole ma più vive (come Saluzzo), comunque è bella e tranquilla: una città a misura d’uomo. Forse avrebbe bisogno di un po’ di…rispolvero!
Cosa ti piace e cosa vorresti cambiare? (Scherzando: la ztl in via Roma è bellissima, ah ah ah!!!). Bisogna cambiare un po’ l’animo dei cuneesi, far uscire di più la gente, c’è troppa chiusura. Essendo di questa zona, alla fine, mi piace stare qui e ogni volta che vado via, vorrei ritornare.
Cuneo è una città 2.0? Lo potrà diventare? Non lo è ma lo potrà diventare. È necessario prendere l’esempio di altre città europee e portare il meglio che c’è altrove anche dove si vive. Per questo bisogna conoscere, andare in giro, per poi copiare da Amsterdam o da Berlino quelle idee 2.0 che innovano la vita di tutti (pali della luce interconnessi ed intelligenti, così come le info meteo a disposizione di tutti, il wifi…). Serve la connettività.
Tra Robilante e Cuneo noti differenze e/o somiglianze? Beh, Cuneo per noi di Robilante era considerata La città. Io ho vissuto poco Cuneo ma più che una grande città mi dà l’impressione di un insieme di piccoli paesi e quartieri molto simili, anche a livello di mentalità.
Chiara Gribaudo è una donna socievole, determinata e affabile prima di essere una politica e parlamentare italiana. Prima assessore a Borgo San Dalmazzo, poi eletta alla Camera dei Deputati ed infine responsabile del Dipartimento del lavoro, Chiara non ha mai dimenticato la sua Provincia ed è fiera delle sue origini. La sua personalità spicca già da un primo sguardo: non c’è malizia in quei bellissimi occhi azzurri, ma solo tanta buona volontà e tantissima grinta. La stessa grinta che l’ha accompagnata in questi anni di successi politici e personali, tra studio, impegni, interviste e molta soddisfazione.
Chiara ama relazionarsi con le persone: ha scelto di diventare educatrice per stare a stretto contatto con loro, e perciò la politica sembra proprio la sua strada. Perché la vera politica non è fatta di urla e violenza, al contrario, non è altro che l’arte del dare la parola ai cittadini, coinvolgendo ogni singolo individuo per trovare un dialogo comune; in poche parole essere capaci di relazionarsi. Chiara Gribaudo ha dimostrato di esserne capace e la ringraziamo ancora per questa intervista.
Cosa l’ha spinta ad entrare in politica?
Direi la voglia di dare una mano per contribuire a migliorare la nostra società a partire dalle nostre piccole comunità. E’ stata la necessità di rispondere ai miei principi e mettersi a disposizione degli altri non solo con il volontariato (che reputo molto importante).
Se dovesse spiegare il suo lavoro da parlamentare…
E’ un lavoro complicato perché è su più livelli. Anzitutto all’interno delle commissioni, nel mio caso la commissione del Lavoro, dove si decidono gli emendamenti, gli atti, si correggono gli scritti…Ma il lavoro più faticoso è quello rispetto alla mediazione politica, alla ricerca delle alleanze al fine di ottenere risultati concreti. Inoltre c’è il lavoro d’aula. Infine il lavoro “non misurabile”, cioè quello svolto da ciascuno di noi sul territorio: essere presente sul posto, tenere relazioni con i concittadini e impegnarsi prima nel piccolo con senso di appartenenza e senso di comunità, anche se spesso non succede.
Crede che fare politica sia una passione o un dovere?
Per farla bene deve necessariamente nascere da una passione. Io ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno ispirato e permesso di crescere con valori forti e radicati, quei valori ispirati soprattutto da chi tornava dalle guerre, chi dalla Russia, chi dai venti mesi della Resistenza, da chi era sfuggito dalle guerre, chi aveva salvato la vita a chi fuggiva dalla persecuzione nazista e razzista…Insomma, coloro che mi hanno fatto capire che impegnarsi in prima persona è un bisogno. Dunque fare politica è una passione che mi ha portata a diventare rappresentante di istituto, entrare in Consulta, essere volontaria, far parte dell’ANPI, per poi candidarmi… Ma anche un dovere civico, soprattutto nei confronti dei cittadini nel momento in cui si viene eletti: bisogna avere rispetto delle istituzioni senza urlare, sbraitare o insultare; mai come oggi in politica abbiamo bisogno di avere persone che diano il buon esempio fino in fondo. Poi ricordiamoci che in realtà non esiste l’università per diventare buoni politici!
Secondo lei perché la gente pare aver perso fiducia nella politica? C’è rimedio?
Credo che la gente abbia perso fiducia quando si sono evidenziati soprattutto fenomeni di corruzione nelle istituzioni: da Tangentopoli in avanti c’è stata una profonda disillusione, altrettanto dopo il superamento delle ideologie che davano sicurezza…Ovviamente oggi viviamo in una situazione in cui i corpi intermedi sono più deboli e c’è una spinta all’individualismo molto forte (uno vale uno vuol dire che non valiamo niente!). All’interno di questo meccanismo sembra vincere chi urla più forte ed è per questo che ho deciso di stare dalla parte di chi ha meno voce, di chi soffre di più e di chi è in difficoltà (che è il compito della sinistra). Sì, penso ci sia rimedio: c’è bisogno di politica vera ed è necessario non farsi spaventare da questa disaffezione, altrimenti la politica diventa lo strumento per avanzare di carriera, che è inaccettabile, poiché non è un lavoro ma un impegno pro-tempore. Infine bisogna smetterla con la demonizzazione interna tra partiti e presentare ai cittadini progetti di qualità che permettano la creazione di rapporti di fiducia. Non è facile fare questo “salto”, immediatamente sei etichettata come di destra o di sinistra senza cercare un minimo dialogo: parliamoci! Proviamo a cercare un accordo tra idee diverse per costruire un clima sereno e dare soluzioni ai problemi della gente! Ciascuno deve fare la sua parte, altrimenti si rischia di dare il potere decisionale a chi è contrario alle nostre idee e usa la politica come fonte di guadagno.
In politica è necessario essere opportunisti o si diventa opportunisti per necessità?
Si può anche non diventare opportunisti! Certo, c’è chi lo è, però credo che l’opportunismo non sia la chiave, bensì l’ambizione che permette di ottenere i risultati a cui si ambisce. Non bisogna però esagerare con il cinismo, serve che quest’ambizione cresca dal basso, dai valori e da esperienze. E mi dispiace quando vedo intendere la politica come un casting di un talk-show: la politica è molto più seria.
Come ha scelto il partito da rappresentare (il PD)?
E’ stata una scelta che veniva da lontano: il PD incarna le tradizioni e i valori che più mi rappresentano, quelli di una sinistra attenta al sociale, cattolico-sociale e progressista, derivata anche da quello che fu il partito comunista Italiano, il cattolicesimo di sinistra da Aldo Moro a Berlinguer. Ecco questo è il mio “pantheon” di riferimento che sicuramente deve essere adattato ai tempi. Mi riconosco nelle forze progressiste e socialiste di sinistra, attente ai bisogni delle persone e non a interessi personali.
Spostiamo l’attenzione sul personale:
– Si definisce “battagliera”, per quale ragione?
Come noto, sono una testona “montagnina” che non ha mai smesso di combattere, anche in un’esperienza complicata come la XVII Legislatura (dove nessuno aveva vinto le elezioni). Devo dire con onore di aver raggiunto obiettivi davvero importanti grazie al mio essere battagliera, testona che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.
– Che scuola ha frequentato?
Ho frequentato l’Istituto Bonelli di Cuneo su volere di mio padre, poi ho lavorato per un breve periodo in uno studio di commercialisti, per capire che non era la mia strada e allora ho studiato per diventare educatrice.
– Dove vive attualmente?
Domanda difficile, ah ah ah! Vivo tra Borgo san Dalmazzo e Roma, facendo avanti e indietro.
– Parla il dialetto?
Sì, parlo un mix: mia madre è della Valle Stura, mio padre è originario di Busca ma trapiantato a Borgo, sono cresciuta a Valdieri, per cui so un misto di occitano e piemontese. Infatti il dialetto varia da frazione a frazione, ad esempio, mi ricordo che a Valdieri il latte si diceva “lait” e ad Andonno “let”, e al contrario, il letto a Valdieri si chiamava “let” e ad Andonno “lait”.
-E’ sposata?
No, sono fidanzata ma sorvoliamo sulla mia vita privata.
-Cosa si aspetta dal futuro? Sogni, mete, ambizioni…
Intanto credo di essere già stata molto fortunata perché ho un lavoro che mi piace. Sto aspettando il prossimo concorso per insegnare: vorrei lavorare sulla disabilità come insegnante di sostegno, oppure continuerò ad occuparmi dell’ambito della cooperazione sociale. Per ora provo a farmi rieleggere in Parlamento per poter mettere a frutto le esperienze di questi anni e cercare di migliorare. Un ultimo sogno è quello di diventare mamma ma per il momento faccio la zia.
– Sappiamo che è molto affezionata alle nostre Alpi e alle Valli, in particolare quali zone?
Potrei parlarvi per ore! Sono molto affezionata a tre valli: la Valle Gesso, perché ci sono cresciuta; la Valle Stura perché è casa e storia da cui ho ereditato il mio essere antifascista, e la Valle Maira, dove ho affetti e legami e dove amo camminare. Se dovessi dirvi la mia zona preferita, questa andrebbe dalla Bisalta al Monviso che considero impropriamente le mie montagne. Cosa mi piace? Amo camminare appena posso e godermi la libertà di andare in montagna (infatti in macchina porto sempre con me lo zaino e gli scarponi, non si sa mai!).
In che modo è possibile avvicinare i giovani all’attività politica?
Con il buon esempio e creando momenti di confronto che sono spesso difficili, poiché si tende a sostituire gli incontri di persona con i social, invece penso invece che sia fondamentale parlarsi faccia a faccia. Poi credo che bisogna avvicinare le tematiche politiche ai giovani per suscitare interesse, magari attraverso l’associazionismo o laddove i giovani possono mettere a frutto i valori e le passioni, ma anche attraverso una visione più ampia, ad esempio impegnandosi in realtà grandi come Libera ecc…
Viviamo in una società pragmatica dove proteste, scioperi, movimenti razzisti, o peggio, neofascisti stanno prendendo sempre più piede. Perché? Come affrontare tutto questo?
E’ un fenomeno che viene da lontano e che spesso è stato sottovalutato nel corso dell’ultimo decennio. Questo crescere di fenomeni razzisti, neofascisti e talvolta xenofobi credo sia dovuto all’assenza di una corretta comunicazione: spesso vengono usati toni violenti che allontanano le persone dalla politica e fanno emergere il carattere negativo di questa. Per affrontarlo serve il giusto esempio, la capacità di punire le azioni sbagliate e chi le compie; non si deve lasciar passare il concetto per cui tutto è possibile, tutto è lecito perché tanto non c’è una punizione. Anzi, credo che quando si sbaglia si debba pagare e non dobbiamo nasconderci di fronte a coloro che compiono atti violenti e sbagliati: le regole ci sono e devono essere rispettate e applicate. Sicuramente gli strumenti repressivi sono da applicare come soluzione estrema, prima è sempre meglio fare sensibilizzazione preventiva ed educazione usando la ragione.
La democrazia è in pericolo?
Da noi direi proprio di no. Penso che la democrazia sia in difficoltà nel momento in cui l’astensionismo è alto e continua a crescere. Ricordiamoci, come ci ha insegnato Hannah Arendt, che anche i malvagi non erano stupidi, ma non avevano idee…Da questo punto di vista per una democrazia forte è bene farsi idee su quali siano le proposte politiche ed esercitare il proprio diritto di voto; se non lo si esercita le democrazie sono a rischio, perché, se non c’è la partecipazione reale dei cittadini alle scelte democratiche, queste saranno sempre meno democratiche! È anche vero che abbiamo un sistema di voto consolidato tale per cui, onestamente, non vedo la democrazia occidentale in pericolo, più che altro è necessario ammodernarla alle esigenze che cambiano (ad esempio democratizzare la rete).
Parliamo di Cuneo e dei cuneesi:
-Cosa ne pensa della città?
Penso sia una città estremamente vivibile che si è ridata una vocazione più turistica- culturale attraverso le opere pubbliche e gli interventi nel centro storico che hanno trasformato la città in senso molto positivo: più luoghi di aggregazione, ristoranti, locali… Mi piace molto Cuneo, però capisco anche che per i più giovani non offra molte possibilità ed è un problema da anni. È più una città a misura di famiglia e di anziani (come confermano i dati Istat siamo un Paese di anziani)… Mancano gli spazi per potersi esprimere e serve uno scatto e mi auguro che, grazie al nuovo mandato dove sono presenti giovani, si possa lavorare rispetto alla realtà giovanile. Lo si è fatto nelle Langhe, a Torino, a Bra e lo si può fare anche qui!
-Cosa cambierebbe e cosa no?
Più che cambiare io migliorerei alcune cose. Darei più opportunità per i giovani lavorando con un’ottica transfrontaliera: abbiamo la fortuna di essere la capitale delle Alpi e il primo riferimento attraversato il confine francese. Perciò credo si debba lavorare affinché le opportunità non manchino e affinché si faccia quel salto di qualità tanto atteso: Scrittorincittà deve cambiare passo, si deve investire nella cultura, imitare le città che l’hanno fatto (Alba per esempio) e soprattutto smuovere la mentalità statica e diffidente tipica delle nostre zone che è il punto debole.
Dunque incentiverei: politiche a favore dei giovani, della cultura e di valorizzazione del territorio a livello paesaggistico, storico e enogastronomico.
Cosa non cambierei è la qualità della vita che è molto alta.
-Come descriverebbe i suoi abitanti?
“Muntagnin” nel bene e nel male. Ah ah ah!
-C’è un clima di fiducia o sfiducia rispetto alle istituzioni?
Tutto sommato qui c’è una discreta fiducia proprio perché, da buoni cuneesi, abbiamo un alto senso dello stato, del rispetto e delle istituzioni, oltre ad una buona collaborazione che permette di trovare un punto d’incontro anche laddove ci siano posizioni diverse (con le dovute eccezioni).
-Ha mai pensato di diventare sindaco di Cuneo?
Mmm…No. Forse perché non l’ho mai preso in considerazione anche se negli anni mi è stato proposto. Certo è che la dimensione amministrativa mi manca molto, però non ho mai pensato di diventare sindaco, anche se sarebbe un onore.
Questo mese abbiamo incontrato la marciatrice cuneese numero uno: Elisa Rigaudo!
Elisa si racconta a 360 gradi: è stata atleta e campionessa, ha raggiunto risultati davvero importanti (olimpiadi, mondiali, record…); ora è mamma e lavoratrice ed è felice.
Nessun rimpianto, tanta energia, tanta voglia di fare e un bel po’ di grinta stanno alla base della sua vita…Conosciamola insieme!
1) Cosa rappresenta la marcia per te?
Adesso per me rappresenta una grossa parentesi della mia vita sia a livello lavorativo che personale, riempendo varie mie giornate di fatica e di piacere. La marcia è il passato però sono ancora immersa in quel mondo, ma questa volta da spettatrice.
2) Come e quando ti sei avvicinata a questo sport?
Ero molto piccola, intorno ai 13 anni: frequentavo le medie e c’era sempre da coprire il buco della marcia ai giochi della gioventù, quindi è stata una casualità. Io ero già allenata perché praticavo la corsa grazie alla mia maestra delle elementari che ne era appassionata e mi ha trasmesso questa passione, dunque lo sport non mi era estraneo e ho imparato anche a marciare. Ottenendo buoni risultati ho pensato di continuare anche fuori dai giochi della gioventù e così ho fatto.
3) Di quali gare hai il ricordo più bello?
Il mio quarto posto a Taegu che poi è diventato il mondiale e poi la medaglia di bronzo. Ma quel quarto posto, nonostante la medaglia di legno che erroneamente pensavo di aver vinto, è stata la gara più bella perché otto mesi prima ho dato alla luce la mia prima bambina e quindi per me tornare a marciare dopo la gravidanza è stata una gioia enorme. Infatti ho riiniziato le gare dopo ben un anno di pausa senza problemi, anche perché il mio è uno sport in cui è possibile riprendere il ritmo. Comunque ammetto che ho dovuto allenarmi molto.
4) A quante gare in totale hai partecipato?
A dire la verità ho perso il conto… Ho fatto 26 nazionali, ho vinto 11 campionati italiani…Non so di preciso: sicuramente all’incirca 150 gare… Però ho contato non le gare ma i chilometri totali!
5) Di recente ti sei ritirata dalla tua carriera agonistica. Perché? È stato difficile?
È stata una scelta voluta e presa da me personalmente. Infatti circa un anno fa non ho più sentito quella passione: una volta indossate le scarpe ai piedi, ero stanca. Ricordo che al ritorno da Rio de Janeiro ho posato le valigie e ho detto basta fatica, non ce la facevo più. Così ho preso il telefono e ho scritto un’ e-mail riguardo la mia decisione di smettere. Certo, allora è stata una scelta presa abbastanza facilmente, adesso è un po’ più sofferta e ho nostalgia.
6) A proposito di te…
– Qual è la tua ragione di vita?
Adesso come adesso è la famiglia, lo era già prima, ma da quando sono diventata mamma è proprio la mia priorità. Anche la soddisfazione personale che provo seguendo i miei interessi.
– Come ti vedi allo specchio?
Invecchiata! Mi rendo conto che fin tanto che fai attività ti senti forte e decisa, quando molli hai un attimo di stallo e devi cercare di mantenere la tua vitalità. Quando mi guardo allo specchio vedo una donna che ha seguito le sue passioni e ne è soddisfatta ma che ha ancora voglia di fare e di raggiungere le mete che si è prefissata…
– Cosa sognavi da bambina?
Sicuramente le Olimpiadi erano il mio sogno sin da piccola: guardavo le gare alla tv, ammiravo i grandi atleti come Maurizio da Milano e Stefania Belmondo che prendevo come esempi e speravo di poter arrivare ai loro livelli.
– E cosa sogni adesso?
Sogno di essere una brava mamma, di saper trasmettere dei valori giusti e positivi ai miei figlia e di essere anche io realizzata, magari cimentandomi in qualcosa di nuovo (ho dei sogni nel cassetto che sto pian piano cercando di concretizzare).
7) Essere mamma, moglie e atleta: come sei riuscita a conciliare tutti i tuoi impegni?
Secondo me è questione di organizzazione: se ti sai organizzare riesci a fare tutto e a farlo bene. Comunque è certo che bisogna fare delle rinunce (non sacrifici) che alla fine però ti portano ad altre cose belle. Ad esempio, io da ragazzina rinunciavo ad uscire con gli amici perché dovevo allenarmi o gareggiare, ma tutto sommato vivevo esperienze che i miei compagni non immaginavano nemmeno, esperienze diverse che alla fine non mi facevano pesare ciò che avevo scelto. Anche per quanto riguarda la scuola: non ambivo al massimo dei voti, mi accontentavo ma comunque mi sono diplomata da perito chimico, dato che volevo fare l’infermiera, poi però ho scelto di intraprendere la carriera atletica a tempo pieno, accantonando l’altra possibilità.
Tuttavia sono convinta che se ti sai organizzare bene, è fattibile conciliare ogni impegno.
8) Credi che i tuoi figli seguiranno il tuo esempio? Cosa auguri loro?
Auguro loro di avere una passione. Non mi interessa se i miei figli seguiranno le mie orme o meno, bensì che abbiano un qualcosa che piaccia e che appassioni, sia la musica, sia il canto, sia lo sport… L’importante è che sia una passione vera. Se poi per caso questo hobby diventa una scelta di vita, ben venga, basta che siano appassionati a qualcosa e s’impegnino con costanza in ciò che credono. Comunque lo sport piace ai miei figli: la più grande fa parte di uno sci club di fondo e fa già delle gare.
9) Dopo il tuo successo nelle varie gare, gli sforzi per ottenere risultati così importanti e una vita a ritmo di marcia, come vivi oggi? Qual è la tua giornata tipo?
La mia giornata tipo di adesso gira intorno all’orario di lavoro come guardia di finanza e intorno alla famiglia: sveglia alle sette meno un quarto, colazione con i miei figli, scuola e asilo alle otto, io vengo a lavorare qui a Cuneo; alle 15.30 esco e vado a prenderli per portarli ai vari corsi pomeridiani oppure andiamo dalla nonna e così via. Inoltre ho iniziato ad essere istruttrice di fitwalking a cui mi dedico due volte a settimana e che mi permette anche di continuare ad allenarmi.
10) Sappiamo che insieme a tuo marito hai avviato un’azienda agricola e ora producete e vendete vari prodotti. Come mai questa scelta? Cosa producete?
Beh, mio marito si è trovato costretto dopo il licenziamento e si è dovuto cimentare in qualcos’altro. Nello stesso periodo io ho deciso di finire la mia carriera atletica, anche per garantire alla famiglia maggiore stabilità, e mi sono dedicata al suo progetto. Io e lui abbiamo sempre fatto tutto insieme: lui veniva alle gare con me ed io ora lo aiuto nell’azienda. È molto bello perchè è tutto all’interno della famiglia e ognuno dà una mano.
I prodotti vanno in base alle stagioni. Adesso stiamo vendendo il miele e la legna da ardere; a primavera iniziamo a piantare i fagioli e patate; in estate si raccolgono i mirtilli ed infine in autunno raccogliamo le castagne.
11) Credi che l’agricoltura sia il futuro o il passato?
Assolutamente il futuro! L’agricoltura oggi conta su molti sistemi innovativi e comunque noi tutti mangiamo, quindi i prodotti devono esserci quotidianamente. Anzi, la terra sarà rivalutata con il passare degli anni e l’agricoltura prenderà sempre più piede: sono troppi i vantaggi del nostro territorio e lo saranno anche nel futuro. Soprattutto la nostra zona è ricca di risorse che, se ben sfruttate, possono garantire il nostro futuro. In più oggi la figura del contadino non è più quella di una volta, c’è la meccanizzazione che aiuta tantissimo, la vendita via internet e spesso il passaggio da produttore a consumatore è velocissimo e facilissimo. I ragazzi di oggi devono capire che l’agricoltura non è solo fatica (ogni lavoro può essere faticoso), ma è soddisfazione prima di tutto. Bisogna credere nell’agricoltura!
12) Ora parliamo di Cuneo. Secondo te cosa offre e cosa manca alla città?
Cuneo ha molti spazi per il tempo libero (ciclabili, aree verdi, parchi…), offre la tranquillità che è fondamentale ed è una garanzia per tutti. Quello che offre un po’ meno è soprattutto a livello dei giovani che spesso vedono nella città un “mortorio”, mancano eventi per i ragazzi e per i medio-giovani e su questo punto si potrebbe migliorare. Cosa consiglierei? Sicuramente valorizzare ancora di più via Roma che si presta moltissimo e non trovare i locali chiusi alla sera. Bisognerebbe rendere la città più animata per far sì che i giovani non si allontanino dalla zona ma comincino ad apprezzarla maggiormente.
13) Sei orgogliosa di essere cuneese? Perché?
Assolutamente sì! Io ho sempre risposto con orgoglio quando mi chiedevano la provenienza prima delle gare e non capivano mai dove fosse collocata la città. Alla fine credo che arrivare da una grande città faccia perdere un po’ i valori, non si conosce nessuno davvero a differenza dei paesini dove è tipico sentire quel calore umano dei vicini. In città si rischia di non conoscere nemmeno il proprio vicino di pianerottolo e quindi di non avere qualcuno su cui contare. Sono convinta che la provincia dia tanto e io sono orgogliosa di arrivare da una piccola ma grande provincia.
14) Che rapporto hai con il tuo paese, Robilante?
A Robilante ho conosciuto mio marito! Posso dire che è una piccola realtà che però funziona bene e non ho mai sentito l’esigenza di spostarmi. I Robilantesi si sentono Robilantesi, hanno il senso del lavoro e del piacere, sono solidali e sono persone molto festaiole, proprio come me, e quindi mi trovo molto bene. Siamo persone che hanno voglia di mettersi in gioco e che provano a raggiungere i propri obiettivi, riuscendoci o no, ma sempre e comunque rispettando il motto: Volere è potere, se vuoi davvero qualcosa la ottieni a tutti i costi!
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