VITA IN POLVERE

Appoggiato alla parete sinistra della cucina c’eraun divano su cui era stata buttata una coperta con pallidi disegni floreali, mentre nel centro della stanza era sistemato un tavolo di legno usurato. Di fronte alla porta, sopra i fornelli, erano stati fissati dei mobiletti con le ante bianche, ai cui bordi si insinuava il marrone della ruggine che a poco a poco stava erodendo il bianco laccato. Il frigo lì vicino era di un verde sbiadito e produceva un borbottio metallico che si diffondeva per tutta la cucina confondendosi con le voci provenienti dal televisore lasciato acceso. Sopra ogni cosa fluttuava uno spesso strato di polvere.
Nella parete a destra c’era una porta a vetri socchiusa che dava sul balcone.
Lì fuori, di spalle, un uomo con un maglione di lana marrone era chinato verso la ringhiera. Aveva la mano rugosa sollevata, mentre stringeva una paletta. La ruotò facendo scivolare il mucchietto di polvere che aveva raccolto dal pavimento e lasciandolo cadere verso strada, quattro piani più in basso.
Per un attimo stette fermo a guardare la polvere che creava una nuvola dorata e si disperdeva nell’aria.
Poi si girò e rientrò in casa trascinando le gambe con fatica. Prese la scopa e gli stracci e ricominciò a pulire, raccolse la polvere in un angolo, la mise sulla paletta e uscì sul balcone per liberarsene. Di nuovo una nube d’oro si allargò nell’aria e così altre ancora, una dopo l’altra.
La luminosa luce del pomeriggio era diventata pallida e soffusa e la polvere rimaneva, impalpabile, a coprire ogni cosa in quella casa. L’uomo si accasciò su delle sedie lasciate disordinatamente intorno al tavolo.
Una lacrima scese lenta sul suo volto seguendo i solchi incisi sulla pelle secca e ruvida. Guardandosi intorno sussurrò tra sé: «rimane la polvere come rimangono queste rughe e la mia vecchiaia».
I suoi occhi velati si fermarono sui flaconi e sulle confezioni di medicinali posati sul tavolo. Qualcuno aveva lasciato un foglietto con scritto: «Ricordati di prendere le pastiglie per la pressione tutti i giorni, l’antidolorifico se la schiena ti fa male e mezza compressa bianca dopo i pasti. Vedrai che ti riprenderai presto papà!» Si alzò, prese tutti i farmaci e sollevando a fatica il coperchio del cestino della spazzatura con il ginocchio li buttò.
Andò a prendere la giacca e un cappello e si vestì. Prima di uscire scarabocchiò qualcosa su un biglietto e lo posò sul tavolo. «Lasciatemi invecchiare» furono le parole che scrisse sorridendo.

IL FRUTTO PROIBITO ERA DAVVERO UNA MELA?

In fotoPeccato originale e cacciata dal paradiso terrestre, Michelangelo Buonarroti, volta della Cappella Sistina, Musei Vaticani, Roma.

La tradizione ha tramandato fino ai giorni nostri l’idea che il frutto che Eva nell’Eden, cedendo alla tentazione del serpente, raccolse e offrì ad Adamo fosse una mela. Nella Genesi (3, 6-7), però, non è specificato quale sia il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. «Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.»

A partire da questo brano della Bibbia sono state formulate diverse ipotesi riguardo alla natura di tale frutto. Tra queste, la più probabile è che si tratti di un fico, perché, subito dopo averlo mangiato, accorgendosi della loro nudità, Adamo ed Eva si coprirono con alcune foglie fico. La rapidità e l’immediatezza dell’azione fanno presumere che il fico dovesse trovarsi nelle loro vicinanze e che quindi potesse essere l’albero della conoscenza del bene e del male.

Ma da dove deriva allora l’idea della mela? All’epoca della diffusione del Cristianesimo il fico non era conosciuto nell’Europa continentale. Dunque è probabile che il frutto proibito sia stato identificato con la mela a causa di una identità terminologica: infatti in latino il termine che indica il male e l’albero melo è lo stesso, malus o malum.

Anche per la tradizione mitica greca la mela è un segno di discordia. È infatti proprio questo il frutto che viene scagliato da Eris, dea della discordia, e raccolto da Paride, che poi lo assegnerà a Afrodite con una scelta che porterà di conseguenza al ratto di Elena prima e allo scoppiò della guerra di Troia poi.

Vi sono poi altre fonti che identificherebbero il frutto proibito con l’uva, il grano o il cedro. Tuttavia l’ipotesi forse più plausibile è quella sostenuta da alcune correnti della tradizione ebraica, le quali ritengono che il nome del frutto sia stato volutamente taciuto, perché l’intenzione del racconto della Genesi era quella di far ricadere l’attenzione e la colpa del peccato sull’uomo e non sull’albero o sul frutto che l’avevano causato.

Eleonora Numico e Francesco Regolo

Questa è la vela della nostra nave e noi siamo i pirati

La strada che passava davanti all’ospedale era deserta all’ora di pranzo. Il caldo di fine estate asciugava le pozzanghere sparse ai lati della strada, residui di una notte di pioggia. Si stavano avvicinando due bambini, undici, dodici anni al massimo. Camminavano, saltellavano ogni tanto e nel frattempo parlavano e ridevano fra di loro. Si fermarono sul margine del marciapiede di fronte ad una delle pozzanghere.
«Che schifo»
«Sembri proprio una femmina»
«Allora salta tu se hai coraggio, Adam»
«Certo che ho coraggio»
Adam aveva delle ciabatte grandi, troppo lunghe per lui, i suoi piedi scalzi lasciavano vuota metà della suola. Aveva la pelle olivastra costellata di leggeri graffi sulle ginocchia e sui gomiti. Il bambino vicino a lui, stesso colore della pelle e stessi vestiti consumati, teneva in mano un sacchetto di plastica vuoto.
Uno, due, tre, uno sguardo e Adam saltò. L’altro, pantaloni macchiati dalle gocce di acqua sporca, rideva mentre usciva dalla pozzanghera sorridendo e togliendosi una dopo l’altra entrambe le ciabatte.
La loro pelle bagnata rabbrividì al passaggio del vento leggero che aveva iniziato a soffiare verso di loro. Il sacchetto di plastica si gonfiò lievemente, andando a scontrarsi con la gamba di Adam che abbassò lo sguardo.
«Dammelo, ti faccio vedere una cosa»
Senza aspettare una risposta, Adam gli prese il sacchetto dalle dita strette a pugno, mise una mano dentro per aprirlo del tutto e, tenendolo per i bordi, lo sollevò sopra la testa.
«Guarda, questa è la vela della nostra nave e noi siamo i pirati»
«E possiamo andare dove vogliamo con la nostra nave?» La plastica blu ondeggiava seguendo il vento.
«Certo»
«Sei sicuro? Non ci servono le barche grandi, quelle dei film?»
«No, basta immaginarsele»
Adam iniziò a correre con il sacchetto sempre sollevato in alto e l’altro bambino lo seguiva, procedevano a zigzag sul marciapiede. Intanto Adam gridava:
«Timoniere, dobbiamo allontanarci dalla costa o andremo a sbattere»
«Agli ordini capitano» Presero una via a destra e le loro risate si persero tra i vicoli silenziosi.

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